Bergeri l'auto in Italia ha ancora un futuro di Francesca Sforza

Bergeri l'auto in Italia ha ancora un futuro L'ANALISI DELSUPERCONSULENTE CHIAMATO DA MARIANO Bergeri l'auto in Italia ha ancora un futuro «Non dovete aver paura di aprire il vostro mercato a investitori stranieri, guardate i successi della Spagna Fiat può riprendersi, ma sono necessarie più risorse» intervista Francesca Sforza corrispondente da BERLINO ROLAND Berger non è soltanto il fondatore e il presidente della maggiore società di consulenza in Europa per il top management - la Roland Berger Strategy Consultant ma anche uno degli uomini più consultati dal cancelliere Gerhard Schroeder e da altri autorevoli esponenti della politica tedesca. Un tecnico che sa di politica, e che quando parla di aziende mostra di conoscere il paese da cui provengono, la realtà sociale intomo a cui sono cresciute, le prospettive verso cui possono lanciarsi. Tra i suoi impegni più recenti c'è l'opera di consulenza sul piano di ristrutturazione per la Fiat per conto del ministero delle Attività produttive. In questa intervista Roland Berger entra nel vivo del dibattito sul futuro dell'auto. , L'industria automobilistica contìnua a essere un classico settore di crescita oppure no? Che cosa succede oiggi nel mondo dell'auto? «In un'ottica mondiale l'industria automobilistica è ancora un settore di crescita, per il semplice motivo che l'esigenza di mobilità continuerà a crescere. Va fatta però una distinzione di fondo fra i paesi in via di sviluppo e quelli industrializzati, In America del Nord, Europa e Giappone si è raggiunto un alto grado di saturazione, una persona su due possiede una macchina (inclusi bambini e anziani) e la densità di traffico rappresenta un'ulteriore barriera per la crescita dell'auto. E' chiaro che in questi paesi la domanda dipende molto dall'andamento della congiuntura, dal fattore reddito, dal tasso di disoccupazione, ma anche dalla capacità d'innovazione dei costruttori d'auto, che devono essere capaci di sviluppare sempre nuovi trend, come i "mini spider" o gli "sport utility vehicles". Nel caso dei mercati in via di sviluppo - penso alla Cina, ma anche a Europa dell'Est, Sudamerica, Asia e Africa - la domanda di auto crescerà in modo più che proporzionale con la crescita del pil. Certo, per accedere a questi mercati si deve disporre di una produzione locale e di una pohtica dei modelli tagliata sui singoli mercati. Alcune imprese come la Volkswagen, i giapponesi e anche la Fiat in America Latma e in Polonia hanno mostrato di sapersi conquistare una buona posizione di mercato. Se negli Usa e in Europa la congiuntura si riprenderà, credo che potremo attenderci sviluppi positivi». Quali sono i fattori che costituiscono una strategia di successo in questo settore? «Credo che la prima cosa sia sempre presentare dei prodotti innovativi, penso alla Mégane Scenic della Renault o al primo spider economico Mazda, o alla Fiat Barchetta: tutti prodotti in grado di creare una nuova domanda. La seconda cosa importante, soprattutto in Europa, è il cosiddetto branding cioè la politica dei marchi. In questo i tedeschi sono molto bravi con marchi come Bmw, Mercedes, Porsche, ma ci sono anche Jaguar, Rolls Royce, Bentley e ovviamente la Ferrari, anche se questi ultimi non sono prodotti di massa. Terzo: i costi delle strutture e dei processi devono essere ottimah. Toyota, da questo punto di vista, rimane un modello di riferimento, e i francesi negli ultimi anni hanno recuperato bene, portando la loro produttività al 150Zo in più di quella tedesca. Anche la Fiat in questo campo non va male. Il quarto fattore di successo è legato all'outsourcing verso i fornitori. Porsche lo fa meglio di tutti: costruisce solo il 200Zo del prodotto e il resto lo divide tra tanti i fornitori». Il futuro dell'industria automobile è nel prodotto di lusso? «Due sono a mio avviso le strategie nel settore auto: o si producono volumi globali in tutti i segmenti - e questo significa proporre prodotti su livello globale o almeno europeo, come fanno ad esempio Toyota o DaimlerChrysler, che propone una gamma da Maybach a Mercedes fino a Smart - oppure si produce nella nicchia del segmento premium che punta tutto sull'innovazione dei prodotti, su branding, image, sen/izio e orientamento al cliente assolutamente esclusivi. Esempi classici in questo senso sono Porsche e Bmw. Entrambe le strategie mi sembrano destinate al successo. Più difficoltà incontrano invece i puri produttori di volumi, perché si trovano nel segmento in cui si guadagna di meno. Questo è uno dei problemi della Fiat». Fino a qualche tempo fa si diceva che il settore auto finirà tutto nelle mani di tre grandi. Cosa ne pensa? «Non credo che il futuro possa essere liquidato con qualche immagine semplificativa. Credo che anche nei prossimi anni esisteranno i produttori di nicchia - Porsche, Ferrari, Bmw - e non credo che ad aziende così faccia bene essere assorbiti da società più grandi. Basti vedere l'esempio di Saab e General Motors - non sono riusciti a fare nulla. E anche Jaguar e Ford non sono diventate quello che Ford si aspettava. Ma la concentrazione continuerà, e credo che avverrà sempre di più in forma di alleanze. Personalmente credo che soprawiveranno dai 5 ai 7 grandi costruttori e 3-4 produttori di nicchia». Non tutte le imprese automobiUstiche rispondono alle esigenze e alle regole del mercato globale, ma restano fondamentali per le loro economie nazionali. Che possibilità di sopravvivenza vede per questo genere di imprese? «Una concentrazione strategica su un continente - l'Europa, ad esempio - può aiutare per un certo periodo. La strategia seguita da Psa potrebbe essere una ricetta, per un periodo transitorio, anche per Fiat. A lungo termine, però, credo che l'economia di scala sia troppo importante per lasciare sopravvivere un'impresa automobilistica esclusivamente su livello nazionale, e questo non significa che la creazione di valore sul mercato nazionale vada perduta. Prendiamo Chrysler: è un marchio americano, appartiene a DaimlerChrysler, ma tutta la creazione di valore avviene in America. Poniamo che Fiat un giorno dovesse essere acquisita da qualcuno, sia GM o qualcun altro: dipenderà dalle condizioni locali per l'ubicazione industriale, dunque dai costi, dalle condizioni fiscali, dal mercato occupazionale, dall'atteggiamento dei sindacati, dalle condizioni di diritto del lavoro, dal know how locale (specialmente nel settore design e di costruzione), se può essere attraente tenere la creazione di valore in Italia o addirittura spostarla dalla Germania in Italia. Mi sembrano esagerate le preoccupazioni di certi commentatori e del governo italiano, secondo cui il passaggio di proprietà della Fiat a un gruppo intemazionale comporti necessariamente la fine della creazione di valore automobilistico in Italia. Guardiamo per esempio alla Spagna: la Spagna è il quarto produttore di macchine più grande del mondo e non esiste nessun costruttore in Spagna che sia di proprietà spagnola. Tuttavia Renault e Peugeot, Volkswagen, Ford e Opel producono in Spagna più macelline di quanto non vengano prodotte oggi in Italia. Perché? Perché le condizioni di produzione, i costi sono molto competitivi. Ci si potrebbe immaginare la stessa cosa per l'Italia. Credo che se l'Italia aprisse il proprio mercato, sarebbero molti gli investitori stranieri che la preferirebbero. ad esempio, a un paese di alti salari come la Germania. Non dimentichiamo, però, che l'Italia ha perso molto tempo, perché il mercato per tanto tempo è stato chiuso e in futuro saranno nuovi mercati come quelli dell'Europa dell'Est ad assorbire gran parte della creazione di valore europea, anche a sfavore della Gennania e della Francia. Pensare in un'ottica nazionale non serve nulla in tempi di mercati globali». Quali sono le reazioni che avete avuto dopo la presentazione del vostro piano di ristrutturazione? «Credo che il governo italiano dovrebbe intrattenere un dialogo più intenso con noi. Sicuramente il nostro piano è stato letto e considerato con attenzione, ma abbiamo ancora tantissime idee su come si possa veramente rafforzare l'industria automobilistica e soprattutto l'indotto in Italia. Da parte della Fiat i nostri suggerimenti sono stati accolti con grande interesse. Il piano industriale per la ristrutturazione presentato dal gruppo torinese, del resto, è molto professionale. I prossimi passi dovrebbero andare nella direzione di un miglioramento del marketing, dei nuovi prodotti e della distribuzione. Sono passi questi, come la chiusura di fabbriche e la riduzione di costi e delle capacità di produzione, che però non si possono realizzare in pochi mesi e perciò sono necessari più investimenti di quelli previsti inizialmente. Per questo ritengo sen- sata la separazione di Fiat Auto dal resto dèi gruppo, perché le esigenze di capitale sono diverse da quelle di una holding, che amministra risorse nell'interesse degli investitori e degli azionisti. Per noi è importante che Fiat riesca a riprendersi e credo che le possibilità siano buone, sempre se all'impresa viene fornito capitale sufficiente. Il management con Boschetti alla guida appartiene, a mio avviso, alla miglior classe dirigente europea. Il vero problema è che l'Italia, a causa delle scelte politiche degli anni passati, ha un solo costruttore d'auto. Se infatti l'Alfa Romeo fosse andata a Ford anziché a Fiat, adesso l'Italia avrebbe almeno due imprese automobilistiche. Se si fosse portala avanti una politica come quella spagnola ovvero maggiore apertura a investitori stranieri - oggi forse l'Italia sarebbe nella posizione della Spagna». Il settore auto resta per gli investitori un riferimento classico. Lei quali reali possibUità di guadagno ci vede? «Stiamo vivendo un periodo di bassa congiuntura nel settore auto: i mercati azionari sono crollati in tutto il mondo e la situazione non sembra destinata a cambiare velocemente. Inoltre esistono anche delle valutazioni troppo basse: l'azione di DaimlerClirys er ieri era a 27/28 per la minaccia di guerra e l'aumento di prezzi del petrolio. Ma credo che fra due anni le azioni automobilistiche torneranno a essere interessanti per l'investùnento di capitale. Io oggi compro azioni di imprese automobilistiche, ma devono essere imprese strutturalmente sane». Che importanza hanno le riforme del mercato occupazionale per il settore auto? «In prima linea l'industria automobilistica ha bisogno di flessibilità. Volkswagen ha presentato alcuni esempi di flessibilità e anche Bmw. Quest'ultima impresa ha introdotto nei suoi stabilimenti 243 modelli di tempo lavorativo diversi e ha definito i processi e i modelli occupazionali in modo molto creativo. Volkswagen ha ormai definito tempi di lavoro a vita, annuali, settimanali, tempi flessibili di lavoro giornaliero con un rispettivo adeguamento dei salari. Se si riducono le spese del personale tramite flessibilizzazione e in più si ha un livello del costo del lavoro relativamente basso come in Italia, si può creare ima localizzazione industriale vantaggiosa. Ripeto: l'Italia non deve aver paura di GM o di altri investitori slranieri. Ci si deve solo abituare al fatto che esiste la competizione intemazionale». Quanto è urgente l'innovazione ecologica e che margini di crescita offre? «Sicuramente in una prospettiva di lungo termine sarà un tema ùnportante. Mi risulla difficile immaginare che la Cina un giomo avrà la densità d'automobili dell'America o dell'Europa con la stessa quantità d'emissione di gas. D'altra parte si deve constatare che la genie non è disposta, in nome dell'ecologia, a rinunciare a performance, estetica, design e velocità di una vettura. In una prima fase, i costruttori dovrebbero rendere i propri prodotti indirettamente più ecologici, utilizzando costruzioni leggere o materiali riciclabili, sviluppando nuovi motori diesel, riducendo il consumo di carburanti. Forse fra trentanni, nuovi concetti di motori giocheranno un ruolo decisivo, ma non dimentichiamo che gran parte delle innovazioni ecologiche nel settore sono risultato di un intervento da parte del legislatore. Il settore auto purtroppo non è così lungimirante come non lo è neanche l'industria petrolifera - da incentivare l'innovazione ecologica. Sono sempre state le leggi (dai limiti di velocità ai motori catahtici) a costringere i costruttori a portare avanti l'innovazione tecnologica, a creare motori ibridi o carrozzerie leggere». 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Persone citate: Bentley, Boschetti, Gerhard Schroeder, Roland Berger