Quelli della RAMPA CENTOMILA AL LINGOTTO NEL GIORNO DELL'ADDIO

Quelli della RAMPA CENTOMILA AL LINGOTTO NEL GIORNO DELL'ADDIO DOMENICA 26 GENNAIO 2003 LA SCOMPARSA DELL'AVVOCATO 1921 2003 Un ininterrotto composto pellegrinaggio di autorità e gente . comune per l'ultimo saluto a Giovanni Agnelli Un ragazzo tifoso si è tolto la sciarpa della Juventus e l'ha lasciata cadere davanti alla salma Una donna: «Ho visto l'Avvocato quando lavoravo allo Stadio Gli ho parlato spesso e una volta gli ho offerto il mio ombrello» Una ragazza: «Sono figlia di operai Se ho preso la laurea è anche grazie a lui» Nelle due foto accanto la folla che per tutto il giorno ha atteso in coda per entrare nela camera ardente del senatore Giovanni Agnelli Quelli della RAMPA CENTOMILA AL LINGOTTO NEL GIORNO DELL'ADDIO Massimo Numa TORINO E' qualcosa che ti prende dentro e, alla fine, tutti i luoghi comuni si sono infranti, spezzati, dispersi nel mare di gente che da ieri mattina sino a notte ha raggiunto il Lingotto, da ogni entrata possibile, per convergere verso le rampe e gli ascensori e salutare per l'ultima volta Giovanni Agnelli. I luoghi comuni erano i soliti, l'ultimo Re, la Famiglia, le incolmabili distanze sociali, le ricchezze, i segni esteriori, l'estetica, la corte, i Potenti, i Vip e il resto. Oltre centomila persone, e tra queste c'è una madre, con un cappottino spigato beige, piccola, il colletto di pelliccia, le scarpe da tennis e le calze di nylon scure, che ha fatto due ore e quaranta minuti di coda (erano passate da poco le 16), spinto la carrozzella della figlia disabile, con i piedi infilati in gambaletti neri di plastica che dondolavano nel vuoto, sofferente, quasi inerte. Così il volto di Susanna Agnelli s'è illuminato in modo particolare e John Elkann, per stringere le mani della ragazza, ha dovuto inchinarsi, la gente immobile per un istante. Alice, che è un giovane ispettore della squadra mobile, osserva come tutto questo sembra impossibile, cioè il flusso interminabile di persone, diverse ed eguali, giovani e vecchi, in coppia, da soli o in gruppo. Il ragazzo-tifoso, codino e bomber, che si toglie la sciarpa della Juve e la lascia cadere sulla bara, tra lo sconcerto della Security. Ma poi Umberto rassicura gli uomini della sicurezza e la sciarpa bianconera resta là, confusa tra i fiori. Prima di sera saranno tre, i simboli sacri del tifojuventino. Migliaia e migliaia di persone. Perché? Alice prova a spiegarlo: «Io sono figlia di operai ed è pur vero che i miei genitori furono costretti a lasciare la loro terra per venire qui. Ma la Fiat non era solo una paga sicura, anche se magari i soldi erano pochi; dopo si entrava in un circolo virtuoso, la casa popolare, la scuola, i figli che possono studiare. La prima laurea dopo generazioni. Se io sono qui - e l'antenna della radio che stringe in pugno punta adesso verso la bara - è anche per merito suo». Forse è un pensiero collettivo, che fa sentire tutti uniti nel dolore. C'è la Torino multietnica. Tanti gli immigrati in fila, segno che Torino sta cambiando volto, fisionomia, tra speranze e nuovi problemi. La ragazza nigeriana si avvicina al feretro, lo sfiora e poi stringe le mani di Umberto e mormora qualche parola. Qualcuno ha portato anche i bambini, il padre dietro, la mamma al fianco, loro davanti, i primi a inginocchiarsi per un istante davanti alla bara. Poi li sospingono, timorosi, verso la famiglia e Donna Marella adesso riesce anche a sorridere, afferrando quelle mani offerte tutte e due contemporaneamente, e non si sa quale stringere. Prima la lunga attesa, compressi da un servizio d'ordine che ha dovuto controllare il flusso anche con una certa severità. Transenne e barriere non bastavano. Subito, gli ascensori sono stati riservati agli anziani e ai disabili. Poi tutti sulle rampe. Per qualche ora la coda è salita verso la camera ardente in modo ordinato poi, nel pomeriggio, sono saltare tutte le regole, il fiume ha rotto gli argini e hanno funzionalo solo gli ultimi filtri, poco prima del grande terrazzo tra cielo, montagne e colline. Così la Torino delle Barriere s'è ritrovata per una volta assieme a quella che, una volta, veniva chiamala borghesia. Gomito a gomito, nell'attesa paziente di compiere poche decine di metri, lungo la spirale del Lingotto, sino al quinto piano. Lo racconta Anna Marchisano: «Non lo avrei mai creduto. Non è possibile: così in tanti. Ma resto, aspetto. L'Avvocato io l'ho visto qualche anno fa, quando lavoravo allo Stadio. Gli ho parlato spesso, poche parole e un ricordo nitidissimo. rVr.- ljp3fc Pioveva forte, lui e l'autista non avevano l'ombrello. Gli offrii il mio. Lui lo prese e mi ringraziò». Per le migliaia di altri uomini e donne che si avvicinano all'ultima rampa parlando a bassa voce, non ci sono aneddoti da raccontare. L'Avvocalo era il simbolo «di un'epoca finita - spiega preciso Alberto, che dice di essere un ingegnere -, del tramonto di un modello di sviluppo di cui lui è slato il massimo interprete. Adesso c'è bisogno di un salto in avanti, ma Giovanni Agnelli, alla Fiat non avrebbe rinunciato mai. Di questo sono assolutamente certo». Così Alberto, mentre finalmente oltrepassa l'ultimo con- trailo prima della camera ardente, prende per mano la sua ragazza e tutti e due affrontano affiancali il percorso, giaccone blu e blue jeans. Ma tante signore hanno la pelliccia e il vestilo buono, quello delle occasioni importanti, perché «lui a questo era attento e quando mio marito lavorava in Fiat, tutte le mattine, gli facevo trovare i vestiti e la camicia stirati e la cravatta pronta. Adesso non c'è più e sono venula io», spiega. Nella lunghissima attesa, ha avuto un capogiro e adesso si appoggia al muretto. Solo un attimo e poi è fuori, nell'aria tersa. La polizia ha dovuto presidiare ogni angolo. Una famigliola di anziani si era inerpicata, chissà come, sulla parte più alla del tetto per vedere meglio e li hanno fatti scendere, tra mille cautele. E Francesco Scala. Ha 79 anni. Dal portafoglio, estrae una vecchia tessera della Cgil. Un quadratino: sfondo bianco, un braccio muscoloso, nero, la falce e il martello rosso fuoco. L'anno, il 1977. Dice: «Trent'anni in Fiat, mai tranquilli, tra scioperi e tensioni. Agnelli era più giovane di me di soli due anni. Mi ha fatto arrabbiare tante volte, in fabbrica gli davamo dei soprannomi, ma gli ho sempre voluto bene. Sono qui per lui e per fare personalmente le condoglianze alla famiglia. Lo so che può sembrare assurdo, ma lo sentivamo uno di noi».

Luoghi citati: Torino