Virginia Woolf non fa più paura

Virginia Woolf non fa più paura Virginia Woolf non fa più paura Il regista Daldry rende sullo schermo il suo raffinato manierismo Alessandra Levantesì BERLINO Premio Pulitzernel '99, il best-seller «Le Ore» (Bompiani) di Michel Cunningham è un romanzo di alta maniera: tre racconti che, svariando su «Mrs. Dalloway» di Virginia Woolf (il cui titolo originario doveva per l'appunto essere «The Hours»), si svolgono nell'ambito di un solo giorno in epoche e luoghi diversi, più un prologo ambientato nel '41 in cui vediamo la Woolf lasciarsi annegare con le tasche piene di pietre. Ma nel nome di Virginia e della sua eroina Clarissa Dalloway un filo sottile intreccia queste storie apparentemente slegate: a partire dal fatto che in ognuna si parla di una festa piccola o grande da organizzare, di rapporti o tentazioni omosessuali e di pulsioni suicide. In giugno, ai giorni nostri, la sofisficata newyorkese Clarissa Vaughan, soprannominata Mrs. Dalloway, è impegnata a preparare un party in onore dell'ex amante Richard, un poeta che sta morendo di Aids. In giugno nel 1949 a Los Angeles, la casalinga Laura Brown sfoga le sue inquietudini di moglie e madre insoddisfatta chiudendosi in una stanza d'albergo a leggere «Mrs. Dalloway» con un flacone di pillole accanto. Nel rifugio forzato di Richmond, dove la confina la sua malattia di nervi e dove ha iniziato a scrivere il suo romanzo. Virginia (siamo nel 73) programma di tornare a Londra e decide che Mrs. Dalloway alla fine non si ucciderà. Non era facile tradurre sullo schermo un libro intimista che parafrasa il monologo interiore a più voci della Woolf, il cui testo è citato a tratti letteralmente. Eppure l'inglese Stephen Daldry, il regista di «Billy Elliott», ha vinto la scommessa proprio giocando sullo stesso piano di raffinato manierismo di Cunningham sulla base di un'essenziale sceneggiatura del drammaturgo David Hare. Il significato del film (in concorso al FilmFest), ovvero la scelta della vita contro la morte nonostante il carattere effimero della felicità, emerge con chiarezza anche per chi non conosce il modello letterario; e un montaggio di gran classe (di Peter Boyle) provvede a rendere fluidi come sulla pagina i passaggi da una storia all'altra. Quanto all'emozione «Le Ore» si affida all'intensa interpretazione delle attrici protagoniste, Meryl Streep nella parte della trepida Clarissa, Nicole Kidman invecchiata e con protesi nasale che forse della Woolf restituisce troppo la cupezza e meno la nervosa sensibilità e Julienne Moore nei panni di una Laura dolorosamente repressa e sull'orlo della crisi. Non ci sarebbe da stupirsi se tutt'e tre finissero in zona Oscar, ma anche gli altri attori. Ed Harris (Richard) in testa, sono validissimi.

Luoghi citati: Berlino, Londra, Los Angeles, Richmond, Virginia