Giuffrè: appoggiammo l'elezione di Giudice

Giuffrè: appoggiammo l'elezione di Giudice UDIENZA NELL'AULA BUNKER DI MILANO PER CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA Giuffrè: appoggiammo l'elezione di Giudice Oggi toccherà ai legali del parlamentare di Forza Italia interrogare il pentito Brunella Giovata MILANO «Ne abbiamo parlato anche con Provenzano, e avuta la sua... benedizione, ci siamo incamminati su questa strada, con Forza Italia». Perché con questo neonato partito «c'erano buone prospettive», e sul suo conto erano arrivate informazioni rassicuranti. Per la precisione, l'imprimatur era giunto dal quartiere Brancaccio, ovvero dalla famiglia Graviano, l'ala più dura (e stragista) all'interno di Cosa nostra. Così racconta l'ex braccio destro di Provenzano Antonino Giuffrè, attualmente collaboratore di giustizia, ai giudici del tribunale di Palermo ieri in trasferta nell'aula bunker di Milano per il processo in cui il deputato di Forza Italia Gaspare Giudice (presente in aula) è accusato di concorso estemo in associazione mafiosa. Giuffrè parte dal 1994, «quando da parte di Cosa nostra c'è stata un'inversione di tendenza totale, allorché è nata Forza Italia», formazione politica che «fin da prima di nascere viene vista e studiata», fino a quando non arriva l'ok da Palermo. E quando alcuni siciliani cominciano a muoversi nell'ambito del nuovo partito, la mafia riferisce Giuffrè - li esamina con attenzione, per valutarne l'affidabilità. Uno di questi è Giudice, che godeva di buona fama perché «in carcere aveva tenuto un comportamento da uomo d'onore», all'epoca - negli Anni Ottanta - in cui finì coinvolto in una vicenda di truffa all'Iva (accusa poi caduta. Giudice venne assolto). Il politico - racconta il pentito - era comunque considerato «vicino» alle famiglie mafiose di L'onorevole nel 1995 fu rieletto alla Camera ma della campagna elettorale di allora il collaboratore considerato vicino al boss Provenzano ha solo «vaghi ricordi» Termini Imerese e di Villagrazia di Palermo, e perciò meritava di essere appoggiato alle elezioni del 2001. Giuffrè: «Ricordo che in un appuntamento con Giulio Cambino [che faceva parte del direttorio di Provenzano, ndr] mi disse che erano indaffarati, in quel periodo di elezioni, e che appoggiavano l'elezione dell'onorevole Giudice perché si era dimostrato persona affidabile». Ma quando Cambino gli disse questo, Giuffrè lo avvisò: «State attenti, trattandosi di persona importante, cercate efi non bruciarlo. Significava di non farsi vedere in compagnia di Giudice o di altri deputati. Ricordo che Cambino rispose che si stavano già comportando così». Perciò i contatti «avvenivano lontano da occhi indiscreti, strategia già in atto da molti anni» con altri uomini politici. E quale ern la contropartita, domanda il pubblico ministero Paci? «Noi garantivamo l'appoggio elettorale, di contro esigevamo un appoggio istituzionale per risolvere quei piroblemi che tanto avevano assillato, infastidito e preoccupato Cosa nostra». Ovvero quello che Giuffrè definisce il «pacchetto di richieste»: attenuare i rigori del 41 bis, impegnarsi nella revisione dei processi e sul fronte del sequestro dei beni, perché «quando ad un mafioso tolgono il suo capitale, è come se togliessero parte della persona stessa». Giudice venne poi eletto (in realtà fu rieletto, ma della campagna del '96 Giuffrè ha «vaghi ricordi»). In ogni caso, tutte e due le volte ci fu «lo "sta bene" di Provenzano», perché se Cosa nostra avesse vo uto ostacolare Giudice, questi «non sarebbe certo stato eletto». L'audizione di Giuffrè prosegue oggi, e forse in serata potrebbe iniziare il controesame da parte della difesa dell'onorevole Giudice.

Luoghi citati: Milano, Palermo, Termini Imerese