«La finanza è il carburante dello sviluppo economico»

«La finanza è il carburante dello sviluppo economico» IL SALVATORE DI WALL STREET: L'EPOCA DELLE DIVISIONI USA-UE E' FINITA «La finanza è il carburante dello sviluppo economico» Richard Grasso, numero uno del New York Stock Exchange, assicura: l'America è il sistema più forte, saprà dare gas alla congiuntura «Sono ottimista. Il pacchetto di rilancio Bush va nella direzione giusta» intervista Maurizio Molinari corrispondente da NEW YORK GEMELLI dorati con bandierina a stelle e strisce, camicia bianca senza cravatta e passo felpato, Richard «Dick» Grasso è ottimista sul 2003 dell'economia americana e crede in una ripresa economica globale che passa attraverso la guerra al terrorismo, strumento per ridurre il rischio-incertezza. Lo spazioso ufficio al sesto piano dell'edificio della Borsa di Wall Street assomiglia a una via di mezzo fra una collezione di cimeli e un bazar. L'italo-americano di 56 anni che dal 1995 è alla guida del più grande mercato di capitali ha raccolto di tutto J disseminandolo in ogni spazió'rvfotografìe con i grandi della politica e del business così coma| oggetti delle più diverse dimepsioni provenienti da ogni angolo del pianeta. Il primo che si incontra, su un mobile a destra dell'entrata, è un piccolo mappamondo con sopra un berretto dei marines. Richard Grasso, lei è stato descritto dopo l'attacco dell'I 1 settembre come l'uomo che ha salvato Wall Street, riuscendo a riaprire la Borsa dopo solo cinque giorni di sospensione delle contrattazioni. Quanto quel giorno ha cambiato Wall Street? «L11 settembre ha dimostrato quanto siamo vulnerabili ad atti di terrore commessi a caso, sottolineando il fatto che esistono persone sulla Terra che disprezzano a tal punto la libertà di espressione, dei sistemi politici ed economici che abbiamo negli Stati Uniti come in Italia, da essere pronti a voler distruggere tutto questo. Per noi è stato un giorno simile a quello dell'assassinio di John F. Kennedy nel '63 o all'attacco di sorpresa contro Pearl Harbour nel '41: momenti nei quali l'America ha perduto la sua innocenza. Prima dell'I 1 settembre il terrorismo esisteva in altre parti del mondo. Da noi, in America, non lo conoscevamo né comprendevamo, nonostante l'attentato avvenuto a Oklahoma City. Tutto ciò ora è cambiato e rende la situazione in ogni angolo d'America, e anche qui a Wall Street, unica. Possiamo esercitare libertà di movimento, scelta e autodeterminazione economica nonostante il pericolo che, adesso sappiamo, incombe su di noi. Prima dell'I 1 settembre ignoravamo l'esistenza di un Asse del Terrore. Adesso abbiamo imparato a riconoscere le minacce che si annidano in tanti luoghi del mondo e quindi ad amare di più la nostra libertà». Ricordo il giorno in cui venne riaperta Wall Street dopo l'attacco. Fu una cerimonia con bandiere a Stelle e Strisce, l'inno nazionale cantato da brokers e operatori in ima forte atmosfera di amor di patria. Quale è il legame fra patriottismo e finanza? «Patriottismo e mercato dei capitali sono parte l'uno dell'altro. La finanza è il carburante dello sviluppo economico, della crescita, della creazione dei posti di lavoro, dell'aumento del tenore di vita. Il patriottismo che segnò la riapertura di Wall Street 5 giorni dopo l'attacco non era solo americano, riguardava tutti gli oltre cento paesi che hanno avuto vittime l'I 1 settembre a New York, Washington e nella Pennsylvania occidentale. Quell'attacco uccise quasi tremila innocenti, distrus¬ se mihardi di dollari di proprietà e causò una falla nell'economia globale: fu un tentativo di distruggere la libertà economica non solo degli Stati Uniti. La maniera migliore per rendere omaggio alle vittime è ricostruire l'economia più grande e forte di prima. Non c'è mai stata nella storia dell'umanità una società economicamente dominante dotata anche della potenza militare necessaria per difendere il proprio territorio da ogni tipo di attacco. Oggi è questa la sfida dell'America, e per vincerla bisogna unire la sicurezza nazionale allo sviluppo della prosperità. Da qui la convergenza fra patriottismo e impegno per il rafforzamento del mercato dei capitah. In ogni paese, non solo negli Stati Uniti. La riapertura dei mercati a Wall Street fu una risposta, una sfida ai terroristi: nel loro intento di limitare la nostra libertà avevano fallito». Lei ha detto più volte nelle ultime settimane che vede un «futuro luminoso» per l'economia americana, nonostante 1 dati economici siano ancora caratterizzati da forte incertezza. Da dove viene il suo ottimismo? «Bisogna tenere presente che l'economia americana è passata attraverso una sequenza di terribili shock: prima le più combattute elezioni presidenziali nella storia degli Stati Uniti, poi l'esplosione della bolla speculativa sui mercati delle telecomunicazioni, quindi l'attacco dell'I 1 settembre e infine l'esplosione di una serie di serissimi scandali nella gestione di importanti aziende nazionali che hanno toccato da vicino le istituzioni finanziarie, indebolendo la fiducia degli investitori. Guardando a questa sovrapposizione di emergenze in un tempo così ristretto non si può che dedurre che qualsiasi paese sarebbe stato condannato al disastro economico, al collasso. Negli Stati Uniti l'effetto è stato un drammatico abbassamento del pil, che qualche trimestre fa era negativo e adesso praticamente piatto, ma il collasso non c'è stato. E ciò significa che questa economia è la più resistente della Terra, in grado di assorbire shock molto severi e, nonostante tutto, continuare a crescere. Non dimentichiamoci del fatto che nonostante l'erosione del valo- re sul mercato azionario siamo ancora a soli tremila punti di distanza dai livelli storici massimi dell'indice Dow Jones. La realtà è che forse non nella prima metà del 2003 ma nella seconda certamente l'America avrà una capacità di crescita sostenuta a un tasso compreso fra il 3,5 ed il 40Zo, in assenza di inflazione con i tassi di interessi ai minimi degli ultimi 30 anni. Lo scenario di base è positivo. Nonostante tutti i problemi, l'America è ancora l'economia più forte del pianeta e sarà in grado di spingere in avanti la crescita globale. Ciò mi porta a essere ottimista, anche perché il nuovo pacchetto di stimolo varato dall'amministrazione Bush va nel¬ la direzione giusta». Ma la continuazione della guerra al terrorismo, il rischio di attentati e guerre non disegna uno scenario di crescente incertezza che pregiudica la prosperità dei mercati finanziari? «Capovolgerei la domanda: come può l'economia essere prospera se prima non sradichiamo il terrorismo in tutto il mondo? Fino a quando il terrorismo conserverà la possibilità di colpire, nessuna economia nazionale può sentirsi sicura, al riparo. La vulnerabilità agli attentati indebolisce gli investimenti. A chi dunque chiede se possiamo permetterci una guerra contro il terrorismo io rispondo che non possiamo non permetterci di combatterla. Se qualcuno avesse qualche dubbio gli suggerisco di andare a farsi una passeggiata attorno alla grande voragine di Ground Zero, a due passi da questo ufficio, dove fino all' 11 settembre c'erano le Torri Gemelle e dove 2700 persone sono morte, molte deUe quali ridotte in cenere. Non ci può essere stabilità e vivacità sui mercati fino a quando il terrorismo ci minaccia. Quale che sia il costo della guerra al terrorismo deve essere pagato perché è assai minore rispetto a quello cm andremmo incontro se decidessimo di non combatterla e vincerla». Questo ragionamento sulla necessità per l'economia di tenere sotto scacco il terrorismo include anche un'eventuale guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein? «La migliore soluzione in Iraq è un cambiamento di regime, sia che avvenga attraverso un processo interno a quel paese oppure con l'assistenza di una coalizione di paesi alleati. Se avverrà pacificamente sarà la cosa migliore, ma ciò che conta è che avvenga. Se consentiamo a un paese di accatastare armi di distruzione di massa biologiche, chimiche o nucleari affrontiamo il rischio che finiscano nelle mani di persone come quelle che ci hanno inflitto l'il settembre. Questo è inaccettabile, non possiamo permetterlo. Se non dovesse esserci una soluzione pacifica in Iraq, bisognerà trovarne comunque una». Quando vennero per la prima volta alla luce le notizie sugh scandali finanziari a Wall Street quale fu la sua reazione? Si sentì tradito, ingannato dallo stesso sistema finanziario di cui è alla guida? «La mia reazione non fu diversa da quella di tanti presidenti e amministratori delegati che conosco. Scambiamo azioni di 2700 aziende, molte leader di settore, conosco queste persone e so che rimasero scioccate come avvenne per me. Si è trattato di un fenomeno gravissimo che ha lasciato attonito il paese ma, attenzione, perché non è stato qualcosa di dilagante. Per una Enron colpevole di illeciti ve ne sono centinaia e centinaia che hanno operato come dovevano, pensando ai propri impiegati, clienti, azionisti e investitori. Il pubblico percepì gli scandah come se avessero coinvolto ogni azienda d'America: non è stato cosi, si è trattato di una vicenda molto dolorosa ma limitata nel numero delle società coinvolte. L'Azienda-America è rimasta scolvolta dall'avvenuto quanto i dipendenti e i correntisti delle so- cietà coinvolte, che devono però essere considerati eccezioni e non la regola». I nuovi regolamenti anti-frode varati dal governo la convincono? «Credo stiano iniziando a dare risultati ma bisogna avere pazienza. Una ferita non guarisce certo nel corso di una notte. Stiamo attraversando un momento di ricostruzione della fiducia nell'Azienda-America, il nostro primo obbligo con gli investitori non e promettere profitti ma trasparenza e affidabilità. Il punto è che non si possono decretare per legge integrità e moralità ma ciò che si può invece fare per legge è perseguire la disonestà e l'immoralità». Dalla sua postazione privilegiata che opinione si è fatta sullo stato dell'economia europea? «Lo scenario complessivo delTEuropa non è differente da quello degli Stali Uniti. L'economia deve lottare ma ci sono nazioni più forti di altre, come nel caso dell'Italia e della Gran Bretagna. Essendo di origine italiana mi rendo conto che c'è una certa resistenza da parte dell'economia italiana a farsi carico delle conseguenze del processo politico, caratterizzalo da rapporti di dare-ricevere. Gli italiani sono geniali, imprenditori, possono creare più di altri. Soffre invece la Germania, più del previsto ed a causa delle conseguenze economiche e finanziarie della riunificazione con l'Est, che vennero a suo tempo sottovalutate. Nel lungo-termine, comunque, la Germania si risolleverà. Sul piano del mercato globale due sono gli eventi che aspettiamo: la nuova ingegneria delle istituzioni finanziarie giapponesi e i risultati dell'economia cinese. La Cina dispone di una gigantesca domanda intema ed è destinata a essere una grande potenza economica nel XXI secolo». Se potesse dare un suggerimento a quelle aziende europee e italiane che tentano di sbarcare a Wall Street che cosa consigherebbe? «Il mercato dei capitali americano è aperto alle opportunità di affermazione di aziende europee e di altre paesi. Chiunque vuole diversificare viene qui. Il capitale necessario a chi vuole creare nuovo denaro è qui, dunque chi può farlo venga. Esitare, prendere tempo, è l'errore più grande. Ma questo vale anche per le aziende Usa in Europa. Se la Fiat tiene a essere nel listino di New York, un'analoga industria Usa non deve esitare a sbarcare a Milano». Lei parla di scambi e integrazione, ma in Europa il sentimento prevalente dice che andiamo verso rapporti tesi, se non a uno scontro euro-dollaro. Lei come la pensa? «Nel XXI secolo chi avrà successo sarà chi collaborerà. Fare le cose da soli sarà difficile. Per le singole aziende come per i singoli paesi. L'era delle divisioni fra Usa ed Europa è finita. Andiamo verso un mondo finanziario con tre monete: euro, dollaro e una moneta unica per l'Estremo Oriente». Lei ha servito per due anni l'US Army e da sette è alla guida di Wall Street. Quale dei due è stato l'impegno più duro? «Non c'è nulla nel settore privato ili equiparabile a servire un'intera nazione, qui negli Stati Uniti o altrove. Noi che operiamo nel privato sappiamo che non potremmo mai fare il nostro lavoro se non fosse per quegli uomini e donne in uniforme. Fare il militare prepara alle sfide del mercato dei capitali e mi è stato utile per affrontare la sfida dell'I 1 settembre, soprattutto nella gestione dell'emergenza». ÉLÉL Lo scenario complessivo "" del Vecchio Continente non appare divergente da quello degli States Occorre lottare, ma ci sono nazioni più forti di altre come la Gran Bretagna e l'Italia che possono farcela La Germania è debole e soffre ancora per le conseguenze della riunificazione con l'Est 99 /m&L La migliore "^ soluzione per letensioni con l'Iraq è un cambiamento di regime che porti alla pacificazione E' questa la cosa più importante Qualunque sia il costo della guerra al terrorismo è necessario pagarlo perché il prezzo del restare inerti risulterebbe AA molto più alto ^^ Richard Grasso visto da Ettore Viola

Persone citate: Bush, Ettore Viola, John F. Kennedy, Maurizio Molinari, Richard Grasso, Saddam Hussein