ELENA l'amica di chi scrive

ELENA l'amica di chi scrive DICHIARAZIONE D'AMORE DI UN ROMANZIERE ALLA SUA EDITOR ELENA l'amica di chi scrive Gianni Farinetti EELENA l'amica di chi scriveLqEena camae presentazonemiei romanzi alle quali talvolta mi accompagna -raccontiamo quell'incontro. Naturalmente io sapevo chi era lei. Ad un certo punto della cena Angelo Pezzana le si rivolse: «Elena, sai che Gianni ha appena finito di scrivere un romanzo?». E a me: «Il tuo primo romanzo, vero?» Risposi di sì. Elena mi guardò. Sorpresa e sospettosa. Srapresa perché è costantemente braccata da giovani, e meno giovani, «manoscrittai» che dopo cinque minuti son già lì che allungano il dattiloscritto inedito. Sospettosa perché io non lo avevo ancora fatto, né dato segno di avere tra le mani un lavoro che moriva dalla voglia di esserle sottoposto. Mi fissò con quei suoi occhi blu (non azzimi, blu) che, provare per credere, ti possono trapassare alla lettera e disse, tranquilla: «Davvero? Mi farebbe piacere leggerlo. Me lo faccia avere». La cena terminò parlando d'altro. Il giorno dopo le inviai il dattiloscritto con un biglietto di accompagnamento. Passarono non più di quarantotto ore e ricevetti una sua telefonata: «Q romanzo mi ha molto divertita». «Crede ci sia parecchio da lavorarci?». «No, per ades-. so no». Ci salutammo. Ero contento e stupefatto a mia volta. Ancora una settimana e arrivò un'altra telefonata da un direttore editoria1' milanese: «Mi si dice che a Torino giri un bel romanzo, si può leggere?». Il manoscritto venne spedito, girato ad un agente letterario (che da allora è la mia agente) e pubblicato qualche mese dopo. Alla firma del contratto chiamai Elena. «Bene», mi rispose, «ora possiamo metterci al lavoro». Fu l'inizio di una magnifica avventura che si trasformò in breve in una fondamentale amicizia costellata di grandi risate, incontri, condìvisioni di piaceri (Elena mi ha anche insegnato a preparare un risotto come si deve). Non è facile scrivere deUe persone a cui si vuol bene, ma farlo può essere molto bello. Per cominciare si deve parlare del lavoro di Elena. Cosa fa esattamente un editor? Lei sbuffa ogni volta che qualcuno le chiede del suo mestiere. Perché sovente i non addetti ai lavori rispondono: «Ah, ha una casa editricel» E' lo svarione tipico di chi confonde sceneggiatore e scenografo. Infatti a me capita di leggere in qualche recensione che mi riguarda che ho fatto lo scenografo. Elena sostiene che il suo lavoro si divide principalmente fra la lettura dei manoscritti di potenziali esordienti e quella di autori che hanno già pubblicato. Nel primo caso, il più spinoso, la sua esperienza -e il suo infallibile fiuto - le fanno capire se c'è della stoffa o meno. Nel secondo, il più psichiatrico, se quel certo libro va «aiutato» e con lui l'autore a «chiudere» come si deve il lavoro. La mia naturalmente è una sempUficazione quasi ridicola. Ho detto psichiatrico perché poche cose sono così complesse come quella di star dietro a chi scrive. Io credo che meriti far la conoscenza personale di pochissimi autori. Elena, che è molto più buona, afferma che le è capitato di tanto in tanto nella vita di incontrarne di simpatici. Il suo non è un lavoro che s'impara a scuola. Entrò giovanissima in Einaudi ed ebbe come maestri Calvino e Natalia Ginzburg che, capendo benissimo chi sarebbe diventata quella bruna ragazza, le affidarono la cura di «La Storia» di Elsa Morante. E, con le bozze, la consegnarono (e viceversa) nelle mani della Morante. Elena è lapidaria: «Grande scrittrice, carattere infernale». Ride: «Capita che un editor si trasformi in una balia, un confessore, un pronto soccorso diurno e notturno. Mi definivo lo scudiero di Elsa. Con lei capivi cos'era la teleselezione». Anni romani. «Stavo in ima pensione di via Gregoriana. Le camere erano piene di specchi appesi nei luoghi più impensati. Ero molto giovane, ci misi un po' a capire. A Roma si alternavano Milano e Torino. Ai-basino e Volponi, ad esempio. Volponi mi manca moltissimo, soprattutto la sua bella voce baritonale, le nostre lunghe chiacchiere su tutto. Un amico più che squisito. Alberto, be' sai cosa vuol dire ricevere le bozze di "Fratelli d'ItaliL'interamenteviafax?». Sultavo- lino davanti al divano sul quale siamo seduti c'è una magnifica scatola d'avorio che Arbasino le ha regalato anni fa. «Lavoravamo alla seconda revisione di "Fratelli d'Italia", quella del 1976. Un mercoledì ponici iggio mi chiama un fioraio e mi dice che c'è un mazzo di fiori per me. Lo preferisco a casa o in ufficio? Mia madre era fuori, chiesi di farmelo avere in ufficio. Ma era mercoledì. E il mercoledì significava riunione editoriale con Giulio Einaudi (altro carattere più che infernale). Bene, eravamo lì e ad un certo punto entra Gerlin, celebre usciere della casa editrice, che mi bisbiglia: ci sono i fiori. Trenta rose rosse di Arbasino. Calvino che aveva ima mente matematica - ed economa -emise un indimenticabile fischio». Con Arbasino, senza mai perdersi di vista, si ritrovaro- no poi in Adelphi: «Così, insieme, abbiamo fatto la terza edizione di "Fratelli d'Italia", per adesso l'ultima, ma non è detto». Elena ricorda Primo Levi, riservato, schivo, con un sottile senso deLViunorismo. ((Aveva dei dubbi su un titolo, scegliemmo insieme di chiamare il suo lavoro "La chiave a stella". Con Pasolini l'incontro è stato breve, era un uomo di grande fascino». Poi mi racconta una storia divertente: «Conobbi Mario Praz da Gino Magnani, il collezionista parmense. Praz era a conoscenza della, come dire, cattiva fama che lo perseguitava. Un cameriere inciampò in un tappeto lasciandosi sfuggire dalle mani un vassoio colmo di bicchieri. Per un attimo rimanemmo tutti con il fiato sospeso. Il padrone di casa fece finta di niente». Ma c'era (e c'è) anche un altro grande amore nella vita professionale di Elena: il teatro. Soprattutto quello conosciuto dietro le quinte. «Mi spedirono a intervistare Carmelo Bene al Sitea. Ero emozionata. Ci sedemmo al bar dell'albergo e iniziammo a chiacchierare. Dopo un po' Carmelo mi fissa e mi chiede come mai non ho un registratore, neppure un taccuino. Gli rispondo che ho buona memoria. Ah, bene, mi fa lui, tutto va inventato e smentito». Adesso facciamo un caffè. E andiamo a berlo in cucina. La cucina di Elena è una bella stanza grande e luminosa con una portafinestra che si apre su un lungo balcone affacciato su un tranquillo cortUe in pieno centro città. E' l'unica stanza del suo appartamento dove non ci sono pile di libri, però è il luogo deputato alla lettura dei quotidiani. Conosco poche altre persone che adorano la città più di Elena. Ma l'estate scorsa eravamo insieme in campagna. Elena era seduta su una poltrona da giardino, i giornali in grembo. Toccava a me fare il caffè, quel pomeriggio. Dalla finestra l'ho sorpresa che accarezzava l'erba del prato con un gesto da bambina in gita. Ogni tanto, infatti, facciamo brevi gite; piace a entrambi andare in giro in macchina. E una volta siamo anche rimasti senza benzina e lei ha spinto un po' l'auto. Esattamente come spinge, con pazienza infinita, gli autori ad andare avanti. O a fermarsi, magari cento pagine prima. Lavorare insieme significa affidarsi. Come ho già detto Elena è infallibile nel percepire «la necessità» in uno scritto. «Senti, prova a rileggere da pagina 53 a pagina 57. Sei sicuro che tutto quello che hai messo serve?». Uno rilegge, gli viene un bel dubbio, ne discute con lei, magari tenta di difendere quel pu;no di paginette, quel certo awerjio, quell'assonanza sì un po' stonata ma irrimediabile. Per scoprire che lei ha sempre lagione (e la sgradevole assonanza svanisce, il sinonimo è bell'e trovato, la soluzione narrativa appare d'incanto). Lo sanno gli autori con cui lavqfa, a cui vuole bene, come il gruppo dei suoi torinesi: Oddone Camerana, Margherita Oggero, Federico Audisio di Somma, Luca Ragagnin. «Le omissioni sono volontarie», scherza mentre mi fa questa breve lista. «Ho lavorato anche molto con Malcolm Skey, un altro grande amico, una persona speciale». Adelphi, la casa editrice con la quale collabora da molti anni, le affida anche complesse traduzioni: Nabokov, Compton-Brunett: «Questo è un mestiere nel quale ci vuole soprattutto orecchio. Ogni autore è diverso, ognuno con la sua particolare partitura musicale». Entrò giovanissima in Einaudi, come maestri ebbe Calvino e la Ginzburg Le affidarono la cura di «La Storia» della Morante. Lei ricorda: «Capita di trasformarsi in confessore balia oprante soccorso... lo ero diventata . lo scudiero di Elsa» Ha lavorato con Volponi eArbasino. Racconta: «Paolo mi manca moltissimo mi mancano le nostre lunghe chiacchiere e la sua voce baritonale Alberto... sai cosa vuol dire ricevere le bozze di Fratelli d'Italia interamente via fax?». La conobbi anni fa a casa di un amico. Quando seppe che avevo un manoscritto mi chiese di mandarglielo. Fu l'inizio .di una magnifica avventura. Mi ha anche insegnato a fare il risotto come si deve E'infallibile nel sentire la «necessità» in uno scritto Lo sanno gli autori con cui collabora come il gruppo dei suoi torinesi: Oddone Camerana Margherita Oggero Audisio di Somma, Ragagnin Gianni Farinetti ALBERTO ARBAS1NO

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