Una «Nemica» e con pretese
Una «Nemica» e con pretese Una «Nemica» e con pretese GEORGES Steiner ha argomentato che il concetta di progresso vige per la scienza e non per l'arte: una locomotiva dell'Ottocento può far ridere, ma «Guerra e pace» non sembra certo un oggetto di antiquariato. D'altro canto, di un brutto romanzo antico non sappiamo che farci, a spazzarlo via è bastata la moda. Dunque la moda passa, e i capolavori restano. Ecco: oggi la moda ha decretato la fine delle cosiddette commedie ben fatte di una volta, e non se ne scrivono più. Però quando teatranti avventurosi ne recuperano una, ce la godiamo tutti quanti: purché, ecco il punto, sia una di quelle buone. Non è questo, ahimè, il caso della rispolverata Nemica di Dario Niccodemi (1915), quantunque di mai cessata risonanza anche televisiva. Il genere stesso cui apparteneva mèlo con pretese - era ancora abbastanza vivo, perlomeno nella memoria del pubblico, n- gli anni Sessanta, quando Paolo Poli la sbeffeggiò irresistibilmente. Ma oggi non sembra valga nemmeno la pena di far questo. Recuperandola, il Biondo di Palermo non ha economizzato, che la confezione ora a Roma è impeccabile, attenta regia nientemeno che di Mario Missiroli, intelligente, elegante scena di Enrico Job, disegnatore anche degli squisiti costumi in bianco e nero. E' la materia del testo che non consente di sospendere nemmeno per un momento l'incredulità. Nella magione di campagna feudo di una grandissima famig ia francese, siamo tra duchi e contesse più un lord inglese in visita, il giovane Roberto che ha ereditato il titolo, e dal cui fascino nessuno è immune, non si dà pace (se se ne infischiasse, non ci sarebbe commedia) per la dichiarata ostilità della madre, che coccola solo il minore, Gastone. La ripicca di una arrampicatrice respinta, figlia del notaio di casa, apre gli occhi a Roberto, che nacque da un capriccio del duca e che la duchessa ha poi sempre finto suo, salvo ora soffrire perché al suo posto vedrebbe meglio il proprio rampollo. Crisi di Roberto e grandiosa scena madre-figlio (tutti gli autori di teatro a un certo punto vogliono vedere se riescono a far meglio di Shakespeare). Nel terzetto è scoppiata la guerra, i ragazzi sono al fronte, e il monsignore fratello della duchessa porta la notizia della morte di uno dei due. «Quale?» è la battuta che per mezzo secolo tante primedonne sognarono di pronunciare. Lo spettacolo di Missiroli è inappuntabile. In particolare la prestazione di Valeria Moriconi, prima autorevole e poi schiantata come meglio non si potrebbe desiderare, e anche quella di Gianna Piaz come la petulante contessa madre. La graziosa Valentina Bardi se la cava come figlia del notaio Regnault, che è Enzo Turrin, il più convincente tra gli uomini. Quanto ai due giovanotti, il Gastone di Augusto Fomari è un cucciolone cordiale, mentre il Roberto di Armando De Ceccon assomiglia certo intenzionalmente alle fotografie del biondo e freddo Bosie Douglas. Due ore e un quarto compresi due intervalli, al Quirino fino al 2 marzo.
Persone citate: Armando De Ceccon, Enrico Job, Enzo Turrin, Gianna Piaz, Mario Missiroli, Missiroli, Paolo Poli, Shakespeare, Valentina Bardi, Valeria Moriconi
Luoghi citati: Roma
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