Ozu, il pudore dei giapponesi di Gianni Rondolino
Ozu, il pudore dei giapponesi Ozu, il pudore dei giapponesi Una grande retrospettiva introdotta da Wim Wenders Gianni Rondolino BERLINO Non aveva mai sentito parlare di Yasuyiro Ozu, il grande regista giapponese di cui ricorre quest'anno il centenario della nascita e il quarantesimo della morte. Per caso, a New York, vide «Tokyo Monogatari» e ne fu talmente impressionato che lo volle rivedere tre volte. Alla fine concluse che quel film gli aveva cambiato la vita. Sono parole di Wim Wenders che domenica scorsa, al Berli ■ nale-Palast, davanti a un pubblico numeroso e commosso, ha introdotto «Tokyo Monogatari», scelto per aprire ufficialmente la retrospettiva completa dedicata a Ozu, di cui alcuni film si vedranno nel corso del Filmfest e gli altri al Cinema Arsenal sino a fine marzo. Una retrospettiva resa possibile dalla casa giapponese Shochiku, che ha prodotto la maggior parte dei suoi film e li rimette in circolazione in buone copie sottotitolate in inglese. Della vastissima produzione di Ozu, oltre 50 film in 35 anni di carriera, se ne sono salvati 33: sufficienti a farci conoscere uno degli autori più grandi della storia del cinema, un regista di un rigore formale assoluto e al tempo stesso di una semplicità d'eloquio sorprendente. Come se la sua cinecamera, quasi sempre ad altezza di bambino o di adulto seduto, si limitasse a registrare i piccoli fatti quotidiani, la vita semplice e anonima di ogni giorno. E invece proprio quel suo sguardo infantile diventa l'unico modo eh vedere ciò che sta dietro la realtà e ne determina lo svolgimento: i sentimenti, gli affetti, ma anche l'indifferenza, l'egoismo, la perdita dei valori tradizionali. In questo senso «Tokyo Monogatari» del 1953 (uscito in Italia col titolo «Viaggio a Tokyo») è esemplare. Nel raccontare il viaggio di una coppia di anziani genitori dalla lontana cittadina di Onomichi a Tokyo, per visitare il figlio e la figlia Wim Wenders sposati e là trasferitisi da molti anni, Ozu non calca mai la mano sui sentimenti o sugli effetti drammatici provocati dagli incontri e dagli scontri fra i personaggi. Guarda con partecipazione, ma soprattutto con pudore, l'evolversi della situazione. Comprende l'amarezza dei vecchi che non ritrovano più nei figli l'affetto e l'amore di un tempo. Sottolinea invece la devozione della nuora, rimasta vedova del marito morto in guerra. Ma, in ogni caso, preferisce la discrezione all'enfasi, la contemplazione alla drammatizzazione. Così il suo film, in bianco e nero, senza movimenti di macchina o effetti speciali, mantiene, dopo cinquant'anni, la sua straordinaria modernità; e ci introduce mirabilmente nel mondo poetico di un grande regista. Wim Wenders
Persone citate: Wim Wenders
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