«Il femminismo ha portato in cucina anche gli scrittori»
«Il femminismo ha portato in cucina anche gli scrittori» DACIA MARAINI ALLA TERRAZZA MARTINI «Il femminismo ha portato in cucina anche gli scrittori» MIRELLA SERRI Del modo in cui un buon menu o l'intimità di una calda e accogliente cucina possano diventare complici di una bella pagina romanzesca ne discuterà Dacia Maraini, commentando «Kitchen», di Banana Yoshimoto, domani alla Terrazza Martini a Pessione di Chieri, inaugurando «Il libro è servito». In questi giorni che si è fratturata un polso, la Maraini ha rinunciato al piacere dei fornelli dove afferma di passare parecchie ore sperimentando, come un alchimista stregone, zuppe e manicaretti vari. Altrettanto tempo in cucina lo passano i suoi personaggi dediti anche loro a impreziosire pran¬ zi e cene. Oppure, se vivono in altre epoche, la scrittrice imbandisce per loro tavole sontuose, come per Marianna Ucria, gentildonna del '700. «E' stato circa una decina di anni fa che la letteratura ha cominciato sempre più a occuparsi di gastronomia. Una delle prime è slata proprio Banana e, da allora, l'elenco delle scrittrici che perseguono l'abbinata cucina-racconto è sempre più numeroso. Tra le mie preferite, "Afrodita", miscellanea eroticonarrativo-gastronomica di Isabel Allende e "Chocolat" di Jeanne Harris che è anche un bel film». Tutte donne? «Non solo. Bravi anche i romanzieri, da Vàzquez Montalbàn a Camil- Ieri a Orengo, per esempio, che hanno inserito piatti e bocconi prelibati nelle loro pagine. In questo fenomeno a mio parere c'è un riflesso del femminismo. Non è una presa di posizione consapevole, ideologica, ma è qualcosa che arriva per via indiretta per portare tra le pagine di un racconto l'esperienza storica delle donne. E' un modo per femminilizzare il romanzo». Le sue ricette preferite? «Il cibo è specchio di una cultura, è un modo di raccontare la vita e anche la società in cui si muove un personaggio. La ricetta dipende dunque da come voglio presentare i miei protagonisti. Cosi, per esempio, in "Voci" c'era la commissaria che cucinava piatti un po' particolari, stravaganti e anche rapidi. Per Marianna Ucria mi sono dovuta documentare moltissimo sui manuali di cucina». E il risultato? «Eccellente, con ricette siciliane da far venire l'acquolina in bocca, come le "gremolate", cosi all'epoca chiamavano i gelati di frutta, oppure dolcissime palle di arancio cotte nel miele». Lei cucina veramente o solo per iscritto? «Veramente. L'ho imparato da mia madre Topazia. E poi c'era mio nonno, Enrico Albata, che ho conosciuto molto poco perché è morto non molto tempo dopo il mio rientro dal Giappone dove ero stata con la mia famiglia. Mio nonno addirittura ha scritto un manuale di cucina vegetariana, ristampato ancora oggi da Flaccovio. Tra le sue ricette, c'era quella della caponata o delle sarde a beccafico. La buona cucina ce l'ho nel Dna». Moravia, suo compagno per anni, invece, di cucina non ne parlava tanto nei suoi romanzi. Il racconto da cui trasudano umori, profumi, sapori è un'acquisizione degli ultimi anni? «Prima sembrava una cosa da cameriere parlare della cucina. Adesso spesso è il cuore della casa e ci si vive. Il romanzo moderno lo ha capito».
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