Due razzi a Khost per dare il benvenuto agli alpini di Giuseppe Zaccaria

Due razzi a Khost per dare il benvenuto agli alpini PER ORA NON SI SEGNALANO GROSSI GRUPPI DI TALEBAN NELLA ZONA Due razzi a Khost per dare il benvenuto agli alpini Sparati da una banda tribale contro la prima cinta del campo che ospiterà i nostri reportage Giuseppe Zaccaria inviato a KABUL AH, non era una missione di guerra? Va bene, basta che da Roma qualcuno ce lo dica...». Il commento dell'ufficiale italiano (non specificheremo se «alto» o «basso», dato che in certi momenti chi è in prima linea rischia la carriera) sintetizza bene lo stato d'animo dell'eroica pattuglia in Afghanistan. Sono bastati due artico i di giornale e le dichiarazioni di «routine» di un ufficiale americano per scatenare l'ennesima tempesta politica interna. Da questi gelidi altopiani l'Italia però dista un po' più dei seimila chilometri geografici, le polemiche politiche alcuni anni-luce ed il confronto fra parole e fatti altri spazi ancora più siderali: dunque, passata la bufera verbale prepariamoci al peggio (o al meglio, nel senso di peso militare), affrontia¬ mo questo compito e che Dio ce la mandi buona. L'altra sera due razzi sono stati lanciati dalle solite bande contro la base «Salerno», quella che alla periferia di Khost si appresta ad ospitare gli italiani. Per noi non è una gran notizia, visto che si tratta di un insediamento non ancora occupato dagli alpini e neppure dedicato al nostro Paese, ma soltanto al famoso sbarco americano della seconda guerra mondiale. Sorge intomo ad una vecchia pista d'atterraggio che nell'epoca d'oro afghana veniva usata per trasportare droghe leggere, oggi è fortificata (infatti le granate si sono fermate contro la seconda linea di cavalli di frisia) e per i «pashtun» delle province meridionali rappresenta un po' il simbolo di quanto erano belli i vecchi tempi. Dunque, sarebbe stupido seminare al armi a futura memoria. Piuttosto, è singolare il fatto che il. colonnello Roger King annunci la cosa in conferenza stampa senza che il contingente italiano ne sia informato. I nostri alpini appren¬ deranno la cosa qualche ora dopo dalle agenzie di stampa, un minimo di coordinamento in più forse non guasterebbe. In altre province, come quella di Zabul i governatori lanciano allarmi annunciando che i vecchi «taleban» stanno ricattando con le armi le popolazioni locali «per convincer e ad unirsi a loro». Continuano un po' dappertutto perlustrazioni ed incursioni delle truppe americane contro grotte, rifugi segreti e villaggi montani: la situazione generale, insomma, sembra virare nuovamente verso l'ebollizione, e l'ordine provvisoriamente costituito vede aumentare i suoi problemi anche perché alla vigilia di un attacco occidentale contro l'Iraq nessuno potrebbe aspettarsi il contrario. Proviamo però a mettere da parte le parole e tentiamo di decifrare i fatti. Da combattenti o, se si vuole da pacificatori, i nostri alpini si attrezzano a spostarsi nell'area di Khost ed allora è meglio chiedere notizie di quella zona a chi la conosce. Da due anni i volontari di organizzazioni non governative americane, r«Irc» che sta per «International Resene Comitee» assistono le popolazioni della regione. Dopo l'Unhcr l'aire» è la prima organizzazione non governativa del mondo ad occuparsi di rifugiati. Amanullah Hotak è un ex giornalista che da anni ha cambiato lavoro per diventare responsabile dell'organizzazione americana nel Sud-Est dell'Afghanistan. Questo è il quadro che dipinge: «I vostri alpini - spiega - stanno per recarsi in una regione governata da molte forze tribali, non sempre in accordo fra loro. Arrivando da Nord, fino a quaranta chilometri da Khost governano le truppe di Padsha Kahn, nipote del re, uno dei "signori della guerra" che fino a pochi mesi fa sperava di essere nominato governatore della regione. Intorno alla città, per un raggio di quindici chilometri a controllare le cose sono il governatore attuale ed il generale delle truppe di Kabul. Però su tutto, il resto del territorio contano soltanto le "Shure", le assemblee di notabili dei villaggi, e gli "Ulema", i capi religiosi. E' un arcipelago di poteri strutturato su modello antico, in cui muoversi è certamente difficile, ma non impossibile». Nella regione di Khost, continua il nostro esperto, i giovani paiono scomparsi. Da tempo, e soprattutto negli ultimi due anni usano varcare i confini per lavorare in Pakistan, Kuwait o negli Emirati. «Mantengono famiglie che soffrono a causa di una siccità che dura da quattro anni, la regione è priva di qualsiasi assistenza, vive ai margini di un paese che considera lontano... ma non è poi detto che debba finire nuovamente in mano agli estremisti». Il dottor Hotak parla attraverso lunghe iperboli, la sua concezione delle cose è profondamente asiatica ma l'essenza del discorso suona così: chi va nella regione di Khost e tratta con le «Shure» meglio con tutte le componenti del potere locale - forse viene accolto bene. Il fatto però è che in quella provincia la gente è abituata a vedere i soldati (prima i russi, poi gli americani, adesso gli alpini) come truppe pretoriane, schierate a difesa di un regime che siede a Kabul e non rappresenta gli equilibri tribali. E di «taleban»? «Non ce ne sono molti, quelli che hanno potuto si sono rifugiati oltre frontiera, in Pakistan. Ma possono sempre tornare...»

Persone citate: Kahn, Roger King