Qui si fa l'Italia

Qui si fa l'Italia INCHIESTA SULL'EDITORIA/4. LATERZA E IL MULINO: COME CAPIRE E SPIEGARE I CAMBIAMENTI DELLA SOCIETÀ E DELLA POLITICA Qui si fa l'Italia Mano Baudino CI sono e ci sono stati, queste cose si verificano sempre a posteriori, libri che al loro apparire ci hanno rivelato mutamenti profondi della società italiana cui ancora nessuno aveva badato. Basti pensare a quando Paolo Sylos Labini «scoprì» nel '71 l'importanza del ceto medio nel suo Saggio sulle classi sociali, o quando Romano Prodi e Michele Salvati andarono a studiare le nuove realtà industriali, la produzione delle scarpe o i distretti della piastrella. O quando ancora Giorgio Fuà e Arnaldo Bagnasco capirono, indagando sulla nuova «direttrice adriatica» di sviluppo, che «piccolo è bello». Furono libri importanti, che vendettero poche copie ed ebbero un'influenza enorme su quella stessa società che scoprivano e descrivevano. Uscirono per Laterza e per il Mulino, due editori storici, molto diversi tra di loro che, non certo in maniera esclusiva hanno dedicato un'ampia parte del loro lavoro a questo scavo nella società italiana. Due editori che godono, fra l'altro, di buona salute, pur restando rigorosamente nell'ambito della saggistica. Come si fa? E' possibile conciliare' un alto profilo scientifico con il mercato? «Per noi il criterio commerciale non è mai prevalente. Carto è essenziale - risponde Giuseppe Laterza -. Ma come dice Jean Epstein in quel bel libro sull'editoria che è II futuro di un mestiere (mi sarebbe molto piaciuto pubblicarlo, invece lo ha fatto Sylvester Bonnard), il profitto è l'ossigeno, anche se non si può certo sostenere che l'obbiettivo di una vita sia respirare». Rivolgiamo la stessa domanda a Giovanni Evangehsti, direttore editoriale e amministratore delegato del «Mulino», la casa editrice bolognese nata nel '54 dall'omonima rivista: ((Abbiamo l'obbligo di far controllare la poUtica culturale da un consiglio editoriale espresso dall'associazione - spiega -. Non è certo come il celebre "consigho" einaudiano del mercoledì, fatto di consulenti e collaboratori. Questo è un organo sovrano. Ogni libro viene deciso sulla base di due schede: una riporta il parere del consigho editoriale, obbligatorio ma non vincolante, l'altra il conto economico, elaborato dal consigho d'amministrazione». Perché si arrivi alla pubblicazione sono necessarie entrambe le condizioni. Non è un sistema macchinoso? «Infatti ci sono lamentele perché siamo un po' lenti a decidere. Però grazie a questo procedimento, abbiamo anche delle belle soddisfazioni...». La decisione di stampare, alla fine, è culturale ed economica insieme. Perché: «se andiamo in passivo, finisce la nostra libertà. Ma negli anni siamo riusciti a convincere i librai che i nostri volumi si possono vendere». Un buon libro colloca dalle 3 alle cinquemila copie. Una casa editrice come Laterza ritiene di poter contare su un pubblico potenziale superiore ai due mi.'ioni di persone, i cosiddetti lettori forti o quelli che almeno una volta ogni due mesi vanno in libreria, e lo stesso discorso vale sostanzialmente anche per «Il Mulino». Sembrano piccole cifre, ma bastano a sostenere una parte molto importante della nostra editoria di cultura, quella che per esempio si confronta con la società, la segue, ne valuta i movimenti e certamente, in un modo o nell'altro, la influenza. Titoli importanti possono segnare nuove stagioni. Se ne sono prodotti, si cerca di produrne di nuovi: per esempio, ricorda Laterza, le più recenti analisi^denuncia di corporazioni potenti e significative come quella dei professori universitari (fatta da Raffaele Simone) o dei medici (nel libro di Paolo Comagha che si firmò «medicus medicorum»). Qual è la vostra ricetta, allora? «Noi partiamo dalla società non solo per documentare, ma spesso per andare a fondo con un taglio anche provocatorio», dice Giuseppe Laterza. «L'idea di fondo è quella di fornire alla cultura italiana del materiale serio, rigoroso, per capire che còsa sta succedendo», risponde Giovanni Evangelisti. Sono due ricette non sovrapponibili, anche se facilmente apparentabili. E dipendono dalla diversa natura deUe due editrici. Il Mulino nacque con la scoperta della grande sociologia americana, che ne fece il punto d'incontro della rinata sociologia itahana. Ma l'editrice bolognese, per cui si è usata a volte la definizione di University Press itahana, è qualcosa di molto a sé stante nel nostro panorama editoriale. Non è l'emanazione di ima università, e però è un'espressione del mondo universitario nel suo complesso, perché appartiene all'associazione omonima, una società senza fini di lucro, che raccoglie inteUettuah provenienti dalle maggiori università. Tutti insieme possiedono il 52 per cento delle azioni, mentre il resto è in quota a vari imprenditori, che non hanno voce nella politica editoriale. L'associazione controlla oltre alla casa editrice anche la rivista e la fondazione Carlo Cattaneo, con il suo istituto di ricerca. «La rivista, e i libri vengono fuori dentro un contesto politico-culturale dove c'è tutto questo universo», spiega Evangelisti. Così il Mulino si ritrova a essere la casa editrice itahana con più consulenti, proprio perché il sistema deh'Associazione filtra un'area di «suggeritori» vastissima, che si riuniscono periodicamente nei gruppi di lavoro sui diversi temi, riuscendo a monitorare la produzione accademica. E' da questa galassia che arrivano le proposte. Metterli d'accordo sarà magari un bel grattacapo, ma il sistema a quanto pare funziona, visto il dinamismo della casa editrice bolognese, che spazia dalle collane più specialistiche a quelle popolari - dove il peso degli «editor» è ovviamente molto maggiore - come «Contemporanea», o gli agili volumetti di «Farsi un'idea», dove si può trovare, accanto a un libro di Annamaria Testa sulla Pubblicità, quello di Fabio Merussi e Michele Passano sulle Autorità indipendenti (sottotitolo «Un potere senza partito») per capire istituzioni come le varie Authority o la Consob. Laterza è invece un'impresa famigliare, nata come casa editrice di Benedetto Croce (che detestava la sociologia) e ora, con i cugini Giuseppe e Alessandro Laterza, rispettivamente presidente e amministratore delegato, oltre che l'imo direttore editoriale della «varia» e l'altro della scolastica, giunta oltre la boa del secolo nel segno di una fedeltà «dinamica» alle origini. E' stata tra le prime a spingersi su Internet, con un manuale importante, che veniva aggiornato sul sito della casa editrice. E' appena tornata su questi temi con La nuova società, il caso italiano, di Carlo Carboni, dedicato al «decennio digitale» e ai suoi risvolti sui valori di cittadinanza e opinione pubblica, e con la panoramica su cinquant'anni fatta da Martinelli e Chiesi in La società italiana. Ma parlare di società, pubblicare libri di questo genere, vuol dire dialogare con la politica in senso alto, e anche «fare politica». Vuol, dire misurarsi con problemi di identità. Giuseppe Laterza non ha dubbi su quale sia la sua: da un lato quella di essere «l'editrice dei migliori ricercatori, ma anche dei migliori giornalisti». Dall'altro il poter affermare che «siamo una casa editrice liberale». Non di sinistra? «Se qualcuno mi dice che siamo di sinistra, rispondo che abbiamo anche autori di destra. C'è una spina dorsale in cui ci siamo sempre riconosciuti, che so il magistero di Salvemini, o di Jemolo, e questa è la nostra identità più riconoscibile, ma non esclusiva». Un esempio? «L'anno scorso abbiamo pubblicato nello stesso giorno un libro di Marcello Veneziani e uno, a più mani, di quindici studiosi molto critici nei confronti del governo Berlusconi. Era un segnale: di una casa editrice che non è pregiudizialmente contro qualcuno. Nei giornali spesso ti jvo questa identificazione della Laterza con la sinistra, tra i miei autori no. Pubblichiamo autori liberali anche se con posizioni diverse, come Pierluigi Battista (JZ partito deqli intellettuali) e Nello Ajello, da Intellettuali e pei all'Intervista sull'intellettuale, con Garin». Giuseppe Laterza tiene molto alla ((funzione civile» rappresentata dallo sceghere libri che intervengano sulla società: «Il panorama intellettuale italiano negh ultimi anni è lacerato da faide. Prevalgono gh umori e gli odi personali, e nel nostro dibattito pubblico c'è purtroppo la tendenza a etichettare secondo stereotipi. Per fortuna la società è molto più complessa, le identità sono mobili e frammentarie. Oggi risentiamo, soprattutto nel dibattito mediatico, di stereotipi fortissimi. La mia speranza è di scompighare le carte». E Giovanni Evangelisti tiene altrettanto a una posizione «bi-partisan», anche se dal pensatoio di Bologna è venuto fuori un capo di governo come Prodi, che vi attinse a piene mani, per esempio quando istituì la commissione Onofri per la riforma dello Stato sociale. «La linea che abbiamo tenuto ferma nella rivista e quindi nella casa editrice è sempre partita da una considerazione - ci dice -: il problema non era, non è, di schierare un gruppo di intellettuali a destra o a sinistra». Anche se non si può sfuggire alle scelte. Qual è il grado di «pohticità» che considerate accettabile? «Sembrerà una risposta retorica, ma qui davvero si è sempre parlato di plurahsmo e riformismo» dice Evangelisti. Alla stessa domanda, Giuseppe Laterza risponde che c'è una parte di «militanza», anche se «da un punto di vista quantitativo rappresenta per noi un libro su dieci, e dal punto di vista costitutivo ,è invece uno dei tre filoni principali, insieme alla didattica e alla ricerca. Essere una casa editrice impegnata non vuol dire non essere pluralisti». In una parola, «non nascondere le proprie idee e non nascondersi dietro il mercato». Che certo non può essere ignorato, ma la ricetta può funzionare e anche regalare dei veri best seller. ((Al di là delle 5000 copie vendute in media per la saggistica, che consideriamo un ottimo risultato, i nostri maggiori successi spaziano dalla storia (Il Carlo Magno di Alessandro Barbero fu ristampato e tradotto in molte lingue, per non parlare del best seller assoluto, la Storia d'Italia dal 1861 al 1997 di Denis Mack Smith) alla scolastica, alla "varia", dove svetta l'Etìca per un figlio di Fernando Savater» spiega Laterza. Al Mulino invece mostrano orgogliosamente le ristampe di Viaggi e avventure della Seréndipity, un manoscritto che il grande sociologo americano Robert K. Merton aveva nel cassetto da trent'anni e alla fine ha dato alla casa editrice bolognese in prima mondiale. Uscito alla fine dell'anno scorso, ha anche un valore simbolico, perché ricorda la scelta tematica delle origini. Né gh manca una connotazione affettiva: il libro era un'araba fenice nel mondo degli studiosi. Se ne parlava, ma Merton resisteva a tutte le discrete insistenze perché lo desse finalmente alle stampe. Alla fine, come scrive nell'introduzione, non ha saputo dire no alle sue redattrici di Bologna, che da sempre seguivano impeccabilmente le sue opere. La Casa di Bologna è nata con la scoperta della sociologia Usa E' un'espressione del mondo universitario e ha un numero altissimo di consulenti La Casa di Bari è nata su ispirazione di Croce è un'impresa familiare e si fregia dell'aggettivo «liberale». Niente bestseller, ma grande credito internazionale

Luoghi citati: Bari, Bologna, Italia, Usa