LA MECCA Festa del sacrificio all'ombra della guerra di Mimmo Candito

LA MECCA Festa del sacrificio all'ombra della guerra L'ANNUALE PELLEGRINAGGIO ALLA CITTA' SANTA CONGIUNGE VECCHIO E NUOVO ISLAM LA MECCA Festa del sacrificio all'ombra della guerra retroscena Mimmo Candito SGOZZATI i capretti, mangiati tra le mani, divorati con la felicità che dà la festa più grande dell'Islam l'Eid al-Adha, che celebra l'offerta del sacrificio di Ibraham (l'Abramo del Vecchio Testamento) - compiuto anche il dovere più importante d'ogni musulmano, che è lo Haj, il pellegranaggio alla Mecca e di cui l'Eid chiude il lungo periodo, da oggi i milioni di pellegrini che in queste settimane avevano «occupato» le terre sacre del Profeta cominciano a prendere la strada del ritomo verso casa. E scrutano il cielo, rabbiosi, furenti della passione mistica che lo Haj ha rinnovato nei loro cuori. L'attacco non c'è ancora, Bush e Myers ancora aspettano, qualche ora, qualche giorno; però le trombe della guerra hanno ormai suonato la marcia dell'attacco, e in tutto il Golfo il rancore sordo della nuova umiliazione stringe i cuori dei fedeli di Allah. Il futuro è oscuro, amaro, ma intanto si disegnano le prime conseguenze, come se ormai i marines fossero già dentro Baghdad. E la geografia politica del Medio Oriente comincia da subito a cambiare faccia: mentre la folla immensa dei pellegrini preme, si schiaccia, si soffoca, sulle strade che portano alle frontiere, l'Arabia ^i Saudita fa sapere che non ci saranno più basi e soldati americani nelle terre di Maometto, quando la guerra all' Iraq sarà terminata. Finisce un tempo, il lungo patto che 60 anni fa il presidente Roosevelt aveva firmato sulla tolda d'una nave con il re arabo del petrolio viene stracciato. Cambia forse l'intero mondo, certamente crolla uno dei pilastri sui quali s'era sempre retta (l'altro è l'alleanza con Israele) la strategia americana nelle terre della Mezzaluna. E che questo annuncio sia dato sull'onda della incontenibile passione religiosa che sempre accompagna il tempo dello Haj aggiunge un particolare valore politico alla decisione di Riad. Chi-non è stato in Arabia Saudita durante i giorni del pellegrinaggio nemmeno può riuscire a immaginare che cosa davvero significhi una folla invasata, la confusione immane delle moltitudini che s'accavallano, il caos brulicante di milioni di storie uguali dove si perde ogni identità e ogni misura del reale. Non c'è Piedigrotta, non c'è derby il più infuocato, non c'è panico mcontrollabile e diffuso del nostro mondo laico (pensiamo alle fughe disperate dalle Twin Towers), che possano paragonarsi - anche lontanamente - alla marea di gente che in questi giorni di festa s'abbatte su ogni spazio libero intasandone con metodica e indifferente costanza il flusso della vita quotidiana. Però quel terremoto umano non è soltanto cronaca della Mecca, dove le immagini viste mille volte da tutti noi in tv (alla Mecca, in vivo, sono ammessi soltanto i musulmani) raccontano l'oceano di popolo che ruota attorno alla Kabah come una massa compatta, impenetrabile, quasi portata in quel cerchio in movimento dal nastro meccanico d'un fordismo ancestrale; a esseme travolta è l'intera Arabia Saudita, con le sue strade trasformate in fiumi di gente d'ogni Paese, e i suoi aeroporti che diventano bivacco di pellegrini nient'affatto diversi dai loro antenati di secoli medievali (il contrasto stridente tra la modernità dell'aeroporto e i ritmi arcaici di vita dei fedeli viene assorbito dalla passività smarrita dei pellegrini, a null'altro interessati e volti che al loro viaggio mistico). Nei giorni dello Haj l'Arabia Saudita compie un salto drammatico nel tempo e toma alla sua storia antica ancor più radicalmente di quanto le impongano nella quotidianità d'oggi i rigori della sua lettura wahabita (la più ortodossa e intransigente) del Corano e l'orgoglio d'essere comunque la terra dove il Profeta nacque, lottò, e impose la religione dell'Islam. Ed è in questi giorni che si fa più evidente l'ampiezza della contraddizione che veniva imputata alla monarchia di re Fahd dalle correnti fondamentaliste: la contraddizione tra questo immutabile retaggio sacro e la blasfemia, invece, d'ospitare sulla stessa terra di Maometto gli «infedeli» del corrotto Occidente, cioè i marines e gli avieri americani delle basi militari saudite. Periodicamente, nella folla sterminata del pellegrinaggio emerge sem¬ pre qualche banda d'invasati che tenta di far esplodere quella contraddizione con un assalto armato (l'episodio più significativo avvenne al tempo della rivoluzione khomeinista, quando l'attacco arrivò fino al cuore stesso della geografia musulmana, la moschea della Mecca: la battaglia insanguinò sacrilegamente il legato di Maometto, ma venne messa comunque a tacere, per evitare le drammatiche conseguenze che avrebbero travolto la legittimità della moraarchia saudita quale «custode delle terre sacre»). I controlli si sono fatti sempre più rigidi, severi, e nessun caso ha riproposto le dimensioni dell'assalto sciita alla sacra moschea. Ma non ve dubbio che, se l'attacco americano a Saddam venisse lanciamo proprio in questi giorni che stanno in coda allo Haj, l'esplosione della rivolta troverebbe alimento immediato, forse incontrollabile, non solo a Riad ma anche a Karachi, Gaza, Kartum, Lagos, in ogni latitudine della galassia musulmana. Lo Haj - il viaggio alla Mecca almeno una volta nella vita, se il fedele ne ha i mezzi - è uno dei 5 doveri che l'Islam impone ai musulmani. Gli altri sono l'attestazione della fede («Non ce Dio al di fuori di Dio - La ilaha ilTAllùh - e Maometto è il suo profeta - Mohammed rasul Allah»); la preghiera quotidiana (cinque volte al giorno, in tempi, modi, e ritualità obbligati); il pagamento della decima (lo Zakav, che è elemosina ma anche purificazione e saldo del debito con Allah); infine il digiuno durante il mese del Ramadan (sempre il nono mese del calendario lunare islamico). Nel tempo dello Haj, la tensione mistica è straordinaria, profonda, accelera e chiude il percorso di conferma dell'identità dei fedeli; e la massa dei praticanti torce nelle pulsioni incontrollabili della psicologia della folla ogni notizia, ogni episodio, che incida darettamente sulla stato d'animo collettivo - come sarebbe il caso d'un attacco americano ora. La decisione di Riad di chiudere il patto firmato con Roosevelt in quel giorno ormai dell'altro secolo tende a creare ima prima cornice protettiva, contro l'uragano che sta per scatenarsi nel Golfo; tenta un messaggio che sperabilmente per re Fahd - prevenga l'irrompere della sequela di rivolgimenti che potrebbero farsi subito incontrollabili, trascmando nella frattura delle emozioni e della rabbia collettiva la stessa sorte dei 5 mila principi sauditi e del loro sovrano (oltre che di governi già sotto mira, come quello pakistano e il giordano di re Abdallah). E a rafforzare questo proposito difensivo, Riad ha anche fatto sapere che, se in questi giorni di sacra confusione ci fossero tensioni e manifestazioni provocate da un attacco, «non sarà fatto nulla, perchè nulla può essere fatto» davanti al furore di milioni di fedeli: la dichiarazione, di lapalissiana apparenza, porta in realtà il messaggio che la monarchia saudita sceglie il campo dei fedeli, e rispetta i loro sentimenti, i loro turbamenti. Comunque, «per evitare qualsiasi speculazione», ha intanto rifiutato il visto alla troupe della televisione Ai Jazeera: nel mondo (apparentemente! immobile e antico dell'Islam, si conoscono però bene i pericoli della modernità che i mass-media si portano addosso. E allora è meglio sbarrare la porte, sperando così di tener lontani i diavoli inquieti che la guerra sta per scatenare sulle città e sui deserti d'una terra che fu, in un tempo lontano, il Paradiso Terrestre. L'attacco non c'è ancora ma in tutto il Golfo il rancore sordo della nuova umiliazione stringe i cuori dei fedeli di Allah. Il futuro è amaro, ma già si disegnano le prime conseguenze: mentre la folla si schiaccia, Riad fa sapere che non ci saranno più basi Usa nelle terre di Maometto L'intera Arabia Saudita è travolta dal terremoto umano dello Hajj e dalla sua tensione mistica La monarchia ha rifiutato il visto alla troupe della tv AUazeera: nel suo mondo antico conosce bene i pericoli della modernità che i mass-media si portano addosso, e preferisce sbarrare le porte Nella foto grande, un gruppo di donne si affolla per il rito della Lapidazione del diavolo presso La Mecca. Sotto, un poliziotto saudita con mascherina controlla i pellegrini ^i