Verso un appello del Papa a Bush e Saddam

Verso un appello del Papa a Bush e Saddam IL VATICANO CERCA IL SflODO DI CONSENTIRE A BAGHDAD UNA «RESA ONOREVOLE» l Verso un appello del Papa a Bush e Saddam Nelle Sacre Stanze si pensa alla possibilità di una «soluzione Cuba» ricordando come lo storico messaggio di Giovanni XXIII, nell'ottobre del '62, diede la possibilità a Kruscev di «ravvedersi» e ritirare i missili Giacomo Galeazzi CIUA' DEL VATICANO E' l'ultima carta del Santo Soglio per disperdere le fosche nubi che minacciano una seconda, devastante tempesta nel deserto. «Con le spalle al muro Saddam diventa ancora più imprevedibile e pericoloso - .osservano in Curia -, nel logorante braccio di ferro fra Usa e Iraq resta un solo modo per scongiurare la guerra: rendere meno umiliante agli occhi del mondo una retromarcia di Baghdad». Un leggero refolo di speranza anima la navigazione della Chiesa, Barca di Pietro, nelle torbide acque del Golfo Persico. L'attivismo pontificio trae dalla propria storia recente residui motivi di fiducia. Dalle maghe della diplomazia d'Oltretevere affiora e prende corpo lih'ipotesi appena accennata, che si rifa alla cosiddetta «soluzione Cuba». Nella complessa mediazione della Santa Sede, il-riferimento sottotraccia delle feluche pontificie riguarda, infatti, un modello' d'azione divenuto leggendario, ossia là tela di pace (all'acme della crisi missilistica Usa-Urss) abilmente tessuta dalla segreteria di Stato vaticana nell'ottobre '62, ai tempi di papa Giovanni. Nelle Sacre Stanze la stella polare è la riedizione del «modus operandi» sperimentato dalla Chiesa cattohca in quell'occasione, a un passo dalla terza gueira mondiale. Xln capolavoro di lungimifanza culinfilato nello storico messaggio di Gaovanni XXin. All'epoca reco planetaria dell'invocazione indirizzata dal Pontefice alle due superpotenze fu tale che l'indomani la «Pravda», organo ufficiale, tra l'altro, anche dell'ateismo comunista, pubblicò in prima pagina l'intero appello, sovrastato da un grande titolo tratto dalle sue parole: «Noi supphchiamo tutti i governanti di non restare sordi al grido dell'umanità». Dietro le quinte della clamorosa svolta c'erano i discretissimi sondaggi al Cremlino di attenti negoziatori in talare, autentici gnomi invisibili cui Nikita Kruscev aveva sussurrato l'improvviso ravvedimento, ovvero la personale disponibilità a mollare la presa. In sostanza, il leader sovietico, all'apice della tensione con Washington, aveva trovato nella Santa Sede il provvidenziale appiglio prima del baratro, facendo segretamente filtrare in Curia la propria disponibUità ^d un ripensamento in extremis. L'intervento pubblico di papa RoncaUi aprì uno spiraglio a un'estrema negoziazione e all'accordo tra Usa-Urss che consentì di evitare la Sierra atomica. La saggezza curiae finì per aiutare il successore di Stalin a spazzar via le resistenze inteme al suo governo e a non perdere la faccia sullo scacchiere intemazionale. In parallelo al filo diretto tra il Sostituto monsignor Angelo Dell'Acqua e John Fitzgerald Kennedy, primo e (finora) unico presidente cattolico degli Stati Uniti. Nella trattativa con Baghdad, il Vaticano potrebbe far ncorso a qualcosa di simile alla sagace tattica di allora. Un gioco di rimandi, insomma, affinché il dittatore iracheno di fronte all'opinione pubblica non debba indossare le vesti lacere del tiranno in fuga né debba inginocchiarsi a baciare la pantofola del sovrano a stelle e strisce. La sola via d'uscita per Saddam, secondo la diplomazia papale, è far buon viso a cattivo gioco, piegarsi all'inevitabile per evitare il peggio, mostrarsi disponibile ad accoghere l'appello «super partes» di una potenza morale come la Chiesa piuttosto che farsi ritrarre mentre indietreggia paurosamente di fronte ai bombardieri americani. Un'ipotesi (quella di attendere il disarmo iracheno) vista di buon occhio al Palazzo di Vetro: dalla Russia, oltreché da Francia e Gennania. La strenua offensiva diplcmatica della Santa Sede, come ha ribadito il cardinale Etchegaray, trova una sponda nei sudditi cattolici del rais, sventurata enclave cristiana «in terra infidelium», antico avamposto del Papa nel cuore dell'Islam, minoranza accerchiata cui, però, appartiene l'influente vicepremier Tareq Aziz, unico cristiano nel governo della mezza luna babilonese. Fra conversioni dahjestorianesK mo, divisioni, fotte, incomprensio-' ni inteme e con i pontefici, la storia dei Caldei pare scritta dai un romanziere. Nel mosaico iracheno la principale divisione contrappone gh arabi del Sud ai curdi del Nord. Sono curdi molti assiro-caldei, rappresentanti di una delle più antiche comunità cristiane d'Oriente e fedeli custodi della lingua siriaca, variante dell'aramaica, idioma originario di Gesù. Nelle regioni di Edessa, Ctesifone Nisibe, i monasteri del V o al VI secolo sono lì a rammentare ai naufra|hi cristiani (nell'oceano islamico) il peccato e l'errore dell'essere ancora divisi. E non passa certo inosservato Sua Beatitudine Raphael I Bidawid, il battaghero Patriarca di Baghdad, censore implacabile della guerra «Scatenata da Bush», pronto in cattedrale a dismettere i paramenti sacri del pastore per indossare la corazza del monaco-guerriero, abile nell'altemare r«Ostpolitik» al realismo pohtico, la polemologia di von Clausewitz alla non violenza di San Francesco e Gandhi, rendendo così meno misteriosa l'investitura cardinalizia mai arrivata da Roma. Da tre lustri guida una delle più antiche comunità d'Oriente, la Chiesa Caldea (fondata in Mesppotamia da due discepoh di San Tommaso Apostolo) che oggi conta 700 mila fedeli, in maggioranza emigrati all'estero. Dei 22 miUoni di iracheni, i musulmani sciiti sono il 620Zo, i sunniti il 34'}(), i cristiani appena il 30Zo. Nel «cursus honorum» che fa di Bidawid una «personalità rispettata», tenuta d'occhio ma tollerata dai pretoriani di Saddam, c'è la dura condanna degli «ininterrotti bombardamenti Usa e delle stragi di civili durante e dopo Desert Storm». La storica visita giubilare di Giovanni Paolo n a Ur dei Caldei, sulle orme del patriarca Abramo, è stata rinviata, a parere del Patriarca, non tanto per il veto del rais bensì per l'incandescente situazione nel Golfo e le «condizioni anormah» in' cui versa il Paese a causa dell'embargo e delle no-fly zone. «L'Iraq - assicura - è il paese musulmano più liberale nei confronti dei suoi cittadini che non seguono il Corano». Toni apologetici e minimizzatori riservati da Sua Beatitudine pure a questioni imbarazzanti. «Armi chimiche? - taglia corto - Il governo di Baghdad ha diritto di difendersi. Gh Stati Uniti ci minacciano da molto tempo». Durante recenti colloqui Oltretevere il Patriarca non ha nascosto l'inquietudine e la paura del proprio gregge: «Dall'I 1 settembre viviamo con una tremenda spada di Damocle che incombe sulle nostre teste, l'Iraq è stato subito dipinto come l'obiettivo post-Afghanistan dell'offensiva statunitense». Idee chiare anche sul Vaticano-paciere: «La guerra è sempre una sciagura, non si può rispondere al male con il male, Roma è etema, la politica vaticana fortunatamente ha un respiro molto lungo. In politica bisognerebbe avere altrettanta lungimiranza». Tra l'incudine della tirannide di Saddam e il martello di Desert Storm II, Antonios Aziz Mina, 47 anni, il prelato più addentro alla «questione caldei», il «caldeologo» d'Oltretevere ha ricevuto la consacrazione solenne proprio il 13 febbraio, giomata campale, nell'antica Babilonia, del «santo negoziato» anti-guerra di Karol Wojtyla. Segni dei tempi, dunque, microstoria che entra nella macrostoria dei complessi rapporti fra Oriente e Occidente. E ciò in perfetta sincronia con lo sbarco a Roma del caldeo Tareq Aziz e la mediazione a Baghdad dell'inviato papale Roger Etchegaray. La designazione dei Sacri Palazzi, quindi, ha raggiunto un personaggio sconosciuto al grande pubblico ma detentore, dietro le quinte e lontano dalla ribalta mediatica, di. collaudate e cruciali relazioni con i cristiani d'Oriente, già prescelto nel tempo per incarichi di rihevo e delicate missioni. Al di là del Portone di Bronzo, monsignor Mina è stato per una lunga e complessa stagione il «patronus» dei caldei, il discreto e autorevole referente dei cattolici iracheni, l'interlocutore vaticano della gloriosa comunità cristiana in terra d'Islam. Orar l'apprezzamento di Giovanni Paolo n e l'investitura del Sinodo episcopale del Cairo l'hanno proiettato verso Alessandria. Ad attendere nella terra dei faraoni l'ex capufficio del dicastero pontificio delle Chiese Orientah è il prestigioso scranno di vescovo ausiliare del patriarcato. In epoca di paventato scontro fra civiltà, abbozzare i confini storico-geografici della galassia dell'Est aiuta a comprenderne gli attuali, fragili equilibri. Nelle Chiese orientah ci sono cinque «famighe», ognuna con propri riti, tradizioni, liturgie: Alessandrina, Antiochena, Armena, Caldea, Costantinopolitana. In comunione con Roma, i Caldei si sono spinti fino all'India dando vita al ramo siro-malabarese. «E' una realtà affascinante, edificata su profonde radici spirituah e su molti santi e martiri - spiegano i missionari di "Fides" -, Oriente e Occidente sono i due polmoni della Chiesa universale: non sono in conflitto, camminano insieme. A differire sono i riti, ossia i modi in cui i credenti adorano Dio. Una diversità che è ricchezza, patrimonio culturale e di fede». Negli ultimi vent'anni, secondo il neo -vescovo Antonios Mina, la comunità caldea è in difficoltà, «come tutto il popolo iracheno ridotto in miseria». Molti lasciano l'ex impero mesopotamico e ad emigrare sono soprattutto le persone colte, con contatti all'estero, che godevano di un certo benessere economico. Così la diaspora caldea sta seminando fedeli nei cinque continenti. Intanto in patria fanno tesoro di ogni brandello di libertà. Nel govemo c'è il cattolico caldeo Tareq Aziz, braccio destro di Saddam? Bene, la circostanza può servire ad allargare di qualche millimetro il recinto entro cui i non musulmani sono costretti a muoversi. «La moghe del vicepremier è molto credente sottolinea Mina -, le autorità civili, poi, stimano e rispettano il Patriarca Bidawid, che rappresenta, davanti all'esecutivo, l'intera comunità cristiana dell'Iraq». Malgrado la feroce dittatura abbia l'Is am per religione di Stato, le relazioni tra i seguaci di Maometto e gh «infedeli» sono buone: «Anche se di tanto in tanto avvengono gravi incidenti, soprattutto da quando una corrente fondamentalista si è pian piano diffusa nel mondo arabo». Comunque oggi in Iraq, con la fame e la miseria imperanti, non si ha troppo tempo di «fare filosofia» o di trovare nelle fedi (propria e altrui) pretesti per un conflitto. «L'ignoranza e la miseria alimentano sìTintegrahsmo, però il comune denominatore della povertà crea solidarietà evidenzia il prelato -, la Santa Sede, attraverso aiuti e sussidi, cerca di venire incontro alle necessità spirituah e materiali della comunità caldea». Sullo sfondo, tra millenarie cadute e prowidenziah «renovationes», l'eco soffusa deh'Apocalisse di Giovanni: «Babilonia, la grande città che domina sui re della terra». In lontananza, malgrado le infemah brezze di guerra, si staglia trèmula la fiammella della pace tenuta in vita da Wojtyla: a giorni la bozza della mediazione vaticana lotrebbe finire sulla scrivania delo Studio Ovale. cardinale Etchegaray e Saddam Hussein durante il loro incontro a Baghdad. A sinistra papa Wojtyla e il segretario dell'Onu Kofi Annan Il cardinale Dell'Acqua