Il Vaticano convoca l'ambasciatore Usa di Marco Tosatti

Il Vaticano convoca l'ambasciatore Usa Il Vaticano convoca l'ambasciatore Usa Un documento dei vescovi: una guerra preventiva non può essere giusta Marco Tosatti CIUA'DEL VATICANO Il Vaticano, e il mondo cattolico in generale, sono contro la guerra di Bush: lo ha ripetuto ieri il Segretario della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Giuseppe Beton, esprimendo la posizione del «Consiglio Permanente» Cei; e soprattutto lo ha ribadito, con molta chiarezza, il ministro degli Esteri del Papa, l'arcivescovo Jean-Louis Tauran, all'ambasciatore Usa presso la Santa Sede, Jim Nicholson, cattolico di origine irlandese, uomo chiave nell'elezione di Bush, veterano del Vietnam, in carica dall'agosto 2001, invitato a salire alle «Logge». Nicholson ha illustrato tutte le ragioni dell'America; «ma non sono rimasti convinti», ha dovuto ammettere. Più di un'ora di incontro, che ha toccato tutti gli argomenti; dalle lettere che nei mesi scorsi Giovanni Paolo II e George W. Bush si sono scambiati - i due temi chiave dello scambio epistolare erano proprio l'Iraq e la Terra Santa all'eventuale dopo-Saddam. L'am¬ basciatore ha ammesso che «lo scenario del dopo-Saddam non ! chiaro» e che sono possibili molte opzioni, fra cui una crescita del fondamentalismo islamico. E' giustificata in questo senso la preoccupazione della Santa Sede per la sorte delle centinaia di migliaia di cristiani, in larga maggioranza caldei, che vivono in Iraq. Nicholson sottolinea la grande ammirazione di Bush per il Papa, l'attenzione con cui i contenuti del suo messaggio personale a Bush sono stati accolti e valutati e la cura con cui è stata formulata la risposta. Un altro dettaglio inedito fa intuire come il Medio Oriente sia uno dei capitoli più densi negli scambi diplomatici Usa-Santa Sede. Qualche mese fa proprio Nicholson organizzò un incontro fra il Segretario di Stato, Colin Powell, e l'arcivescovo Tauran. Il ministro degli Esteri del Papa chiese agli Usa di appoggiare l'idea di una forza d'interposizione fra israeliani e palestinesi; ma l'iniziativa falli per l'opposizione di Tel Aviv. In questi giorni la crisi drammatica della Terra Santa è passata in secondo piano rispetto alla guerra mille volte annunciata, e che ha provocato anche ieri una preghiera di Giovanni Paolo II: « «Preghiamo insieme perché il Medio Oriente e i Paesi vicini siano preservati dalla minaccia della guerra e da ulteriori violenze». Poca sorpresa dunque che anche i vescovi italiani abbiano fatto loro il no del Pontefice alla guerra. Come ha spiegato ieri il Segretario della Cei, Betori, «se una guerra è preventiva non è mai giusta»; perché la si possa definire tale, l'autorizzazione dell'Onu è «soltanto una componente», e anche se Saddam avesse armi di distruzione questa minaccia non potrebbe essere considerata un attacco effettivo. I vescovi hanno lavorato sulla traccia indicata dal loro presidente Camillo Ruini in apertura del Consiglio permanente: la Chiesa italiana sta con il Papa contro la guerra e questo non vuol dire che sia antiamericana o antioccidentale. Ma se l'Onu autorizzasse un attacco all' Iraq? «L'autorizzazione dell'Onu - ha replicato mons. Betori - è imo degli elementi che compongono uno scenario di plausibilità, ma non l'unico, perché se resta la dimensione preventiva (cioè se non c'è da rispondere a una aggressione alla pace e alle speranze dei popoli) non è la semplice autorizzazione dell'Orni a rendere giusta una guerra». «Se una guerra è preventiva ha aggiunto - non è giusta in ogni caso». Gli è stato allora chiesto cosa accadrebbe se si scoprisse che l'Iraq possiede armi di distruzione di massa. «Non sta a noi - ha risposto il vescovo - giudicare il grado e livello in cui il possesso di armi è tale da poter costituire una minaccia concreta; ma perché la guerra sia giustificata occorre che ci sia una aggressione; quale sia il livello per cui il possesso di armi può essere considerato aggressione, lo devono decidere gli esperti». «Il concetto di prevenzione - ha proseguito Betori - è inaccettabOe in se stesso perché la prevenzione non ha limite e la minaccia deve essere attuale e non futura».