La porta 2 si apre alla tristezza di Francesca Paci

La porta 2 si apre alla tristezza NELLO STABILIMENTO LA NOTIZIA DELLA MORTE E' ARRIVATA VERSO LE NOVE. «TROPPO POCO UN MINUTO DI SILENZIO» La porta 2 si apre alla tristezza A Mirafiori: oggi se ne è andato un grande Francesca Paci Sabino Casalino dondola lo zainetto azzurro tra le gambe e aspetta il trillo del secondo turno davanti al cancello due di Mirafiori. «Poveri noi senza più papà Agnelli», ripete; trentanove anni alla verniciatura delle vetture non sono sufficienti a dimenticare il genitore che, poco più d'un ragazzo, l'ha «sollevato dalla povertà senza speranza della provincia di Bari». Il governatore della Campania Antonio Bassolino ha commentato la scomparsa del presidente onorario della Fiat come «la perdita d'un padre della patria». L'atmosfera, tra gli operai che entrano ed escono dalle Carrozzerie, è di lutto familiare. Sullo slargo di corso Tazzoli, dove il banco della frutta espone le arance brillanti al sole inaspettato, Francesco Calò e Chiara La Balestra, cartellino montatori alla mano, rimpiangono «un altro grande che se ne va, come il nipote Giovannino». La notizia della morte dell'Avvocato è arrivata fino in Mongolia, con l'agenzia di stampa nazionale Mig News che apre la prima pagina del sito internet. Nel cuore dell'industria automobilistica torinese non si parla d'altro. Laura De Meglio è delusa: «Per un evento del genere mi aspettavo cancelli chiusi e bandiere a mezz'asta». D'accordo, davanti alla palazzina principale di corso Agnelli gli stendardi sono ammainati, ma l'operaia quarantenne che ricorda ancora l'inauguranzione della Punto, quando il senatore a vita «venne in stabilimento da solo, lasciò a casa la scorta, stringendo senza guanti le nostre mani ancora sporche d'olio», s'aspettava di più. Quelli che escono, giacche a vento strette come il «Mimi metallurgico» del film di Lina Wertmueller, passano agli altri appena arrivati la staffetta del turno e le voci di dentro. Secondo Gloria Vinci «un solo minuto di silenzio per uno che ha dedicato alle automobili sessantanni di vita è davvero poco». Le macchine si sono fermate simultaneamente alle tredici. Sono rimasti con l'amaro in bocca un po' tutti gli operai che hanno sentito della morte del «padrone» intorno alle 8 e quaranta, quand'erano al montaggio da quasi tre ore. Ammette d'essere un neofita, ma anche il ventiquattrenne Vincenzo Darà, assunto ner99 e a detta degli anziani «uno degli ultimi fortunati», avrebbe «sospeso l'attività per almeno un'ora». Nel giorno della solidarietà della Fim-Cisl di Cassino, che ha cancellato lo sciopero e ritirato i delegati dai picchetti, dei telegrammi dalle organizzazioni sindacali dei metalmeccanici napoletani di Fiat e Alfa, le contestazioni non trovano consenso. Giulio, Luigi, Giovanni, gli unici nel carosello della turnazione a non voler rivelare il proprio cognome, lamentano «le tante e ignorate vittime del lavoro». E' la posizione polemica dei Cobas di Pomigliano d'Arco, indignati per «la pubblicità inesistente ai mille morti l'anno nelle fabbriche italiane». Ma stavolta, da quell'orecchio, il cancello due di Mirafiori non ci sente. Antonietta Giannetto slega la bicicletta Bianchi, come ogni giorno da ventidue anni, e scuote la testa. «Lo sciopero della Fiom non mi è proprio andato giù», dice ad alta voce quasi a farsi sentire da qualcuno che ha incrociato le braccia. Il colle¬ ga Marco Pala la raggiunge: «Mi è dispiaciuto scioperare, è stato un errore. Se n'è andato l'unico che avrebbe potuto rilanciare l'auto». Racconta che alla plancia dove controlla i pezzi della carrozzeria delle vetture da un quarto di secolo, la notizia è arrivata tardi, a protesta iniziata. I rappresentanti sono riusciti «solo a disdire il blocco di due ore programmato per il pomeriggio dalle 16 alle 18». Un delegato sindacale Fiom s'associa, composto, al coro delle condoglianze. Rosario Scavo, militanza trentennale in difesa dei diritti dei metalmeccanici, rende l'onore della armi «al nemico onesto e leale affrontato tante volte sulle barricate». Parla del «rapporto di reciproca stima tra l'Avvocato Agnelli e Luciano Lama», e pare di sentire l'ex leader della Cgil. «Da presidente della sua azienda e di Confindustria non ha negato il ruolo del sindacato neppure nei momenti più difficili», ha ammesso ieri Sergio Cofferati ricordando il senatore a vita. «Oggi è il giorno del lutto e la politica non c'entra nulla», taglia corto Michele Marlinucci. Il minuto di raccoglimento l'ha osservato da solo, nel vuoto pesante del capannone Marea dove a recuperare il materiale ancora buono dei tipi cessati, non c'è altri che lui. Il quotidiano francese Le Monde ha riportato ieri la definizione che di Giovanni Agnelli amava dare il regista Federico Fellini, «piace come un attore». Tra le donne, i ragazzi, gli uomini attempati ma vigorosi come solo chi s'alza per una vita mentre la città dorme ancora profondamente, il ricordo del presidente d'onore della Fiat ha un'aurea mitica, cinematografica. «Ha dato da mangiare a un sacco di gente e ho pregato per lui l'intera mattina», fa Teresa Sagliano mentre si affretta all'ingresso negli ultimi minuti utili. Per lei, casertana arrivata alla stazione di Porta Nuova nel '68 a cogliere le opportunità offerte dalla capitale dell'industria, «l'Avvocato è stato sempre un simbolo». «L'uomo cui si deve la grandezza di Torino», «La risorsa per tanti meridionali in fuga da un futuro di disoccupazione nera», «Il padrone dal volto umano»; il senegalese Assane, che ha steso un tappeto di mascherine per cellulari multicolori a lato della cancellata, si guarda intorno smarrito. Giovanni Agnelli? «Non so chi sia, ma oggi tutti parlano tra loro e non compra niente nessuno». E' una giornata diversa dalle altre in corso Tazzoli. Passano come sempre l'autobus 95, il 40, il 2 per piazza Bengasi. Al solito, i capanelli si stringono intomo all'oratore di turno per sentire la tirata contro le tasse, l'arbitro venduto alla squadra avversaria, il caro-euro reo d'un Natale magrissimo. Solo che stavolta, guadagna ascolti chi può aggiungere qualcosa alla notizia del giorno. Come Giovanni Minniti, che il suo omonimo Agnelli l'ha «conosciuto personalmente». Qualcuno gli ha stretto la mano in occasioni ufficiali di visita agli stabilimenti, così, en passant. Altri l'hanno visto da lontano, in televisione, attraverso i vetri dell'automobile. Il carrellista quarantasettenne supertifoso bianconero no, iui ha avuto «un rapporto diretto». Sentite: «Ero andato a seguire gli allenamenti della Juventur., deciso a farmi firmare dal Presidente un libro appena uscito sui giocatori. L'Avvocato si è messo a parlare con me e i ians radunati lì, discutevamo di calcio, sembrava un amico. Era felice di com'era venuto nelle fotografie, lo ripeteva». Il titolo della pubblicazione, Giovanni Minniti non lo ricorda, «ma il valore vero è nell'autografo». Sta bene in vista su uno scaffale della libreria dove «la polvere non osa neppure appoggiarsi»; ogni amico che viene a mangiare un piatto di pasta paga pegno e riascolta la storia da capo. Il militante che da trent'anni opera nella fabbrica in difesa dei diritti dei metalmeccanici rende l'onore delle armi «all'avversario leale affrontato tante volte sulle barricate» Una dipendente che ha finito il turno scuote la testa e dice «Lo sciopero della Fiom non mi è andato giù» Un collega si scusa «E' stato un errore» e il delegato si associa al coro delle condoglianze Lo stabilimento di Mirafiori durante un cambio del turno tra i lavoratori metalmeccanici. Gran parte degli operai avrebbe voluto una partecipazione più significativa al lutto per la morte di Gianni Agnelli Sabino Casaline fókfm «Poveri noi "™ senza più papà Agnelli Da ragazzo mi ha sollevato da una povertà che era senza speranza nel Barese» 99 Laura De Meglio iCig. «Sono w w delusa Per un evento del genere mi aspettavo bandiere a mezz'asta e cancelli chiusi» 99 Teresa Sagliano 66 «E' stato uno che ha dato da mangiare a un sacco di gente e ho pregato per lui l'intera A A mattina» ^Z?

Luoghi citati: Bari, Campania, Cassino, Mongolia, Torino