L'appello di Wojtyla smuove i centristi di Giacomo Galeazzi

L'appello di Wojtyla smuove i centristi ALLA FESTA PEjL^iSINiyERSARIO DELL Di DON GELMINI Si EVIDENZIANO LE DIVERSE ANIME DEGLI ESPONENTI DELLA MAGGIORANZA L'appello di Wojtyla smuove i centristi «Tutti vogliamo la pace, ma camminiamo su strade diverse» reportage Giacomo Galeazzi inviato ad AMELIA COME ad una plenaria in Vaticano, herrette porpora dei cardinali e stole violacee d'una ventina tra vescovi e arcivescovi. Come ad un vertice di maggioranza, leader del Polo, coté di ministri, assembramenti di parlamentari. Come al Festival di Sanremo, decine di telecamere, improvvisate passerelle, "photo-opportunities" del cantautore Amedeo Minghi, collegamenti in diretta con la Tv del pomeriggio. Al Mulino Siila di Amelia è andato in scena il 40''anniversaria della comunità anti-droga Incontro e, malgrado gli sforzi "umanizzanti" del fondatore don Pierino Gelmini, la ribalta mediatica ha finito per incellofanare insieme la gioia spontanea dei volontari, l'allegria su misura dello «autorità» e il galateo presenzialista da happening benefico. A scongelare i rituali hanno pensato i venti di guerra, inevitabile terminale delle prolusioni succedutesi sul palco dell'Auditorium e delle conversazioni intrecciate nei corridoi del refettorio. In mattinata è toccato a Savino Pezzetta, segretario della cattolica Cisl, farsi interprete del pacifismo papale, ribadire che un «attacco preventivo è privo di ogni legittimazione», profetizzare prezzi del petrolio alle stelle, abbassamento del tenore di vita dei Paesi industrializzati, catastrofe economica del Terzo Mondo per gli effetti di trascinamento dell'apocalittico scontro. In sintesi, l'ombra cupa della recessione sull'Occidente in armi. Col procedere del "Ceremony day", l'ispirazione irenista si è attenuata. E' stato Rocco Buttiglione, in garbata dialettica con il Vaticano «nowar» enucleato dal cardinale Pio Laghi, a gettare il sasso: «Occorre difendere e proteggere i nostri popoli da eventuali attacchi terroristici, comunque confidiamo che qualcosa di positivo nasca dalli visita in Curia di Aziz». Poi, sotto lo sguardo poco persuaso dei suoi alleati, il titolare delle Politiche comunitarie (da sempre vicino ad ambienti d'Oltretevere) si è avventurato, con linguaggio mistico-diplomatico, in ima complicata apertura di credito al vice caldeo del dittatore iracheno: «Ha fatto cose tenibili, però lo conosco bene, sono suo amico e so che nessun uomo è mai perduto finché la preghiera converte i cuori». Più pragmatico l'altro ministro Udc Carlo Giovanardi, secondo cui puntare alla pace come sta facendo il governo Berusconi non equivale a mettere Bush e Saddam sullo stesso jiano. La linea, secondo il responsabie per i Rapporti con il Parlamento, è sì «la coesione dell'Europa» e «l'Italia fuori dalle operazioni militari», ma ciò senza «l'ostilità verso gli Usa predicata da chi vorrebbe negare le basi e il sorvolo aereo ai nostri alleati». Sulla mozione dell'Ulivo, invece, taglia cjrto il sottosegretario agli Esteri Mano Baccini: «Il piano Mirage franco-tedesco è già stato affossato dall'Iraq». Il rinvio della votazione alla prossima settimana, chiosa l'esponente centrista, «dà modo al Parlamento di pronunciarsi su elementi di fatto incontrovertibili». Distilla cautela il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini. «C'è Tareq Aziz a Montecitorio? Infatti io sono qui da don Gelmini». La spaccatura sulla guerra? «Tutti vogliamo la pace, a differire sono le ricette per raggiungerla». A metà pomeriggio, circondato da politici e prelati (tra i quali il cardinale Jorge Mejia e il capufficio della Segreteria di Stato Giovanni D'Ercole), è il numero due dell'esecutivo a mettere in guardia dalle strumentalizzazioni. «La diplomazia è al lavoro per ottenere, senza sparare un colpo, il disarmo di Saddam - spiega Gianfranco Fini - la guerra, in ogni modo, è stata dichiarata l'il settembre dal terrorismo e il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha imposto all'Iraq di collaborare». In lontananza una radio lascia evocativamente filtrare nella selva acustica di microfoni e altoparlanti le note di «Give peace a chance». Ad Amelia come nei palazzi della politica, il convitato di pietra resta Karol Wojtyla con il suo inequivocabile «manifesto» per la pace. In un'atmosfera ecumenica sono lentamente trascolorati i toni perentori da "fidelitas atlantista" e don Gelmini, mallevadore spirituale degli ex De della maggioranza e patrono acclamato alle feste della Vela, ha insignito del titolo di «protettore» della sua galassia "non profit" proprio Roger Etchegaray, in queste ore mediatore del santo soglio tra i minareti raesopotamici. Voti cattolici in libera uscita, dunque? «Non è questione di stare con il Pontefice o con Bush - si schermisce Maurizio Gasparri - giustamente Giovanni Paolo II punta dritto al cuore della gente e fa appello ai sentimenti collettivi, chi governa, al contrario, deve soppesare in maniera scrupolosa l'effettività dei pericoli. Pure se talvolta i richiami etici del Papa riescono a dipanare nodi lasciati intatti dal pragmatismo della politica, il nostro compito rimane profondamente diverso e consiste nel garantire innanzi tutto la sicurezza dei cittadini. Non dimentichiamo che senza l'orrenda strage alle Twin Towers non saremmo qui a discutere di possibili conflitti». All'orizzonte, secondo il ministro delle Comunicazioni, non ci sono né improvvise "obiezioni di coscienza" degli Udc, né crisi di consenso nell'opinione pubblica moderata. L'allineamento con la Casa Bianca, invece che con il Palazzo Apostolico, non avrà «conseguenze elettorali».

Luoghi citati: Amelia, Europa, Iraq, Italia, Sanremo, Usa