BERLINO musical e impegno di Lietta Tornabuoni

BERLINO musical e impegno AL FESTIVAL, CHE Si APRE OGGI CON «CHICAGO», MOLTI FILM AFFRONTANO TEMI SOCIALI E POLITICI. SALVATORES UNICO ITALIANO IN GARA BERLINO musical e impegno Lietta Tornabuoni IL naso finto (detto ora pomposamente «protesi nasale») appiccicato a Nicole Kidman nel tentativo (fallito) eh farla somigliare almeno un po' a Virginia Woolf, potrà anche essere una garanzia di comicità al 53" FilmFest di Berlino che comincia stasera, ma il direttore Dieter Kosslick non ha molta voglia di ridere: «Quello che succede nel mondo ci ha impegnato a scegliere anche film che affrontino con serietà temi politici e sociali attuali. Speriamo soltanto, con tutto il cuore, di non clover essere contemporanei a una guerra». I film sociopolitici di cui parla potrebbero essere, a esempio, «The Life of David Gale» di Alan Parker, denuncia della pena di morte nello Stato americano di Bush, il Texas; «In this World» di Michael Winterbottom, racconto del viaggio di due profughi afgani da Peshawar all'Inghilterra; «Goodbye, Lenin! » Di Wolfgang Becker, sulla Germania orientale che non vuole sparire, neppure anni dopo la riunificazione del Paese; «Lettere dalla Palestina», film collettivo italiano presentato al Forum, autori anche Labate, Maselli, Monicelli. Scola; e in certo modo pure l'unico film italiano in concorso, «Io non ho paura», che Gabriele Salvatores ha tratto dal libro di Niccolò Ammaniti pubblicato da Einaudi, storia di due bambini, uno sequestrato e l'altro figlio dei sequestratori. Si svolge 2200 anni fa, è in costume ma rimane ricco di significati politici il nuovo film cinese con arti marziali di Zhang Yimou, titolo internazionale «Hero», eroe, protagonisti Tony Leung, Maggie Cheung, Zang Ziyi: la corte e la vicenda dell'imperatore Qin Shihuang, ispiratore di Mao, unificatore della Cina vittorioso sui signori della guerra, avventuriero militare capace di sostituire il feudalesimo con una monarchia spietata, massacratore dei maestri confuciani e distruttore dei loro libri, iniziatore della costruzione della Grande Muraglia. Anche le reazioni cinesi al film, uscito a Pechino a metà dello scorso dicembre, sono state prettamente politiche: «Hero» è stato apprezzato dai vertici governativi e di partito, mentre Zhang Yimou è stato accusato dai critici di «sostenere e diffondere una filosofia del servilismo». Impegno sociale e politico sono rappresentati anche più direttamente a Berlino: è del resto una tradizione del festival, nato dopo la seconda guerra mondiale per stabilire un ponte non soltanto culturale tra Est e Ovest, avversato per questo dalla destra con tale acrimonia da indurre il maggiore editore tedesco-occidentale di destra, Springer, a promuovere un premio televisivo popolato di ehvi americani famosissimi per cercare di umiliare la serata inaugurale del FilmFest. Cose vecchie. Stavolta, tra l'inaugurazione di stasera col musical «Chicago» di Kob Marshall e il 16 febbraio conclusivo con «Gangs of New York» di Martin Scorsese, tra omaggi a Murnau, a Ozu e ad Anouk Aimée, tra 57 lavori tedeschi, 17 italiani e star lucenti, il festival rispecchia le cine-tendenze del momento più diffuse. La tendenza degli attori a autopromuoversi registi è esemplificata da «Confessions of a Dangerous Mind», primo film diretto da George Clooney, in cui un presentatore televisivo si trasforma in una spia della Cia e poi in un killer feroce. Pare che non sia sensazionale, ma può capitare: se quest'anno debuttano come registi Nicolas Cage /«Sonny»). Salma Hayek («The Maldonado Miracle»), Denzel Washin- gton («Antwone Fisher»), se nel passato sono diventati registi Sean Penn, Jodie Poster o Kevin Spacey, chi ricorda davvero i film diretti da Robert De Niro («Bronx»,1993), da Tom Hanks («Music Graffiti», 1996)? Tendenza più radicale: come hanno rilevato gli studiosi della cultura contemporanea, non siamo più una società capace di innovazioni creative; al contrario, siamo diventati una civiltà che sopravvive nell'incessante riciclaggio di prodotti culturali di rifiuto, vestiti fuori moda, antichi fumetti, remakes di vecchi film, miscugli di annosi pezzi musicali rimaneggiati per venir definiti il sound di questa settimana, della scorsa stagione, di domattina. Esempio significativo di questo ruminare, «The Hours» di Stephen Daldry, cpiello del naso finto. Percorso esemplare: nel 1925, la scrittrice inglese Virginia Woolf creò un bel romanzo su una giornata cjualunepie di una donna qualsiasi: aveva pensato di chiamarlo «The Hours», scelse invece il titolo «La signora Dalloway». Oltre settant'anni dopo, l'americano Michael Cunningham scrive un libro ispirato alla «Signora Dalloway»: tre episodi, tre donne che vivono in tempi diversi del ventesimo secolo, una ai giorni nostri, una alla fine della seconda guerra mondiale e la terza è Virginia Woolf nel giorno in cui comincia a scrivere «La signora Dalloway». Da questo libro viene tratto il film americano in concorso a Berlino con Meryl Srtreep, Julianne Moore e Nicole Kidman, mentre «Adaptation» di Spike Jonze è l'andirivieni dentro e fuori un film. Al FilmFest i prodotti ài secondo o di terzo grado sono presenti come ovunque, ma a Berlino è più indiscutibile il motto del festival 2003: «Toward Tolerance», verso la tolleranza. Richard Gere e Renée Zellweger sono i protagonisti di «Chicago», pluripremiato con i Golden Globes, che apre il Festival