Gli investimenti pubblici nel Sud risalgono al 40%

Gli investimenti pubblici nel Sud risalgono al 40%SECONDO I DATI DEL DIPARTIMENTO POLITICHE PER LO SVILUPPO IL GAP COL NORD RESTA PERO' ANCORA MOLTO AMPIO Gli investimenti pubblici nel Sud risalgono al 40% E ora il Tesoro stringe la vigilanza su Fs ed Anas Mario Sensini ROMA La quota di spesa pubblica riservata al Mezzogiorno continua ad aumentare e sfiora ormai il 400Zo del totale, ma se le massicce iniezioni di denaro pubblico aiutano la crescita economica del sud, non si sono rivelate finora sufficienti a colmare il divario con il resto del paese. Soprattutto nel campo delle infrastrutture, fondamentalmente perché il sud continua a digerire molto meglio gli aiuti al funzionamento delle imprese che non gli investimenti. Ma anche perché i grandi enti che convogliano la spesa pubblica nazionale e comunitaria, come Anas e Ferrovie dello Stato, hanno dirottato sul centro nord, almeno in passato, una parte sostanziosa degli investimenti che si erano impegnati a fare nelle regioni meridionali. Secondo gli ultimi dati del Tesoro, che la Stampa è in grado di anticipare, la quota di spesa pubblica in conto capitale (esclusi quindi i contributi sugli interessi) riservata al Mezzogiorno è salita al 39,90/), rispetto al 39, l0/) del 2000 e al 38,7"Zo del '99, tornando in pratica ai livelli del 1997. Sono cifre di tutto rispetto, perché si deve tener conto che la spesa complessiva è slata pari nel 2001 a circa 47 miliardi di euro, e che il Mezzogiorno, dove risiede il 330Zt) della popolazione nazionale, rappresenta solo il 25"Aì del pil italiano. La cura da cavallo ha prodotto i suoi risultati. Nel 2001 e nel 2002 la crescita dell'economia è stata più forte nel sud che nel resto del paese: 0,3 punti percentuali in più nel 2001 e 0,4 nel 2002, ma non basta. Anche per questo l'obiettivo del governo fissato nel Documento di Program¬ mazione economica, è quello di alzare ad oltre il 45nZo entro il 2005 la fetta della spesa riservata al sud e di spingere soprattutto il finanziamento delle nuove infrastrutture, dove i ritardi del sud sono enormi. Tra il '99 e il 2000 la quota di spesa in conto capitale destinata a infrastrutture materiali e immateriali nel sud è cresciuta a scapito degli incentivi e dei trasferimenti alle famiglie e alle imprese. La spesa complessiva per le opere pubbliche, inclusi gli investimenti di Ferrovie, Poste, Anas ed Enel, è salita dal 55,1 al 57,80Zo del totale, ma nel centro nord è molto più consistente e pari al 70,2nZn. Al contrario, nel Mezzogiorno quasi metà della spesa (il 42,20Zo del totale nel 2000, contro il 44,90Zo) è ancora destinato agli aiuti, mentre nel resto d'Italia la quota degli incentivi non arriva a un terzo del totale (29,80Zo). Poi bisogna considerare i termini relativi: nel 2000, secondo i dati del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo del Tesoro, per le infrastrutture nel sud si sono spesi 564 euro per abitante, nel nord molti di più, 614. Anche se la spesa in termini pro-capite nel 2000 è aumentata di 70 euro al sud e di 30 al centro-nord, quelle cifre spiegano da sole che qualcosa non ha funzionato nel modo giusto. Forse anche a causa delle manovre non proprio ortodosse sulla destinazione degli investimenti di Anas e Ferrovie, che come gli altri enti di spesa sono obbligate a riservare al sud almeno il 300Zo degli investimenti ordinari finanziati ogni anno dallo stato. Spesso, in passato, Anas e Fs hanno offerto alle regioni la possibilità di chiudere i rendiconti annuali con la Uè sui fondi comunitari e quindi di evitare lo stomo delle somme non spese, facendo figurare le opere realizzate con i propri fondi ordinari come se fossero finanziate dalla comunità. Per spendere poi il surplus sulla Verona-Brennero o sul passante di Mestre. Così facendo salta il principio "sacro" secondo il quale la spesa pubblica destinata al riequilibrio economico e sociale delle aree sottoutilizzate, che sia nazionale o comunitaria, debba essere aggiuntiva e non sostitutiva delle Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti spese ordinarie. I fondi spesi al sud restano quelli "ordinari" e al nord finiscono quelli "addizionali", con il risultato che il gap delle infrastrutture tra nord e sud non si chiude. Il Tesoro, scoperto l'inghippo, ha deciso di cambiare strategia, accentuando notevolmente la vigilanza attraverso i propri rappresentanti nei collegi sindacali di questi enti, con i quali il confronti sui programmi di investimento si è fatto molto più serrato. L'ultimo contratto di programma delle Fs, ad esempio, è stato respinto dal Cipe per ben tre volte, proprio perché il governo non aveva alcuna garanzia neanche sull'effettivo utilizzo nel Mezzogiorno del 300Zo degli investimenti ordinari. Finché alle Fs (che ovviamente tendono a privilegiare la propria autonomia imprenditoriale e il reddito degli investimenti) non è stato imposto di creare un Piano di priorità che definisse chiaramente gli interventi e addirittura un Centro di Responsabilità per il Sud che abbia per compito proprio quello di «promuovere nuovi progetti nelle diverse aree del paese congeniali alle specifiche esigenze del Mezzogiorno» e che sia d'interfaccia con il Tesoro.

Persone citate: Giulio Tremonti, Mario Sensini

Luoghi citati: Italia, Roma