I potenti di Davos temono l'incognita della guerra di Stefano Lepri

I potenti di Davos temono l'incognita della guerra ALL'INAUGURAZIONE DEL WORLD ECONOMIC FORUM PREVALGONO LE CRITICHE I potenti di Davos temono l'incognita della guerra Incubo recessione: «Gli eserciti sono pronti, l'economia e i consumatori no» Stefano Lepri inviato a DAVOS Se c'è da spiare un segno dei tempi qui al World Economie Forum, è forse nel duro comizio anti-americano tenuto nella sessione inaugurale da Mahathir Mohamed, primo ministro della Malaysia. Una parte della sala - una parte dei ricchi dei vari continenti del pianeta - lo ha applaudito vivacemente. Un'altra, naturalmente, ne è rimasta turbata. Il dottor M, come lo chiamano in patria, è un governante autoritario che la globalizzazione l'ha fatta a modo suo, scampando meglio di altri alla crisi asiatica di 5 anni fa. Un discorso così lo avrebbero applaudito anche a Porto Alegre, salvo nella parte in cui ha difeso la pena di morte e ironizzato sui diritti umani. Così gira il vento, a proposito di globalizzazione. Ad ascoltare uomini e donne d'affari, se ne ricava l'impressione prevalente che una vigorosa ripresa dell'economia mondiale sia ancora lontana; specie se la guerra all'Iraq verrà a complicare le cose. Gli economisti discutono di un cambiamento di fase: «siamo chiaramente in un dopo-bolla» conclude il vicedirettore del Financial Times Martin Wolf, uno dei più noti commentatori del mondo, intendendo che prima di riprendere a marciare in avanti molte cose dovranno cambiare, eccessi dovranno essere smaltiti, errori dovranno essere corretti. Ovvero, «mai in 33 anni di Forum - dice il creatore del consesso di Davos, il tedesco Klaus Schwab - la situazione mondiale è stata tanto com¬ plessa, tanto fragile, tanto pericolosa come quest'anno». Vuol dire che quella che abbiamo chiamato globalizzazione si è interrotta? La globalizzazione non è irreversibile, ha sostenuto Wolf, ma al momento pare attraversare più che altro una fase di profondo aggiustamento. Tanto per dare un'idea, il sondaggio fatto realizzare dal Forum in 15 Paesi, tra cui l'Italia, tra le figure «degne di fiducia» mette al primo posto (560/)) i capi delle organizzazioni non governative, poi l'Onu (42'Kn); agli ultimi i dirigenti delle multinazionali (330^i) e i governanti Usa (27nZo). Il commercio internazionale ha interrotto per un biennio una crescita che durava ininterrotta da 18, presumibilmente riprenderà ad aumentare quest'anno sempre che la guerra non abbia esiti disastrosi; continua ad ingrossarsi il flusso di Investimenti diretti oltre le frontiere (ossia non si ferma il processo che rende più interdipendenti le economie reali); declina la globalizzazione finanziaria, quei flussi di capitale finanziario che a molti paesi emergenti hanno procurato più guai che altro (infatti Mahathir, che li ha limitati, a tutt'oggi se l'è cavata meglio). Forse era la globalizzazione «alla Wall Street», quella dei flussi di capitale a breve che andava corretta, non la globalizzazione degli scambi, come sostiene l'eéonomista Jagdish Bhagwati, anche lui in arrivo a Davos. Dopo tutta la sua tirata contro la superpotenza americana «purtroppo priva di un contrappeso dopo il crollo del comunismo» e sulla «terza guerra mondiale» che essa avrebbe scatenato con il pretesto di combattere i terroristi, lo stesso leader della Malaysia inaspettatamente conclude che lo scontro tra i ricchi e i poveri del mondo può essere evitato «con il vantaggio di entrambe le parti, se si riuscirà a concludere un compromesso». Nessuno vuole rompere il meccanismo che ha diffuso benessere in, molti Paesi. Temuti ó invisi per la forza militare, gli Stati Uniti restano indispensabili come motore dell'economia mondiale. «In futuro la Cina potrà valere come 10 Giapponi» ha detto Wolf, ma al momento come dimensione dell'economia ha appena superato l'Italia. Ieri in'apertura gli organizzatori del Forum hanno voluto ripetere il confronto di un anno fa, tra una ottimista, Gail Fosler del «Business Council», e un pessimista, Steve Roach della banca di investimenti Morgan Stanley. Nessuno dei due ha avuto ragione fino in fondo; ma entrambi ora temono l'effetto Iraq. «E' quella la grossa incognita perché potrebbe togliere ai consumatori americani ogni voglia di spendere» dice la Fosler. Per Roach «sarà recessione anche se il prezzo del greggio schizzerà in alto per poche settimane soltanto». «La preparazione militare è ottima, quella economica non lo è per niente» commenta Robert Hormats, vicepresidente della banca di investimento Goldman Sachs. Proprio in questa fase di passaggio della globalizzazione, il rischio che si corre con un conflitto è più alto. I VENTI STATI PIÙ'GLOBALI ■pj POLITICO TECNOLOGICO CONTATTI PERSONAL! || INTEGRAZIONE ECONOMICA POLITICO Numero di membri nelle organizzazioni internazionali, nelle missioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu alle quali ogni Stato partecipa e numero di rappresentanti diplomatici ospitati da ciascun paese TECNOLOGICO Numero di utenti e di siti Internet e di sistemi classificati come sicuri CONTATTI PERSONALI Partenze per paesi stranieri e arrivo di turisti, volume del traffico telefonico Internazionale e numero di passaggi alla frontiera INTEGRAZIONE ECONOMICA Scambi commerciali, investimenti diretti e capitali provenienti dall'estero, pagamenti in entrata e in uscita Fonte: FOREIGN POLICY Magazine

Luoghi citati: Cina, Iraq, Italia, Porto Alegre, Stati Uniti