«Gli europei non credono che sia un attacco al terrorismo» di Maurizio Molinari

«Gli europei non credono che sia un attacco al terrorismo» STUDIOSO AL COUNCIL ON FOREIGN RELATIONS E MEMBRO DEL CONSIGLIO PER LA SICUREZZA NAZIONALE DI CLINTON «Gli europei non credono che sia un attacco al terrorismo» Kupchan: il solco è profondo, in gioco è una diversa concezione degli equilibri in Medio Oriente Intervista Maurizio Molinari corrispondente da NEW YORK IN caso di guerra in Iraq un perdurante disaccordo fra Stati Uniti ed Europa metterebbe a rischio la tenuta della Nato: è questa l'opinione di Charlie Kupchan, direttore degli Studi Europei del Council on Foreign Relations, già membro del Consiglio della Sicurezza nazionale nell'amministrazione Clinton. Che cosa c'è dietro il disaccordo sulla guerra fra gli Usa e1 diversi Paesi europei? «Un approccio diverso al ricorso al foro delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti hanno probabilmente preso la decisione sulla guerra la scorsa estate e scelsero di passare attraverso il Consiglio di Sicurezza dell'Onu al fine di costruire una coalizione e di avere la legittimità intemazio¬ nale per lanciare l'attacco militare. Per Francia e Germania invece l'Onu è un mezzo per evitare la guerra, per dare una possibilità agli ispettori di continuare a lavorare affinché l'attacco resti l'ultima possibilità. Questo è il cuore del disaccordo politico». Perché Francia e Germania sono i Paesi alla guida del dissenso europeo e della sfida politica a Washington? «Bush, Chirac e Schroeder sono avvitati in uno scontro che nasce da motivi intemi. La sorte politica di George Bush è legata al rovesciamento di Saddam Hussein. Senza riuscirci non vedo come potrebbe candidarsi alla rielezione nel 2004. Jacques Chirac e Gerhard Schroeder d'altra parte hanno legato in patria le loro fortune politiche all'opposizione alla guerra in assenza di una esplicita risoluzione dell'Onu. Inoltre il dibattito sulla Costituzione europea avvicina Berlino e Parigi nell'intento comune di dare maggiore coerenza alla posizione intemazionale dell'Unione europea: l'Iraq è il banco di prova scelto e i due Paesi, essendo in questo momento entrambi nel Consiglio di Sicurezza, possono operare assieme con efficacia a tal fine. Stiamo entrando in una fase pericolosa, nella quale ragioni di politica interna spingono gli Stati Uniti in direzione opposta rispetto alla Francia e alla Germania». Questo significa che è l'Europa il maggiore antagonista degli Usa nella conduzione della guerra al terrorismo? «Sì. Gli europei non credono che l'attacco a Saddam Hussein abbia a che vedere con la guerra al terrorismo. Il solco è profóndo: l'amministrazione Bush ritiene che un attacco all'Iraq spingerà gli equilibri del Medio Oriente verso la democrazia e il pluralismo, gli europei temono che avverrà esattamente l'opposto, che in Medio Oriente le crisi diventeranno più radicali e che la popolazione musulmana che si trova in Europa diventerà più estremista». Perché, britannici a parte, Italia e Spagna sono i Paesi più vicini a Bush sull'Iraq? «Anche in questo caso per ragioni di schieramento politico interno. In Italia il premier Silvio Berlusconi ha un approccio di destra che mira alla creazione di una "relazione speciale" con la coalizione neoconservatrice di Bush. In Spagna la situazione non è molto diversa. Non a caso José Maria A^nar, come Berlusconi, ha un ottimo rapporto personale con Bush». I Paesi dell'Europa dell'Est sono invece più attenti alle ragioni degli Stati Uniti rispetto a quelli dell'Ovest... «Gli alleati più fidati di Washington oggi sono nelle nuove de¬ mocrazie dell'Est, dove c'è entusiasmo per l'Occidente. Ma credo che i sostegno dato da questi Paesi dell'Europa centrale e orientale alle guerre in Jugoslavia e Afghanistan si indebolirà nel caso dell'Iraq». Come affronta l'amministrazione Bush queste differenze che la separano dall' Europa? «E' profondamente divisa. La coalizione neoconservatrice sin dall'inizio ha dato scarsa importanza all'Europa e oggi non è troppo preoccupata dall'opposizione francese e tedesca alla guerra in Iraq. L'ala moderata, composta da persone come il Segretario di Stato Colin Powell, ritiene invece che questa sia una situazione molto seria e sta lavorando sodo per superare le differenze esistenti». Se la guerra all'Iraq inizierà in una cornice di tensioni fra Usa ed Europa quali potrebbero essere le conseguenze? «Potrebbe essere la fine sostanziale dell'Alleanza Atlantica perché dimostrerebbe che gli Stati Uniti e alcuni dei maggiori alleati non hanno più un comune interesse strategico. Il terrorismo è ima minaccia diversa dal nazismo o dal comunismo, è più sfuggente, invece di spingere gli alleati a unirsi li porta a dividersi. Le differenze di opinione sull'Iraq ne sono un chiaro esempio». «Bush è passato attraverso l'Onu per costruire una coalizione e lanciare l'azione militare; per Parigi e Berlino, invece, l'Onu è un mezzo per evitarla» «La sorte politica del Presidente è legata al rovesciamento del Raiss Quella dei leader di Francia e Germania dipende invece dalla loro opposizione al conflitto» Charlie Kupchan è convinto che un perdurante disaccordo metterebbe a rischio la tenuta stessa della Nato