«ilvior aiutami a convincere l'Europa» di Maurizio Molinari

«ilvior aiutami a convincere l'Europa» L'AMICHEVOLE INCONTRO NELLO STUDIO OVALE. AL PRANZO ANCHE COLIN POWELL E CONDOLEEZZA RICE «Silvio aiutami a convincere l'Europa» Affidata al Cavaliere la mediazione con Parigi e Berlino retroscena Maurizio Molinari inviato a WASHINGTON. CON alle spalle il ritratto di George Washington, seduto fra i busti bronzei di Abramo Lincoln e Winston Churchill e a fianco del presidente George Bush, Silvio Berlusconi si è presentato alla Casa Bianca nelle vesti dell'alleato diplomatico di ferro, pronto ad aiutare gli Stati Uniti nella costruzione politica della «coalizione dei Paesi volontari» favorevoli a disarmare l'Iraq. Washington ha sufficienti strumenti militari per lanciare l'attacco e le intese già raggiunte con Gran Bretagna e Australia fanno sì che la coalizione militare sia pronta, pianificazione compresa. «Contingenti che non dipendono dal Comando Centrale di Tampa sarebbero solamente d'impaccio» dice Berlusconi. Il Pentagono in effetti non ha bisogno di fanti, navi e aerei italiane, ciò the manca a Bush sono piuttosto gli alleati politici per far breccia nelle perplessità dell'Unione Europea. E questo è il ruolo che Berlusconi si è offerto di recita¬ re, facendo proprie le due motivazioni americane della necessità del disarmo iracheno. Quella morale: «La minaccia è che le armi proibite cadano in mano a gnippi terroristi già responsabili di una serie di attentati che ha portato all'I 1 settembre ed è continuata anche dopo». E quella legale: «La risoluzione 1441 dell'Onu impone a Saddam di rivelare dove sono le armi che già possedeva», dunque l'onere della prova è su Baghdad e la cornice resta quella della legittimità delle Nazioni Unite. Il primo passo di Berlusconi nel ruolo di promotore della coalizione politica è stata la dichiarazione degli otto leader europei, di cui il presidente Usa e Berlusconi parlarono nella telefonata della scorsa settimana. Il secondo è arrivato varcando la soglia dello Studio Ovale: «Sono qui per dare una mano al presidente Bush per convincere tutti che disarmare Saddam è l'interesse di tutti, solo se saremo tutti uniti, l'Unione Europea, l'Euro¬ pa, la Federazione russa, gli Stati Uniti e i Paesi del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, Saddam non avrà, altra scelta che dimostrare la sua reale volontà di distruggere le armi di distruzione di massa». Ovvero: la dichiarazione degli otto è solo l'inizio dell'impegno italiano. Mentre venivano tradotte le parole di Berlusconi, Bush nascondeva a fatica la sua soddisfazione. In un angolo dello Studio Ovale il consigliere della sicurezza nazionale, Condoleezza Rice in elegante tailleur verde scuro faceva un cenno di assenso al capo di gabinetto, Andrew Card. Un attimo dopo arrivava anche il portavoce Ari Fleischer. La macchina diplomatica per la costruzione della coalizione politica ha trovato nuovo carburante e durante il pranzo - presenti anche il Segretario di Stato, Colin Powell, il capo di gabinetto del vicepresidente Cheney, Libby, gli ambasciatori d'Italia a Washington Ferdinando Salleo e degli Stati Uniti a Roma Mei Sembler - si è parlato delle nuove, imminenti tappe: la missione di Berlusconi dal leader russo Putin, la possibilità che altri europei aderiscano alla lettera degli otto, contatti con gli ossi più duri, Parigi e Berlino. All'uscita Berlusconi conferma che con Bush ha discusso del come allargare la coalizione: «Fa¬ rò telefonate ai colleghi europei affinché l'Europa possa parlare con una voce sola». Il presidente americano ha chiesto aiuto per superare l'ostilità di Berlino e Parigi o l'ospite italiano non si tira indietro di fronte alla prospettiva di una difficile mediazione inter-europea: «Capisco le ragioni della Germania e della Fran¬ cia». L'ostacolo più difficile è la Germania di Gerhard Schroeder, mentre George W. e Silvio pensano che Parigi possa essere recuperata. «Credo che alla fine la Francia non si tirerà indietro, non potrà esimersi» sottolinea Berlusconi, ricordando con una punta di malizia i guai di Chirac in Costa d'Avorio, dove la popolazione è scesa in piazza contro i militari francesi. Difficile immaginare un clima di maggiore intesa fra Bush e un leader europeo, condito all'inizio del faccia a faccia nello Studio Ovale da uno scambio di battute tutto in inglese: «Bentornato alla Casa Bianca, Silvio»; «Siamo qui per lavorare assieme per una causa giusta con un Paese che è il migliore amico del mio Paese, George»; «Il tuo inglese è molto buono»; «Grazie ma non ho il tempo di studiarlo come vorrei: in Italia avvengono così tante cose». Niente a che vedere con il debutto di Berlusconi a Washington dopo l'il settembre 2001: una visita che sembrava non arrivare mai e che quando si avverò fu segnata da un fugace saluto di fronte alle telecamere sul giardino della Casa Bianca. Dopo i segnali di attenzione alle posizioni americane su scudo antimissile, programmi del dopo-Kyoto, allargamento a Est della Nato e necessità di cambiamento di leadership palestinese, è sul terreno della crisi irachena che Berlusconi è riuscito a fare breccia alla Casa Bianca: prima l'incontro al summit del G-8 a Kananaskis, poi la visita del presidente del Senato Marcello Pera da Cheney, quindi la missionelampo del neommistro degli Esteri Franco Frattini hanno dato all'Amministrazione la garanzia di una posizione consolidata e stabile, a favore del disarmo di Saddam Hussein. Se il conflitto alla fine dovesse esserci, la prossima puntata è già stata scritta: l'Italia avrà le carte in regola per essere in prima fila fra chi parteciperà assieme agli Stati Uniti alla ricostruzione dell'Iraq, il maggiore Paese industriale arabo dell'intero Medio Oriente. «Il Piano Marshall per l'Iraq», come una fonte diplomatica europea lo definisce, è dietro l'angolo: un ufficio ad hoc della Casa Bianca se ne sta già occupando. Il segretario dì Stato Colin Powell durante la conferenza stampa di ieri: «Se Saddam vorrà, gli troveremo un posto sicuro dove andare» li premier prima di congedarsi dal suo ospite ha promesso «Farò telefonate ai colleghi europei affinché noi tutti possiamo parlare con una voce sola» A George Bush e Silvio Berlusconi seduti davanti al caminetto dello Studio Ovale prima della parte formale dell'incontro «Il tuo inglese è molto buono» «Grazie, ma purtroppo non ho il tempo di studiarlo come vorrei: in Italia avvengono così tante cose»