Isabelle Huppert: faccia da killer, anzi da fornaia di Fulvia Caprara

Isabelle Huppert: faccia da killer, anzi da fornaia CON «LA VIE PROMISE» E «ILTEMPO DEI LUPI» ANCORA RUOLI FORTI PER L'«ASSASSINA» PREFERITA DI CHABROL Isabelle Huppert: faccia da killer, anzi da fornaia «Il cinema è un mestiere come un altro, non manda messaggi» Fulvia Caprara inviata a PARIGI Esile, essenziale, laconica: nelle parole di Isabelle Huppert, attrice fra le migliori della scena internazionale, il mestiere di recitare diventa semplice e soddisfacente come può esserlo quello di fare il pane. «Il piacere che procura il lavoro - dice senza un sorriso - è sempre lo stesso, credo che lo avrei provato uguale, anche se avessi fatto la t'ornala». Niente sacro fuoco, insomma, niente eccessi nel descrivere la professione, anzi, una voglia un po' snob di ridurre il tutto ai minimi termini, nella convinzione che l'interprete sia semplicemente uno strumento nelle mani di un autore: «Il lavoro dell'attore prende luce dalla forza del regista, fa parte di un tutto e non è mai frutto di un'espressione soggettiva. Quello che si vede sullo schermo nasce dal contatto con l'autore del film e dal modo, cioè dalla forma, con cui ha scelto di raccontare una storia». E questo vale sempre, anche quando un'attrice del suo calibro si immerge nelle nevrosi di personaggi estremi come quello della «Pianista» di Michael Haneke, che le ha fatto vincere la Palma d'oro al Festival di Cannes del 2001 : «Non si tratta solo di esprimere follia o sregolatezza, ma piuttosto di calarsi nelle scelte formali del regista. Haneke, si sa, è una persona che non dice le cose in maniera tranquilla, ma la gamma dei sentimenti descritti in quella storia fa parte dell'universo che ho sempre esplorato nei miei film». Anche in «La vie promise» di Olivier Dahan, uscito in Francia a settembre e in arrivo in primavera sui nostri schermi, Huppert si mette alla prova con una figura di donna complessa, Sylvia, prostituta a Nizza e madre bambina di Laurence: «Tutti sanno che i rapporti familiari possono essere molto intensi e violenti; in questo caso, nel corso del film, assistiamo alla trasformazione di Sylvia che, a poco a poco, inizia a crescere e ad accettare il suo ruolo di madre». Attratta dall'universo creativo di Dahan che «con "La vie promise" chiude una trilogia sull'infanzia distruttiva e la difficoltà di diventare adulti», Huppert ha poi accettato di prendere parte al nuovo film di Haneke, intitolato «Il tempo dei lupi»: «E' un soggetto originale, molto diverso da quelli affrontati finora. Si tratta di una specie di favola sulla decadenza del mondo occidentale in cui s'immagina che, da un giorno all'altro, la civiltà capitalista in cui viviamo si trovi a dover fare i conti con i problemi che attanagliano il resto del pianeta. Io sono la moglie di un uomo che viene ucciso all'inizio della storia e, come tutti gli altri personaggi, mi trovo catapultata in una sorta di universo primitivo. Naturalmente si parla di un cataclisma di cui tutti siamo responsabili e forse non ci farebbe male ricordare, ogni tanto, che cosa significa dover lottare per mangiare. L'unica speranza potrà venire dalle generazioni future». Insomma, una lezione utile: «Non so se il cinema può far cambiare idea alle persone e non credo che lo si possa assimilare a un'ideologia o usare come mezzo per mandare messaggi. Credo, questo sì, che il cinema, in certi casi, possa far riflettere». Ecco, di nuovo un passo indietro per sottolineare che recitare non serve a cambiare i destini del mondo. Così come quando, con l'abituale understatement, Huppert parla dei suoi inizi: «Mia madre non mi ha mai impedito di recitare, so che la voglia di fare assolutamente qualcosa può diventare più forte se viene ostacolata, ma nel mio caso non è stato così. Non ho subito nessuna opposizione da parte dei miei genitori». Madre di tre figli, Huppert, quando non è sul set, è quasi sempre in palcoscenico: «Il teatro è molto doloroso, non è solo piacere, non so bene perchè lo faccio, forse sempre perchè mi piace attraversare i mondi diversi dei vari registi». E infatti le sue scelte, anche in questo campo, non sono mai casuali; in questo periodo, per esempio, è in tournee con «Psychosis», un testo di Sarah Kane, con la regia di Claude Regy, che la vede sola sulla scena in preda, per l'intero spettacolo, a una specie di delirio psicologico. L'unica cosa con cui, finora, Huppert non si è cimentata, è stata la regia: «Richiede molle energie, forse troppe, e, per il momento, non ne vedo la necessità. Certo, forse un giorno potrebbe succedere, sempre che trovassi una storia molto interessante. Con il lavoro d'attrice credo di creare in ogni film un piccolo spazio per me, magari con la regia potrei allargare questa esperienza, viverla fino in fondo». Tra i tanti autori con cui ha lavorato, non ha dubbi nel citare Claude Chabrol come il suo preferito: «Ho fatto sei film con lui, è l'autore a cui mi sento più vicina, quando mi vedo nei suoi personaggi mi piaccio». Un'intesa perfettamente reciproca, se è vero che Chabrol, parlando di lei, ha detto una volta: «Ha il viso giusto dell'assassina, le caratteristiche somatiche del killer, qualcosa di sottilmente perverso». «Il teatro è molto doloroso lo faccio perché mi piace attraversare i mondi dei vari autori La regia? Richiede forse troppe energie e per il momento non ne vedo la necessità Un giorno, magari...» Isabelle Huppert

Luoghi citati: Cannes, Francia, Nizza, Parigi