«La mia Anna è morta dove ci amavamo» di Pierangelo Sapegno

«La mia Anna è morta dove ci amavamo» TORTONA, SOTTO LA NEVE AVEVA PORTATO LA RAGAZZA MALATA DI AIDS IN UN CAMPO: «E' LI' CHE ANDAVAMO SPESSO» «La mia Anna è morta dove ci amavamo» Ritrovato il marito dopo la fuga reportage Pierangelo Sapegno inviato a TORTONA ERA buio, e nevicava grosso così. C'era questa sedia a rotelle, impeciata nel fango, verso la fine del fratturo, davanti al campo arato. Aveva sopra una coperta. Quel mucchio di roba poteva sembrare una persona, ricurva, che non stava con la testa diritta. Però, in quel momento la donna delle pompe funebri chiese: «Lei dov'è?». Il maresciallo dei carabinieri di Casteinuovo puntò la pila. «È qui», disse. E il fascio stretto di luce allungato fra i fiocchi illuminò un fagotto coperto da un velo di neve, disteso dolcemente sulla terra arata e nel fango. Allora la videro tutti. Ecco dov'era finita la piccola esistenza di Anna Maria F., 33 anni, da Alessandria. In un campo largo, vicinoa due tubi per l'irrigazione, davanti a un grosso edificio un po' spettrale chiamato Cascina Messina, sotto un leggero avvallamento del terreno, una specie di argine che quasi la raccoglieva, come una culla. Quel posto non significava niente per nessuno. Ma anche la sua vita aveva significato niente per nessuno. Lei ci veniva a far l'amore con Emanuele, quando i giomi avevano altre speranze e forse anche altri peccati. Ci è tornata per morire, scappando dall'ospedale dov'era condannata. Anna Maria aveva l'Aids e il tempo contato. A lui non andava giù come la curavano: «Ha bisogno di più amore», protestava. Per questo, l'ha portata via cercando un altro ospedale. Lei non ce l'ha fatta e alla fine è tornata qui, spinta in carrozzella, jerchè non poteva più muoversi, e ui a piedi, come facevano da ragazzini. L'ultimo viaggio alla ricerca della felicità. Lei è morta a metà. Lui, l'hanno trovato ieri sera che vagava disperato nella piazza di Casteinuovo. Fu così che la donna delle pompe funebri avanzò nella luce e si chinò sul cadavere di Anna Maria, quando quel viaggio era finito da un giorno. Aveva il catetere staccato, lì vicino. Perdeva sangue dalla bocca. Erano venuti la notte prima, che c'era la nebbia. Ema- nuele l'aveva fatta scappare dall'ospedale lunedì scorso, dopo le otto di sera. L'avevano ricoverata domenica ma lei non resisteva. Davanti allo studio del primario, nel reparto di Anna Maria, c'è un cartello appeso alla parete che chiede il rispetto a tutti, «in questo luogo dove la vita e la morte si sfidano quotidianamente e dove la gioia della guarigione talvolta sfuma nell'amarezza della sofferenza». È il rispetto che dobbiamo alla fatica di perdere, ma anche di farcela. Con Emanuele, Anna Maria, che si faceva chiamare Rosanna dagli amici, non aveva fatto una bella vita. La loro era una storia di emarginazione. C'è solo l'amore che è uguale per tutti, anche per quelli che sono capitati al mondo per perdere la gara. Arma Maria aveva conosciuto Emanuele che era una ragazzina. Lei aiutava il padre nella sua gelateria di Alessandria. Lui era un bravo tipo, ma non ha mai fatto niente nella sua vita. E il terzo di cinque fratelli, che poi sono diventati undici, fra madri e matrigne. Quando lo conobbe, lei lasciò tut):o e lo seguì. Forse finirono nella droga. Si sposarono dieci anni fa, continuando ad amarsi. L'amore è a misura degli uqmini: è fatto anche di peccato e qualche volta di miserie. I grandi scrittori hanno detto che è il riscatto che lo nobDita. Può essere vero. In questa storia, lui ha saputo starle vicino con quell'affetto che ci regala solo la disperazione. Il tenente dei carabinieri Alessandro Zelasio racconta che a Tortona li conoscevano tutti, e faceva- no molta tenerezza: «Li vedevano sempre insieme, lui che la portava in giro in carrozzella». Lei era ormai inabile. Emanuele la lavava, la vestiva, la imboccava, e spingeva la carrozzella con dedizione infinta. In ospedale si lamentava che non facevano come lui, diceva che,lei aveva bisogno di più attenzione. Lunedì sera era andato a trovarla dopo le otto. A quell'ora, Anna Maria doveva essere seduta sul letto al piano terra del Dipartimento medico dell'ospedale di Tortona ad aspettarlo con le mani serrate e gli occhi fissi sulla porta. Non aveva voglia di quel posto li. L'eco attutita dei corridoi e l'odore dei disinfettanti la mettevano in agitazione. Le infermiere erano gentili, ma le facevano mangiare roba che non le piaceva e chissà se la vestivano con le tende scostate. Poi, lei pensava che una volta uscita ogni giorno sarebbe stato una croce: avrebbe avuto sempre il terrore di crollare di nuovo e tornare in quella stanza e in quel letto. Si sarebbe sentita solo un pezzo di carne da vestire ogni mattina. C'era una cosa peggiore, però. Non uscire più da lì, morire dentro a quella cupezza. Lunedì sera, i medici e gli infermieri sono passati nella stanza di Anna Maria alle otto. Lei c'era ancora. La sua camera è a piano terra, nel dipartimento di Medicina del professor Federico Bennicelli, in un corridoio appartato, quello che riservano ai malati terminali. Quando gli infermieri sono ripassati poco prima delle 22 e 30 lei non c'era più. La finestra che dà sul cortile era aperta. L'hanno cercata dappertutto senza trovarla e hanno avvisato i carabinieri. All'interno dell'ospedale c'è i^n cantiere nel cortile dove ci sono la fisioterapia e la scuola infermieri che dà su via XX Settembre. Lì c'è un muretto spezzato dove si potrebbe infilare la carrozzella. All' ingresso principale, invece, c'è una guardiola con il portinaio e due sbarre per entrare e uscire. Però Emanuele dovrebbe essere cassato lo stesso di qui, spingendo a carrozzella. L'avevano visto entrare e uscire tante volte nei giomi passati e nessuno forse ci ha fatto molto caso. Così lui ha cominciato a girare per tutta la città. Era scesa una nebbia che non si vedeva a pochi metri. l'aveva fatto sedere tenendole il catetere, e adesso portava tutto dietro, assieme al dolore. Ogni tanto le chiedeva come stava. Lei diceva che aveva freddo. Lui prometteva: «Vedrai, ti porto in un posto dove ti trattano come faccio io». Tortona l'ha attraversata tutta, a piedi. È arrivato sulla tangenziale, nel punto dove comincia la provinciale per Casteinuovo Scrivia. S'è perso nella nebbia. C'è un semaforo, e poi ha preso a sinistra, per una strada stretta con curve a gomito. Ha fatto il cavalcavia sopra .l'autostrada e poi è andato avanti, immerso nella foschia, sempre spingendo la carrozzella sul ciglio della provinciale. Li ha visti un automobilista che il giorno dopo l'ha detto ai carabinieri: «Che strani quei due...». Hanno fatto tutto il rettilineo, e sono andati avanti nella campagna aperta. Saranno stati altri sei chilometri. La disperazione era come quella nebbia. Solo che pesava di più. Lei aveva già smesso di parlare. C'era quella cascma che spuntava dai prati. E la strada finiva lì. Come la vita. A sinistra, il luogo dove è stato trovato il cadavere della ragazza. Sopra, la coppia nel giorno delle nozze

Persone citate: Alessandro Zelasio, Anna Maria, Anna Maria F., Federico Bennicelli

Luoghi citati: Alessandria, Messina, Tortona