Rogo al Duomo, le indagini depistate dai mitomani

Rogo al Duomo, le indagini depistate dai mitomani LA SERATA DELL'I 1 APRILE '97 RIEVOCATA IN AULA DAI PROTAGONISTI DEI PRIMI INTERVENTI Rogo al Duomo, le indagini depistate dai mitomani La deposizione della polizia al processo: infondata l'ipotesi dell'attentato terroristico Giorgio Ballario Nelle ore successive all'incendio del Duomo, la sera dell' 11 aprile del 1997, arrivò agli inquirenti una raffica di rivendicazioni di matrice politica. Mitomani e visionari, anarchici anticlericali e cittadini comuni che fornivano testimonianze risultate prive di fondamento. Uno scenario che inizialmente ha fatto imboccare la pista dell'attentato, ma che in seguito si è rivelato totalmente inattendibile. È quanto emerso ieri pomeriggio durante la prima udienza del processo per il rogo della cappella del Guarini. Sul banco degli imputati, di fronte al giudice Giorgio Semeraro, sono comparsi 4 responsàbili di cantiere della ditta «Fantino» di Cuneo, che non adottarono le necessarie misure di sicurezza; 7 custodi di Palazzo Reale, accusati di aver dato l'allarme in ritardo e l'elettricista che preparò l'impianto per il cantiere. Sono tutti accusati di incendio colposo e sono difesi dagli avvocati Castrale, Console, Audisio e Fava. In aula sono anche sfilati i primi testimoni del pm Giuseppe Ferrando, tre funzionari della polizia che hanno riferito di inverosimili segnalazioni arrivate in questura subito dopo il rogo. Rivendicazioni che parlavano di gruppi anarchici, di ima misteriosa lega antialbanese e persino di Totò Riina, e soprattutto messaggi di compiacimento per l'accaduto. Le successive indagini, però, bloccarono sul nascere la pista dell'attentato terroristico. Accanto alle rivendicazioni, tuttavia, arrivarono decine e decine di telefonate di cittadini che segnalavano possibili indizi. «Ci fu un clima di grande collaborazione con le forze di polizia», ha ricordato il vicequestore Giuseppe Petronzi, funzionario della Digos. Le dichiarazioni di Petronzi hanno avvalorato la tesi del pm Ferrando, secondo il quale il disastro fu provocato da un intreccio di fatalità e di disattenzione. Le difese, invece, puntano a dimostrare che l'incendio può aver avuto origini dolose. Il vicequestore ha ripercorso gli avvenimenti di quella sera a Palazzo Reale, dove era in corso una cena di gala alla presenza del segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, e di numerose personalità della politica e dell'imprenditoria. Il servizio d'ordine, quindi, era imponente e l'allarme scattò dopo la conclusione dell'avvenimento. Petronzi ha pure ricordato che pochi mesi prima Palazzo Reale era stato bersaglio di un'azione dimostrativa di un gruppo anarchico: il 7 dicembre alcuni militanti erano saliti sul tetto dell'edificio per protestare contro un'inchiesta della magistratura romana. «Ma non trovammo alcun collegamento fra i due episodi», ha sottolineato il funzionario della Digos. Il processo riprenderà il 28 gennaio con un sopralluogo a Palazzo Reale disposto dal giudice su richiesta delle difese. La difesa dei 12 imputati punta ad accreditare la tesi dell'incendio provocato dall'esterno La Procura vuole dimostrare che il cantiere non era in sicurezza come previsto dalla legge I rogo dell'aprile 97 in Duomo visto dal lungo Dora

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