L'ambasciatore di Londra: «Uniti contro Saddam» di Emanuele Novazio

L'ambasciatore di Londra: «Uniti contro Saddam» L'ambasciatore di Londra: «Uniti contro Saddam» intervista Emanuele Novazio TORINO UNA frattura insanabile all'interno della Nato sugli aiuti alla Turchia? «Si tratta soltanto di differenze sui tempi, sulla valutazione se è questo il momento di preparare il progetto. Ma di sicuro un progetto bisognerà farlo, la Turchia non potrà essere lasciata esposta a contrattacchi iracheni. Tutti gli alleati hanno l'obbligo di aiutare la Turchia». Sii" John Shepherd, ambasciatore britannico in Italia, smorza sui contrasti fra alleati. In vista a «La Stampa» dopo avere assistito all'inaugurazione della linea Torino-Binningliam della Brilish Airways («un segno di fiducia», commenta), il rappresentante del governo di Sua Maestà è convinto che una linea comune sarà trovata: «In fondo il problema resta per tutti lo stesso, il disarmo di Saddam». E le proposte franco-tedesche? «L'obiettivo resta la cooperazione dell'Iraq sul disanno. L'intensificazione delle ispezioni potrebbe servire soltanto in questo caso». Le divisioni europee sono apparse anche a proposito della lettera firmata da otto capi di Stato o governo, fra i quali Blair e Berlusconi». «Il documento pubblicato su vari giornali, non una dichiarazione formale dunque, rimaneva nel quadro della posizione europea soltoscrilta dai ministri degli Esteri. E' diventato soprattutto un soggetto di dibattito interno». Le opinioni pubbhche sono contrarie a guerra; anche Blair dovrà tenerne conto. «Non si accettano volentieri le prospettive di una guerra, si vuole essere convinti che si farà soltanto se sarà davvero necessaria. Ma se il Consiglio di Sicurezza confermerà il mancato rispetto della risoluzione 1441, questo fatto avrà il suo effetto sull'opinione pubblica. Dal punto di vista legale una nuova risoluzione non è necessaria, ma certo è fortemente desiderata dal punto di vista politico». La guerra è inevitabile? «Continuiamo a sperare che Saddam cooperi: ma non si tratta di aprire la porta quando gli ispettori bussano, serve qualcosa di molto più sostanziale. La possibilità esiste, e sarà rafforzata se nel Consiglio di sicurezza, in Occidente e nei Paesi mediorientali troveremo l'unità. Ma i tempi stringono, l'uso della forza diventerà necessaria se Saddam non disarmerà: dal '91, le risoluzioni impongono 23 obblighi all'Iraq mai soddisfatti. Saddam ha un molto lavoro da fare». La missione dell'inviato vaticano e la visita di Tareq Aziz al Papa potrebbero sbloccare la situazione? «E' naturale che tutti facciano uno sforzo per evitare un conflitto, ma l'obiettivo rimane il disarmo dell'Iraq. Se questi sforzi puntano a questo obiettivo e riescono a convincere Saddam, ne saremo tutti contenti. Ma bisogna essere chiari: l'obiettivo è il disarmo, non ritardare la decisione». L'esilio di Saddam eviterebbe la guerra? «Certamente se Saddam se ne andasse si aprirebbe una possibilità; ma il governo iracheno avrebbe comunque il dovere di obbedire alle risoluzioni Onu». Le prospettive di guerra hanno ulteriormente avvicinato Roma e Londra, creando nuovi equilibri in seno all'Ue? «Non mi piace parlare di asse italo-brilannico; lo si mette- in opposizione a Francia e Germania, ed è una concezione che non vogliamo incoraggiare. Lavoriamo con molti partner, in Europa: si tratta di alleanze mobili, non c'è nessuna contrapposizione fra gruppi».

Persone citate: Berlusconi, John Shepherd, Tareq Aziz