Cento documenti finali a Porto Alegre ma il Forum scopre il dialogo coi Grandi

Cento documenti finali a Porto Alegre ma il Forum scopre il dialogo coi Grandi FINITO IL TERZO SUMMIT NO GLOBAL, MASS MEDIA SOTTO LA LENTE Cento documenti finali a Porto Alegre ma il Forum scopre il dialogo coi Grandi L'invito della Banca Mondiale: la vostra strategia aiuta a cambiare reportage Giuliette Chiesa PORTO ALEGRE FINISCE con un fuoco d'artificio delle star anti-globalizzazione-americana. I «politici», che hanno tirato le fila di Porto Alegre Tre, sono riuniti fino a notte fonda per scrivere la storia di questo terzo, straordinario appuntamento mondiale. Non ci sarà un documento finale; non c'è mai stato, non sarebbe possibile, non è nemmeno pensabile riassumere in poche - e nemmeno in molte - pagine quello che è stato detto, pensato, desiderato, temuto in questi cinque giorni intensissimi. Ci saranno, certo, cento documenti diversi, per i cento problemi del mondo che non hanno ancora soluzione, per le sfide che ci attendono tutti, inesorabilmente, ma non è ancora il tempo della sintesi, non c'è ancora una teoria comune. Parlano i «grandi» di questo movimento, di fronte ai quali qui tutti s'inchinano grati, quelli che hanno scritto per primi, che hanno preparato questo evento, che hanno creduto che sarebbe venuto il momento di un cambiamento. Samir Amin, Ignacio Ramonet, tanti altri. E' l'ultimo giorno, quello delle testimonianze. Noam Chomsky parla come Evo Morales di Bolivia e Arundhati Roy di India, sul «Come affrontare l'Impero». E il Gigantinho s'ingolfa di folla, di registratori, di telecamere digitali. Domani fiumi di «bites» dilagheranno per i cinque continenti, attraverso le migliaia di fonti «alternative». Taceranno i media ufficiali, ma milioni ascolteranno ugualmente. Il pìroblema vero, che non tutti ancora ben capiscono, è che sono troppi, soverchianti, i milioni che non saranno raggiunti da questo messaggio. E' per questo che, tra le cose più importanti decise a Porto Alegre Tre, c'è la creazione del Media Watch Mondiale. Il primo tentativo di sottoporre i giganti mediatici che dominano il pianeta a un'offensiva critica globale, multilaterale, sistematica. Il gruppo di Le Monde Diplomatique, capitanato da Ignacio Ramonet e da Bernard Cassou, ha preparato le basi teoriche di una critica pratica dell'informazione globalizzata. Manca ancora una chiara visione del rapporto tra informazione e comunicazione, cioè tra informazione in senso stretto e intrattenimento, pubblicità e tutto ciò che tutti vediamo in tv ogni giorno. Ma è solo l'inizio. E, quasi sbalorditivo se non fosse proprio vero, ecco che perfino i rappresentanti della stampa «borghese», quelli sotto il tiro della critica, sono venuti qui a parlare. Peter Goldmark, presidente di International Herald Tribune, si è confrontato ieri, nell'Università Pontificia dei gesuiti, con l'algerina Nadia Aissaoui, com Norma Enriquez della colombiana Assemblea Sociale per la pace, con Vittorio Agnoletto, del Social Forum italiano, sul tema «Come costruire la pace tra i popoli contro le guerre del XXI secolo». Anche questi intrecci inediti spiegano Porto Alegre. Dove Aleida Guevara, la figlia del «Che», parla in un auditorio gremito in ogni ordine di posti, mentre Leonardo Boff, lo scrittore brasiliano, e Eduardo Galeano, scrit¬ tore uruguagio, riempiono l'immenso salone del Gigantinho parlando di «Pace e valori». E, da lontano, l'ex presidente portoghese Mario Soares rilascia un'intervista durissima contro l'Amministrazione di Washington , prevedendo che la guerra possa far precipitare disastrosamente la crisi in corso del capitali¬ smo mondiale. Ma anche il presidente della Banca mondiale, James Wolfensohn, interviene sulle pagine di Terraviva, l'organo ufficioso del Forum, per dichiarare, niente meno, di essere d'accordo con «Attac» sulla scelta di non trasformare il movimento in partito, e per «invitare i delegati di Porto Alegre a concentrare i loro sforzi sulle strategie per cambiare il rapporto di forze». Insomma, ragazzi, andate avanti così, che anche noi ne abbiamo bisogno. Ma non erano, «gli estremisti» di Porto Alegre, quelli che volevano spaccare tutte le vetrine del mondo? «Zeffirelli fallaci», per citare David Riondino, che si sono spenti quest'anno, volando tra Por- to Alegre e Davos. Hugo Chavez, il presidente venezuelano, è ripartito dopo un bagno di folla. Era la terza volta che veniva in Brasile negli ultimi 30 giorni. Segno che la sua situazione diventa sempre più difficile. Ma ha dato l'impressione di essere saldo. Alla conferenza stampa si è presentato com la costituzione del suo paese in mano. E alla prima domanda dei trecento giornalisti presenti ha risposto citando Antonio Gramsci: «Siamo nel passaggio tra una società che muore e non vuole riconoscerlo e una che sta per nascere ma non è ancora nata». Niente male per un militare che viene descritto come rozzo e violento. «Vogliono cacciarmi dal potere con un referendum? - ha esclamato sorridendo -. Niente in contrario, ma nel rispetto della legge e nei tempi previsti, cioè non prima di agosto, alla scadenza del terzo anno di presidenza. Se vincono loro me ne vado, altrimenti resto. Sarà normale». Intanto il problema principale è fermare la fuga di capitali, che se ne vanno all'estero al ritmo di quattro miliardi di dollari al mese. E sostituire «immediatamente» i cinquemila lavoratori e funzionari delle raffinerie di petrolio che aderiscono da 54 giorni allo sciopero generale. «Saranno giudicati per sabotaggio», ha annunciato Chavez . Lula, dal canto suo, ha gettato il ponte tra Davos e Porto Alegre con una singolare definizione per un loro futuro rapporto. «Parliamo delle stesse cose, come si fa in una trattativa sindacale. Siamo magari distanti, ma alla fine si può trovare un compromesso». Questa America Latina, che sembrava condannata a restare un cortile di casa altrui, soggetta e marginale, periferica e dimenticata, si sta rivelando un eccezionale laboratorio politico. Un Brasile che si scopre improvvisamente maturo e consapevole, con una dimensione di scala enorme, sta trascinando il continente a una riscossa e a una rinascita. E' un fatto grande cui l'Europa - che con questo continente ha legami potenti e duraturi - dovrebbe prestare un'attenzione strategica. La grande partita comincia adesso. Si tratterà di capire quanto e come la guerra contro l'Iraq influenzerà gli atteggiamenti e le decisioni future di Washington. Certo è che il programma di Lula non può piacere a Washington. Ne consegue che Lula dovrà camminare con grande prudenza. Senza dimenticare - come ha ricordato a tutti i suoi elettori Frei Botto - che «noi siamo andati al governo, non al potere». Il potere resta lassù corrucciato e sospettoso, pronto a lanciare le sue saette.