Torneresti in Italia? di Piero Bianucci

Torneresti in Italia? | CERVELLI | ANALISI DELLA «FUGA» Torneresti in Italia? NEL RAPPORTO DEL CENSIS PER IL 2003 UNA INDAGINE SUI NOSTRI SCIENZIATI ALL'ESTERO: I DELUSI SONO IL 30 PER CENTO E FORSE POTREBBERO RIENTRARE Piero Bianucci LA distanza tra Torino e Roma non cambia se la si misura in metri, piedi o yarde. Nello stesso modo, non cambia il prezzo dell'insalata se lo si esprime in lire o in euro. Elementare. Eppure tutti attribuiscono all'euro, anziché alla disonestà di una parte dei commercianti e degli imprenditori, l'aumento dei prezzi. Il quale è un'altra cosa ben misurabile, che tuttavia in Italia appare opinabilissima, considerando che l'Istat proclama un'inflazione al 2,5 per cento mentre l'Eurispes parla del 29. Se misurare è operazione tanto aleatoria in economia, figuriamoci nell'ambito sociale. Nonostante ciò, si riconosce nitidamente la crisi italiana nella pur esoterica prosa di Giuseppe De Rita, presidente del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), che con «Il regno bienne» (Einaudi, 89 pagine, 10 euro) analizza la dissoluzione delle nostre istituzioni, dallo Stato all'Università, e le pericolose derive di una «società molecolare» in cui il cittadino diventa indistinta moltitudine, manipolata dalla comunicazione di massa ed esposta alle avventure di chi tende a riempire il guscio svuotato delle istituzioni democratiche (De Rita ne parlerà venerdì 31 gennaio alla Fondazione Ferrerò, ad Alba). E ancora meglio si riconosce la crisi italiana nelle 660 pagine del trentaseiesimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del nostro paese, aggiornato al- l'estate dell'anno appena concluso (ed. Franco Angeli, 41,50 euro). Gli spunti che il rapporto offre sono innumerevoh. Qui ci limiteremo a qualche indicazione in tema di ricerca scientifica. Il caso del chirurgo Ignazio Marino, che ha lasciato il centro trapianti di Palermo per emigrare negli Stati Uniti, ha riacceso l'antico dibattito sulla «fuga dei cervelli». Prescindiamo dalla vicenda in sé, che probabilmente ha a che vedere, più che con la povertà e la burocrazia delle nostre strutture, con obiettivi di guadagno e di prestigio personale, peraltro legittimi. Vediamo invece la situazione fotografata dal Censis. Su 100 ricercatori italiani all'estero, 34 lavorano negli Stati Uniti, 26 nel Regno Unito, 11 in Francia, 9 in Svizzera, 7 in Germania. Negli Stati Uniti vanno soprattutto i fisici: sono quasi un quarto degli scienziati italiani in Usa. Eppure la fisica in Italia fino a ieri è stata ben finanziata, e l'Europa dispone dei Cem, che con il Fermilab americano è il più importante laboratorio del mondo. Nel Regno Unito e in Francia prevalgono invece i medici e i biologi che si dedicano all'oncologia e alle neuroscienze. Il 68 per cento dei ricercatori italiani all'estero ha conseguito il dottorato e il 63 ha già lavorato in Italia. Questo è un indizio di depauperamento grave se l'esperienza all'estero diventa definitiva; ma se fosse reversibile, anziché di fronte a un danno, saremmo di fronte a un arricchimento: il provincialismo nuoce sempre, e alla scienza ancora di più. Diventa allora interessante la tipologia dei ricercatori italiani all'estero. Quelli ben radicati sono il 22 per cento: risiedono nel paese ospite da più di dieci anni, svolgono anche attività didattica, sono abbastanza soddisfatti economicamente e non mancano di mezzi per la ricerca; si stima che il 40 per cento di questo 22 per cento non tornerà mai più in Italia. Un ulteriore 27 per cento dei ricercatori emigrati manifesta entusiasmo per il paese che li ha accolti, giudica patologica per l'Italia la fuga dei cervelli ma la giustifica con la povertà e l'inefficienza del sistema di ricerca nazionale; molto improbabile, quindi, il ritomo in patria. Un altro 10 per cento è costituito da quegli scienziati che non esprimono giudizi di merito sull'ambiente italiano ma ritengono fisiologica la presenza di ricercatori italiani all'estero; questi «globalizzati» non escludono l'eventualità di un rientro, ma si trovano bene dove attualmente risiedono e ad essi in sostanza appare indifferente il luogo dove si lavora. Rimangono fuori da questa classificazione 40 ricercatori italiani all'estero su cento. Di'questi, 9 sono insoddisfatti e 31 apertamente delusi. I primi lavorano soprattutto in paesi europei e non hanno ancora idee chiare sulle loro scelte di carriera, si trovano «a metà del guado», pronti a prendere in considerazione soluzioni diverse. Dei secondi, assai numerosi, almeno uno su due (precisamente il 53,80Zo) dichiara di essere disposto a tornare in Italia «a determinate condizioni». Ecco: senza drammatizzare provincialmente ed emotivamente la «fuga dei cervelli», è su quelle «condizioni» che bisogna lavorare. Ed è difficile farlo con un misero uno per cento del Pil investito in ricerca. Persino la diffusione giornalistica della cultura scientifica arretra: secondo il rapporto Censis nell'ultimo anno i mensili di contenuto scientifico sono scesi da un milione e 260 mila copie a 844 mila, con un calo del 21 per cento. Gli entusiasti (del Paese che li ha accolti) Denotano alti livelli di soddisfazione rispetto all'attuale situazione e alle prospettive future Ritengono patologico il fenomeno della fuga dei cervelli italiani Valutano negativamente il sistema italiano della ricerca Difficilmente tornerebbero In Italia I delusi | Sono soprattutto giovani fino a 35 anni Ritengono che la presenza di ricercatori italiani all'estero sìa un fenomeno patologico Valutano il sistema italiano di ricerca infenore alla media del paesi avanzati Sono abbastanza soddisfatti della loro attuale posizione e delle prospettive future. Il 53,80Z(i dichiara di essere disposto a tornare in Italia «a determinate condizioni». I professori ben radicati Sono all'estero da più di 10 anni Svolgono anche attività didattica Sono abbastanza soddisfatti della propria situazione economica. Dispongono di sufficienti risorse finanziarie, umane e strumentali per la ricerca. II 40o/» sicuramente non tornerà in Italia LA MAPPA DEI RiCERCATORi ITALIANI ALL'ESTERO i globalizzati Non esprimono un'opinione negativa del sistema italiano universitario e di ricerca Considerano fisiologica la presenza di riceRatoii italiani all'estero Dispongono di sufficienti risorse umane e strumentali Il 40^5 si concentra nelle strutture di ricerca francesi Il 45,5^0 non sa se in futuro tornerà in Italia o meno Gli insoddisfatti Lavorano soprattutto ih paesi dell'Unione Euroea Sono insoddisfatti in merito alla attuale posizione e alle prospettive di carriera Non esprimono giudizi positivi nei confronti dei sistèma italiano Sono a «metà dei guado». Fonte: indagine Censis-Fondazione CA.RI.VE., 2002

Persone citate: De Rita, Einaudi, Franco Angeli, Giuseppe De Rita, Ignazio Marino