Solo il Lingotto tra i «big»

Solo il Lingotto tra i «big» LE TOP 11 DEL PIANETA ^ ^ M ^ f ^ ^ # ^ # ^ 4^4^^ 4 V^4 4- 4^^ ^ 458f40Zo g ® ® ® o ® ® o @ ^ (^ « rf I GRUPPI MONDIALI CON PIÙ' DI 90 MILIARDI DI EURO DI ATTIVO NEL SETTORE DEI MEZZI DI TRASPORTO, ENERGETICO ED ELETTRONICO S VARIAZIONE PERCENTUALE E DATI ECONOMICI (IN MILIARDI DI EURO) i A CONFRONTO DEGLI ANNI 1991 (CIFRE TRA PARENTESI) E 2001 s 2330/.. 243.1 "A 1 192.70Zo ISS.Io/o 14207o 138.40A 109.30A 58.70/0 48,70/0 70,7o/» 201,6 167,4. 154.4 149 . 142,2 125.5 109,8 104,9 97,8 97,7 93,9 [36,1] 157,2] [63,8] (71,2] [42,7] [79,1] [32] [44] [34,3] [65,7] [55]^ INDAGINE SULLE MULTINAZIONALI: DAIMLER E TOYOTA BATTONO GLI USA Solo il Lingotto tra i «big» Mediobanca: in Italia gruppi sempre più piccoli u Flavia Podestà MILANO I giganti dell'industria, anche a livello mondiale, si contano sulle dita o poco più. L'ultima edizione dell'indagine che la Ricerche Er Studi di Mediobanca dedica, ormai da otto anni, ai maggiori gruppi internazionali - 274 quelli fotografati questa volta (233 dei quali caratterizzati da prevalente attività industriale, mentre gli altri sono grandi Utilities) - ne trova 11, nel 2001, con oltre 90 miliardi di euro di totale attivo: 5 sono colossi a stelle e strisce, due sono tedesche (Daimler Chrysler e Volkswagen), due britanniche (BP e Royal Dutsch Shell), una nipponica (Toyota). In questo ristrettissùno novero di campioni si inserisce l'Italia, che l'indagine di R&S rivelerà essere il paese con il sistema di multinazionali più fragile di tutti i grandi Paesi industrializzati, in quanto i 15 gruppi selezionati risulteranno essere meno intemazionalizzati degli altri sul lato dei ricavi, in quanto le produzioni sono meno ricche di valore aggiunto; e poi perché i 15 campioni rappresentano solo il 60Zo della totalità del campione europeo e il loro valore aggiunto è appena il 40Zo del prodotto interno lordo contro una media Uè dell'I f/o. A dispetto di questa fragilità intrinseca del sistema produttivo nazionale, l'Italia entra nel novero dei supergiganti grazie alla Fiat, il cui valore strategico è stato capito forse più dalla gente comune - come si è avuto modo di vedere nei giorni scorsi - che da tanti maitre à penser. L'intento della Ricerche S- Studi non è quello di stilare classifiche di campioni ma di rilevare le tendenze che via via si manifestano e l'indagine sfornata ieri rivela come, in barba a tutto il gran parlare che si è fatto negli ultimi due anni di snellimento, la corsa all'aumento della dimensione è continuata: i giganti sono diventati ancora più grandi. Per rimanere nel ristretto novero dei supergiganti, l'aumento del perimetro del totale attivo dal 1991 al 2001 è aumentato da un minimo del 48,707o della Ibm ad un massimo del 458,407o di Daimler Chrysler. Un altro dato che potrebbe fare tendenza è rappresentato dal fatto che, in questo avvio del Nonostante la crisi economica continuano a crescere le dimensioni dei colossi. Le imprese europee globali solo nei centri di produzione Americani sempre primi per redditività terzo millennio, i due gruppi leader mondiali per dimensione non sono statunitensi: il primo è Daimler Chrysler (tedesca) il secondo è Toyota (giapponese) il che - per R&S - starebbe a dimostrare che il modello renano (prevalente in Germania, ma anche le imprese giapponesi vi si avvicinano per esempio per struttura proprietaria essendo largamente partecipate dalle banche) avrebbe avuto la meglio su quello anglosassone. A dispetto di un'Europa che per le sue divisioni in quindici Stati è un nano politico, la sua forza economica potenziale è invece molto elevata: sul campione esaminato, 140 industrie sono europee contro le 66 statunitensi e le 27 giappone¬ si: purtroppo quando il raffronto si sposta sul lato delle attività (escluse le immateriali) la distanza tra Uè e Usa si riduce (2,770 miliardi di euro contro 2,017) e qui, probabilmente, entra in gioco il diverso impegno in ricerca e sviluppo. Lo stesso avviene nel campo delle telecomunicazioni in cui la leadership è della giapponese Ntt e delle altre Utilities dove predominano i colossi francesi: Vivendi e Suez Lyonnais des Eaux ed Electricité de France. E' la prova che le imprese europee si sono globalizzate più di quelle statunitensi, forse perché partivano da postazioni più arretrate. In questo ambito le multinazionali italiane si sono globalizzate più dal lato dei costi (con la delocalizzazione nei paesi a basso costo del lavoro) che da quello dei ricavi (ossia con la conquista dei maggiori mercati): questo perché hanno scarso impegno in ricerca. Quando il raffronto si sposta sulla redditività gli Usa riconquistano la vetta della classifica: il Roi (return on investment) delle imprese Usa ammonta al 17,4 dei ricavi quello delle imprese europee solo al 13,2; quanto al Roe (return on equity) le star Usa sono a. )40Zo contro il 100Zo di quelle europee: il gap tra le une e le altre, però, si è nettamente ridotto rispetto ai dati del 1996. Nel 2001 i settori che hanno fatto maggiori profitti sono stati chimica, alimentare ed energia: quelli che sono andati peggio invece sono stati l'elettronica (che ha chiuso in perdita) l'auto, gomma e cavi e siderurgia. Anche sotto il profilo della struttura finanziaria le imprese Usa vanno meglio di quelle europee e, in Europa, quelle messe peggio sia per capitalizzazione sia per indebitamento sono le italiane che risultano quindi le più fragili nell'ipotesi di una ripresa: il prevedibile aumento dei tassi costerebbe loro esborsi molto maggiori per interessi. Il 2002 ha confermato il peggioramento dei risultati sia per l'industria (-14,60Zo il risultato netto a livello mondiale ma -290Zo in Italia) per il calo dei ricavi (-2,70Zo a livello mondiale e -5,60Zo in Italia), sebbene i giganti tedeschi vadano in controtendenza con utili in crescita del 30,80Zo; sia per le telecomunicazioni (ma anche per molte altre Utilities) che hanno dovuto procedere a pesanti svalutazioni delle acquisizioni compiute a prezzi troppo elevati e così il risultato netto è passato da un miliardo di euro a una perdita di 47,4 miliardi di euro. Perso il 2002, anno da dimenticare, gli andamento di fine anno e dell'avvio del 2003 dicono però che ci sono i primi timidi segnali di una ripresa per cui con una crescita del prodotto interno lordo mondiale i giganti dell'industria e delle Utilities dovrebbero riuscire a tornare a far crescere i loro margini. A patto che una guerra non geli l'economia del pianeta.

Persone citate: Flavia Podestà