Lula: io combatto contro la fame

Lula: io combatto contro la fame Lula: io combatto contro la fame E dal forum di Porto Alegre rilancia il no al liberismo sfrenato reportage Gìulietto Chiesa PORTO AtEGRE LUIS Inacio Lula da Silva, presidente del nuovo Brasile, sta arrivando a Davos dopo essere stato, ieri sera, l'eroe del Forum Sociale Mondiale nella «sua» Porto Alegre. Un oceano di canzoni e di applausi, una festa strabiliante, una dimostrazione di consenso popolare cui i centomila ospiti stranieri hanno portato un contributo probabilmente non determinante per la semplice ragione che i consensi Lula li ha conquistati tra i brasiliani, che lo hanno votato e che hanno considerato questo viaggio a Porto Alegre come una prova della sua volontà di mantenere le promesse. Nel suo discorso, nell'anfiteatro Po do sol, gremito fino all'inverosimile, Lula non ha lasciato zone d'ombra: non retrocederà. E ha detto chiaro che intendo usare il peso del Brasile fin dalle prime mosse. A costo di rischiare di dispiacere a Washington, con tutto ciò che questo comporta. «La mia guerra è contro la fame che attanaglia il mio paese». Altre guerre il Brasile di Lula non le conosce e non intende discuterne. Parla il presidente eletto da un paese che è il quarto al mondo per popolazione e che intende «ricuperare la propria autostima» . Gioco ad alto rischio, che la folla ha apprezzato con ovazioni ripetute, a volta ironiche, a volta furibonde. Andrò a Davos, ha detto in sostanza, per interpretare i sentimenti e i problemi dell'arretratezza e della povertà del pianeta. Ma non con la mano tesa, a chiedere carità. Questo Brasile sente di avere ora un peso difficilmente contenibile, al centro di un continente che sta vivendo due drammi simultanei, quello dell'Argentina e quello del Venezuela. Il primo conseguenza diretta degli errori di una dissennata politica - ideata ed eseguita dal Fondo Monetario Internazionale sotto l'egida del «consenso washingtoniano» - del .libero flusso di capitali in un paese carente di legislazione e di controllo. Il secondo, quello del Venezuela, effetto di antiche pratiche reazionarie di classi dirigenti che hanno prosperato per decenni, sotto regimi reazionari, e che ora non sono disposte a vedere ridimensionati i loro privilegi. I presidente Lula sembra rendersi perfettamente conto che non è nelle sue possibilità farsi carico di equilibri continentali molto delicati, per giunta nel bel mezzo di un'offensiva degli Stati Uniti per la creazione dell'area di libero scambio delle Americhe. Ipotesi che le sinistre latinoamericane e del centro America considerano perniciosa e in aper¬ to contrasto con le esigenze di sovranità, di autonomia e di sviluppo di tutto il continente. Ma il suo discorso dimostra che qualcosa è cambiato e che gli spazi di manovra che si aprono non vengono considerati irrisori. E, specificamente sul terreno economico, le ricette del business americano, che hanno fallito in America Latina, non possono essere riproposte. E' ben vero - ha detto Lula - che i vincoli capitalistici e di mercato non sono e non saranno in discussione (e qui gli applausi sono stati pochi in piazza, mentre i sospiri di sollievo sono stati sicuramente molti nei grattacieli di San Paolo) ma è anche vero che non c'è nessuno che possa avanzare ricette facili, non è a disposizione un modello definito cui fare riferimento a occhi chiusi. Non ce l'hanno quelli di Porto Alegre, ma non ce l'hanno nean¬ che quelli di Davos. Punto e a capo. Ne consegue che bisogna saper «contaminare», innovare. Che bisogna avere coraggio. Per un programma come Fame Zero di coraggio ce n'è voluto molto. Anche solo per dirlo, per riconoscere con franchezza lo stato delle cose, per non avere avuto paura di mostrare in pubblico, gigantesco Lazzaro sofferente, le proprie piaghe. Ma dev'essere chiaro - Lula non ha lasciato dubbi in proposito - che le vecchie ricette non possono più essere riproposte. Il Brasile che Lula ha preso in mano non sarebbe in queste condizioni se quelle ricette non fossero state accettate. A Davos dirà, tra le altre cose, che il sottosviluppo, in molti casi non potrà essere superato senza un intervento regolatore dello Stato. Dato e non concesso che le soluzioni neo-liberiste vadano bene per gli Stati Uniti d'America, a Porto Alegre Lula ha ripetuto che sicuramente non vanno bene per il Brasile. Così il Forum Sociale Mondiale ha ora una sponda di governo su cui «appoggiare» le proprie conclusioni. Oltre 1500 tra seminari, workshop, conferenze hanno preso avvio ieri in un «caos ordinato», sparsi tra la Pontificia Università dei gesuiti, gli antichi magazzini coloniali sulla riva del mare dove sbarcavano le navi cariche di schiavi negri del più grande porto brasiliano dell'epoca, il Gigantino e l'anfiteatro. Tutti sono contro la guerra che sta per cominciare, ma molti si dividono tra la speranza che qualcosa intervenga per fermarla, qualche deus ex machina che non si può immaginare, e l'idea che, comunque vadano le cose, si deve guardare oltre. Un oceano di canzoni e di applausi, una festa strabiliante, accoglie il nuovo presidente brasiliano Il suo impegno: «Manterrò le promesse» Un telone di protestatari anti-globa! a Davos con la sbarra del divieto di accesso al «WEF» (World Economie Forum)

Persone citate: Alegre, Fame Zero, Gìulietto Chiesa, Luis Inacio