Iraq, mina vagante per la nuova Europa di Gigi Padovani

Iraq, mina vagante per la nuova Europa ATORINO UN SEMINARIO DELLA FONDAZIONE AGNELLI ANALIZZA LO STATO DEI LAVORI DELLA CONVENZIONE Iraq, mina vagante per la nuova Europa Gigi Padovani NON è ancora chiaro se un giorno i nastri video sulle sedute della Convenzione europea presieduta da Valéry Giscard d'Estaing (monitorata dalla telecamere di continuo, come un «Grande fratello») diventeranno un documento storico come i Madison's Records, i diari dello statista americano James Madison che nell'estate del 1787 raccontarono i lavori preparatori della Costituzione degli Stati Uniti nell'Indipendence Hall di Filadelfia. E' chiaro però che il documento cartaceo che - prima o dopo, non si sa quando - verrà presentato ad una Conferenza intergovernativa per la ratifica non potrà avere quel famoso incipit che inorgoglisce gli americani: «We, the people». Perché i delegati di Filadelfia rappresentavano 13 Stati liberi dal giogo inglese che si stavano federando, mentre i 105 membri del «parlamentino» consultivo insediatosi il 28 febbraio 2002 per ora possono soltanto scrivere, nella bozza del primo articolo sulla istituzione dell'Unione (di cui non si sa ancora il nome), che «la presente Costituzione» è «ispirata dalla volontà dei popoli e degli Stati d'Europa» con lo scopo di gestire «sul modello federale, talune competenze comuni». La storia, nonostante tutti i tentativi di forzarla, non facit saltus, come si sa. E dunque tra il processo di formazione della Carta fondamentale americana nata nel sangue dei patrioti - e questa bozza di mappa della nuova Europa c'è di mezzo tutto il Novecento del Vecchio Continente, con la sua scia di guerre e lutti. Perciò è già un miracolo se i lavori della Convenzione europea, un gruppo di uomini politici provenienti da 28 diversi paesi ( 15 dei quali già aderenti dell'Ue e 13 candidati ad entrarvi) e rappresentanti diverse istituzioni - i governi e i parlamenti nazionali, il Parlamento europeo e la Commissione di Bruxelles, l'organo esecutivo - sono andati così avanti, con la preparazione dei primi sedici articoli che fissano obiettivi, diritti di cittadinanza e competenze. L'interesse con il quale media e cittadini europei seguono i lavori di questo consesso appare sorprendente, in relazione al consueto distacco verso tutto ciò che viene da Bruxelles e la prova si è avuta in un animato seminario europeo organizzato dalla Fondazione Agnelli di Torino. Docenti universitari, economisti, giuristi si sono confrontati con la relatrice Annalisa Giannella, segretario generale aggiunto presso la Convenzione a Bruxelles, e con i commenti di Carlo Bastasin, vicedirettore de La Stampa e Edoardo Greppi, docente di diritto della Comunità europea all'Università di Torino, in un confronto che ha messo in luce lo «stato dell'arte» dei lavori finora portati a termine. Più che il dibattito sui poteri della attuale «trinità» europea cioè la Commissione (organo sovranazionale) presieduta da Prodi, il Consiglio (l'insieme dei governi, con presidenza semestrale a rotazione) e il Parlamento - è la crisi irachena a mettere in forse tutto il progetto. Lo ha ricordato aprendo i lavori del seminario il direttore, della Fondazione, Marco Demarie: la «situazione intemazionale evidenzia oggi nuove divisioni sulla mappa europea». Con due opposti atteggiamenti: gli «euroscettici», che da ciò traggono la conseguenza per ridurre la Convenzione ad ima sorta di «cataplasma» in grado di rendere appena più efficienti le istituzioni comunitarie, e gli «ottimisti», che invece a maggior ragione chiedono un testo fortemente innovativo, capace di modificare radicalmente i poteri. Eppure, il rischio è che proprio la posizione francese, magari con un veto in Consiglio di sicurezza Onu ad una guerra voluta dagli Stati Uniti e accettata da qualche alleato europeo, possa affondare la Convenzione. Secondo l'alto funzionario di Bruxelles i 105 «saggi» - tra loro ci sono tanti ex capi di Stato e di governo, come Amato e Dini, ministri degli Esteri come Fischer e De Villepin, vicepremier (Fini e lo svedese Wallen) sarebbero tecnicamente in grado di produrre un testo entro giugno, come era nel mandato di Laeken. Ma di certo sarebbe «surreale» varare una nuova Costituzione europea proprio nel momento di sua maggior divisione. E se Bastasin teme che l'architettura istituzionale sostituisca la politica e che la sussidiarietà geografica impedisca di porre al centro del nuovo patto il demos, appunto il popolo, con le compatibilità generazionali per il futuro dei giovani, Greppi vede un eccesso di cautela nei primi dodici mesi di dibattito. Con quel timido accenno «sul modello federale» dell'articolo uno che tanto ricorda «il sapor di cioccolato» di certi spot pubblicitari. Eppure si deve alla caparbietà di Giscard e alla passione di funzionari come Annalisa Giannella se finora i lavori della Convenzione sono andati ben al di là del mandato ricevuto: i 105 non dovevano scrivere ima Costituzione, mentre ora sono tutti d'accordo a farlo. E sono molti i risultati consolidati. L'Unione europea avrà personalità giuridica, ai parlamenti nazionali spetterà un controllo politico sulle decisioni comunitarie, gli atti giuridici saranno semplificati, passando dagli attuali 16 a sei. Di certo, i riferimenti ai valori religiosi cristiani verranno «storicizzati» e contestualizzati in un preambolo, ma non potranno entrare nell'articolo due, per non offendere le sensibilità dei milioni di europei ebrei o musulmani. E soprattutto, Iraq permettendo, questo «straordinario laboratorio politico» nato nella Convenzione secondo alcuni potrebbe diventare permanente: non sarà forse la Convenzione di Filadelfia, né il «Congresso» che vorrebbe Giscard, ma qualcosa di più vicino ai cittadini europei, sì. Il rischio è che le divisioni sulla politica estera ritardino per mesi il varo della Costituzione su cui si fonderà l'Unione del futuro AnnalisaGiannella, segretario generale della Convenzione, e Carlo Bastasin, vicedirettore de «La Stampa»