«La guerra non farà volare il prezzo del greggio»
«La guerra non farà volare il prezzo del greggio» DIBATTUTO SU PREZZI E OFFENSIVA POSSIBILE CONTRO L'IRAQ. MONTI: L'UNIONE VA BENE, MA E' PERICOLOSO CHE ALCUNI STATI PENSINO DI ALLENTARE I VINCOLI DI BILANCIO «La guerra non farà volare il prezzo del greggio» Segnali di ottimismo da Davos. Issing: l'Europa è in ripresa Stefano Lepri inviato a DAVOS Il pericolo di guerra spinge a parlare di petrolio. Il contrasto sulla guerra tra gli Usa e gran parte dell'Europa spinge ad approfondire i confronti tra le due maggiori aree economiche del mondo, e ne accentua la rivalità. Nella seconda giornata del World Economie Forum a Davos, dove «l'attomey general» americano John Ashcroft ha ricordato che l'attacco preventivo è una priorità globale, emergono argomenti di peso immediato. Che succederà al prezzo del greggio in un conflitto? In pubblico, vengono diramati messaggi abbastanza rassicuranti. E in un mondo davvero globale, il fatto che in Venezuela stia fallendo lo sciopero petrolifero contro il presidente Chàvez migliora le prospettive, influisce già sulle quotazioni con un lieve ribasso. E' davvero così? Un economista che ha un'idea chiara delle interrelazioni mondiali ò Michael Mussa, ex capo ufficio studi del Fondo monetario. «Le quotazioni dei giorni scorsi - dice sono influenzate da una corsa all'acquisto nel timore di una interruzione dei rifornimenti. Certo non si può prevedere se la guerra sarà lunga o breve e che danno porterà ai pozzi. Ma il fattore da tener presente è che le attuali riserve strategiche degli Stati Uniti sono sufficienti a coprire un periodo di sei mesi. L'unica incertezza è se e quando si deciderà di impiegarle. Secondo me, è giustificato ricorrervi già nel caso il prezzo del greggio superi i 35 dollari il barile». «L'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio sta facendo del suo meglio per tenere bassi i prezzi - dichiara Alvaro Silva Calderón, per l'appunto venezuelano, che ne è il segretario generale - ma di petrolio non c'è mancanza. Che potremmo fare di più?». Strano discorso: l'Opec non è nata appunto per egemonizzare il mercato? Perché i prezzi non sono scesi quando l'Opec ha annunciato l'aumento della produzione? Però Mussa conferma: «Se i problemi del Venezuela si risolveranno presto, come pare, il greggio non manca». E ha ragione chi promette petrolio a volontà una volta che il regimo di Saddam fosse abbattuto? Qui per lo più i giudizi sono prudenti. L'Iraq può in effetti aumentare la sua produzione rispetto ai circa 3 milioni di barili attuali, in prospettiva raddoppiarla, ma ci vorrà tempo. Incomoda per altri motivi, l'ascesa dell'euro servirà almeno a moderare il costo effettivo per l'Europa del greggio, quotato in dollari. E un'impennata di orgoglio ha coinvolto tutte le voci della «vecchia Europa» presenti a Davos. Perfino Otmar Issing, il capo economista della Banca centrale europea, per il suo ruolo di solito più incline alla critica e al pungolo nei confronti dei governi, invita a evitare i paragoni banali, che non raffigurano bene tutta la realtà: «Se guardia¬ mo al reddito per persona, che è poi quello che veramente conta per la gente, nell'ultimo decennio la prestazione dell'Unione europea è assai vicina a quella degli Stati Uniti, negli ultimi tre anni migliore. Negli ultimi tre anni l'Unione europea ha creato sette milioni di posti di lavoro, gli Usa la metà». Sì, se l'economia americana si ingrossa più velocemente è perché accoglie un flusso più massiccio di immigrati, e aumenta la popolazione; l'Europa, per di più, fa pochi figli. «L'Europa ha il problema dell'invecchiamento della popolazione - dice il ministro dell'Economia francese Francis Mer, negando ironicamente di rispondere al ministro della Difesa americano Donald Rumsfeld - ma non è "la vecchia Europa". Non lo è e ha tutto il diritto di porsi grandi ambizioni». Certo a causa dell'invecchiamento vanno rivisti, come principale riforma di struttura, i sistemi delle pensioni: il commissario europeo Mario Monti avanza l'idea che i governi affidino a Bruxelles il compito di fare proposte «imperative» in materia. Nei non entusiasmanti Anni 90, ricorda Monti, l'Europa ha pur sempre costruito un'area economica unica, realizzando una disciplina fiscale severa: è il «solido fondamento» per una successiva fase di sviluppo. «Che cosa abbiamo realizzato si vede in come è cambiato il mio paese precisa il ministro dell'Economia portoghese Carlos Tavares che quando entrammo nell'Unione europea, 17 anni fa, aveva un reddito al 540Zo della media con gli altri Paesi, oggi è al 750Zo». I Paesi più poveri si sono avvicinati ai più ricchi, l'insieme è diventato più omogeneo. Certo ci sono rischi. «Se guardiamo ai primi tre anni trascorsi nel realizzare gli obiettivi per il 2010, quelli di Lisbona - nota Issing - il bicchiere è mezzo vuoto assai più che mezzo pieno». Monti avverte che «è pericolosa la tendenza di alcuni governi, anche dei Paesi più grandi dell'Unione, ad allentare i vincoli di bilancio. E nemmeno ci potrebbe aiutare il lassismo monetario che alcuni chiedono». Un sondaggio del Wall Street Journal tra gli europei li rivela insospettatamente ottimisti: secondo il 2907o, tra vent'anni avrà una potenza economica pari agli Usa, secondo il 220Zo politica oltre che economica, per il 6nZo addirittura più avanti. Mussa: le riserve Usa possono sostenere l'offerta per sei mesi Il segretario Opec: stiamo facendo il meglio per tenere bassi i listini del petrolio L'«attorney general» americano John Ashcroft parla a Davos
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