SALVATORES Bambini coraggiosi di Fulvia Caprara

SALVATORES Bambini coraggiosi SALVATORES Bambini coraggiosi Fulvia Caprara inviala a BERLINO Sotto un campo di grano allagalo di sole si possono nascondere tante cose, anche le più spaventose, anche un buco nero dentro cui è difficile guardare: «Quello che stiamo vivendo non è un bel momento, ci troviamo continuamente davanti a dei mostri, per questo, proprio ora, è importante sapere che bisogna superare i timori, non chiudere gli occhi, alzare il velo, disubbidire». Con «Io non ho paura», tratto dall' omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti, unico film italiano in gara al FilmFest, Gabriele Salvatores ha portato ieri a Berlino il sapore di quel Sud, stavolta collocato in Italia, al confine tra Puglia e Basilicata, a lui particolarmente caro: «Sono attratto dai contrasti, una cosa che oggi difficilmente viene espressa, prevale l'adattamento alla realtà e invece gli artisti non dovrebbero uniformarsi, ma, anzi, stare sempre un passo avanti. Mi interessano le vicende di quelli che non sono destinati a diventare protagonisti, por questo mi ò piaciuto trasformare in eroi e eroine i bambini al centro di questa storia epica, fatta di scoperta, paura, disobbedienza, solidarietà. Bambini nati in un Sud dimenticato, invisibili ai nostri occhi, a cui ho voluto regalare inquadrature alla John Wayne». Con Salvatores, a presentare il film, accolto alla Berlinale da applausi e vivo interesso e festeggiato, ieri sera, con un «Italian party» neir«Atrium der Deutschen Bank Berlin»», sono arrivati l'autore del racconto, i produttori, e gli interpreti, la spagnola Altana Sanchez-Gijon, Diego Abatantuono, che sullo schermo è trasformato in una specie di orco delle favole, e soprattutto i due protagonisti, Mattia Di Pierro, cioè Filippo, il bambino rapito e tenuto prigioniero in un fosso, e Giuseppe Cristiano, cioè Michele, il ragazzino che lo scopre e alla fine gli salva la vita. Racconta Salvatores: «Abbiamo fatto provini a 540 bambini, tutti originari dei luoghi dove è ambientata la storia; i bambini, anche se sono piccoli, hanno già tutto dentro, non hanno bisogno di grandi insegnamenti, ho raccontato loro la trama esattamente com'è e non gli ho chiesto di recitare perchè sono già abituati a farlo, quando giocano e dicono, spesso usando il passato, "facciamo che io ero il cowboy e tu l'indiano"». D'altra parte che cosa si può insegnare a un bambino come Mattia (Filippo) che, davanti alla platea internazionale degli addetti ai lavori, spiega: «Mi sono fatto l'idea che il buco, quello dove sto nel film, è come la tristezza: quando si è tristi ci si chiude dentro un buco». Accanto a lui Giuseppe racconta come è stato scelto: «Ero a scuola, un giorno è venuta una ragazza e mi ha chiesto se volevo partecipare a un provino, io, tutto contento, ho detto di si. Ce l'ho messa tutta per riuscire a fare il film e adesso mi piacerebbe continuare perchè mi sono molto divertito. Gabriele non era mai nervoso, sul set parlavamo di un sacco di cose, anche strane». Separati dal mondo degli adulti come se, dice Ammaniti, «piccoli e grandi appartenessero a due tribù animali diverse», i ragazzini del film stabiliscono un «rapporto di solidarietà» che li protegge dalla violenza che hanno intorno, che li libera dalla paura: «Mi piacerebbe - dice il regista - che questo film lo vedessero i bambini. Insieme con gli anziani appartengono alle due categorie che oggi non trovano posto nella nostra società solo perchè non producono. Ho girato la pellicola dalla loro prospettiva, anche tecnicamente, da un'altezza di circa un metro e trenta, quella del protagonista. Dopo tanti film sento sempre più forte la necessità di raccontare la realtà sperimentando filtri diversi». Anche Nicolas Cage, interprete di due personaggi nel «Ladro di orchidee» di Spike Jonze, in gara sempre ieri, racconta di avere avuto, con questa nuova pellicola «l'opportunità di fare qualcosa di completamente nuovo, di trasformare totalmente me stesso». Nel doppio ruolo dello sceneggiatore protagonista del film e di suo fratello, Cage si è sentito come «al centro di un'idea narrativa che ricorda il cubismo». Nonostante si dichiari una persona molto timida («E' vero, ho tuttora questo problema, ma ci sto lavorando»), l'attore, durante l'incontro con i giornalisti, sfodera una grinta da mattatore, infila una battuta dopo l'altra. Soddisfatto del lavoro di attore («se non ci fossi riuscito avevo deciso che avrei fatto il marinaio»), Cage è romanticamente convinto che, nella vita, «l'importante è dare amore, non conta se non si è ricambiati». Intanto, accanto alla carriera di interprete, sta costruendo quella da regista, e infatti ha già girato «Sonny», protagonisti Brenda Blethyn e Mena Suvari, la lolita tentatrice di «American beauty». Unicoitaiiano in concorso a Berlino «lo non ho paura» basato sul best seller di Niccolò Ammaniti con un Abatantuono trasformato in orco e un'infanzia dolente filmata alla John Wayne Un momento del film di Salvatores «lo non ho paura»

Luoghi citati: Basilicata, Berlino, Italia, Puglia