«E' sbagliato dare la colpa alla crisi dell'economia Usa» di Francesca Sforza

«E' sbagliato dare la colpa alla crisi dell'economia Usa» IL DIRETTORE DEL CEPS: ALLA LUNGA LE SANZIONI RAFFORZERANNO LE REGOLE DELL'UNIONE «E' sbagliato dare la colpa alla crisi dell'economia Usa» Gros: Berlino paga ancora i costi troppo alti dell'unificazione Parigi invece soffre la bassa crescita, lo stesso vale per Roma intervista Francesca Sforza corrispondente daBERtlNO N EI giorni in cui Parigi e Berlino festeggiano il quarantennale del trattato dell'Eliseo e siglano alleanze in tema di difesa, di sicurezza e di architetture istituzionali europee, a Bruxelles si studiano i bilanci e si prendono provvedimenti: via libera per il procedimento contro il deficit eccessivo della Germania e avvertimento preliminare alla Francia, pericolosamente vicina alla soglia del 3 per cento e alla conseguente violazione dei criteri previsti dal patto di stabilità. Che cosa sta succedendo alle due grandi economie d'Europa? Lo abbiamo chiesto a Daniel Gros, direttore del Ceps di Bruxelles, uno dei maggiori thinkthank di analisi economiche. Francia e Germania sono i paesi che vengono maggiormente rimproverati da Bruxelles: deficit eccessivo, scarsa crescita, poche riforme. Quali sono secondo lei le ragioni che hanno fatto ammalare le due maggiori economie europee? «Per la Germania è chiaro: il sistema federale non riesce a gestire l'allargamento ai Laender dell'est e ha inoltre commesco l'errore fondamentale di unificare i salari all'est e all'ovest producendo una sorta di "sindrome del mezzogiorno" che è alla base degli attuali ritardi e che sta mandando in affanno l'intero sistema politico-sociale. La Francia invece ha difficoltà più simili a quelle italiane: una bassa crescita - non solo ciclica, anche strutturale - e problemi con la politica fiscale. La differenza tra Francia e Italia e che gli italiani sanno nascondere meglio i loro problemi. Ma prima o poi verranno fuori». La crisi dell'economia americana e l'effetto euro sono le spiegazioni a cui i governi di Francia e Germania ricorrono più volentieri per motivare la bassa crescita. Cosa c'è di vero? «La crisi americana non è una spiegazione, basti vedere l'Olanda, il Belgio, l'Irlanda o i paesi scandinavi, che pur essendo molto esposti al commercio con gli Stati Uniti, sono andati molto bene. L'effetto euro invece ha avuto un peso, soprattutto nel caso della Germania, che è entrata nella moneta unica con un marco troppo apprezzato. Questo perché i tedeschi, tra il '95 ed il '97, si sentivano molto superiori, e oggi pagano l'atteggiamento di allora... Ma nell'arco di qualche anno questo è un fenomeno che si può correggere». Che cosa succederà se la Germania non rispetterà i criteri del patto di stabilità nel 2003? Non crede che anche la disciplina degli altri Stati membri potrebbe risentirne? «No, se la Germania paga le conseguenze dell'eccesso di defi- cit. Accettare di pagare la multa e di correggere l'orientamento servirà di esempio anche agli altri paesi, i quali si sentiranno più sicuri se anche i paesi forti, con un'economia storicamente forte, sono richiamati all'ordine. A ogni paese resta da riflettere sul dato politico che tutto ciò comporta: è meglio l'avvertimento e poi la multa o il costo politico interno per i successivi aggiustamenti? Credo anzi che accettare le conseguenze del patto significhi, nel lungo termine, rafforzarlo». La Francia ha detto di non poter accettare la raccomandazione di Bruxelles «perché non compatibile con i suoi programmi di crescita». Come giudica quest'atteggiamento? «La grande differenza tra i tedeschi e i francesi è che i tedeschi si sono pentiti - almeno a parole - mentre i francesi, pur non avendo ancora violato nessuna norma, non si pentono. Da questo punto di vista l'atteggiamento dei francesi è più pericoloso e capisco le preoccupazioni espresse ieri dal,commissario Solbes». Il programma di stabilità dell'Italia è stato approvato, anche se le previsioni di crescita sono state giudicate da Bruxelles troppo ottimistiche. Quali sono secondo lei i rischi che corre l'economia italiana? «L'economia italiana non corre a breve termine più rischi di altre economie, ma direi che per tutti quanti la crescita tanto attesa non arriverà, soprattutto in un momento in cui aumentano i rischi di una guerra contro l'Iraq. Il difetto dell'Italia però rimane sempre lo stesso: nascondere i problemi e rimandarli all'anno successivo». Le riforme sono una necessità sia per la Germania sia per la Francia sia per l'Italia. Ma quali sono secondo lei i settori che dovrebbero essere maggiormente toccati, e in che direzione? «I settori sono sempre gli stessi: politica fiscale, riforme della sanità, riforme del mondo del lavoro. E la direzione anche è sempre la stessa: riduzione dello stato sociale e dell'assistenza dello stato senza condizioni». «Ogni paese deve riflettere bene: meglio rawertimento e la multa oppure affrontare i costi politici di nuove manovre» «Pericoloso se i francesi non intendono pentirsi A tutti consiglio più riforme: pensioni, sanità, lavoro e fisco» GLI OBIETTIVI IL PIANO ITALIANO, VALORI PERCENTUALI PIL INFLAZIONE INDEBITAMENTO NETTO/PIL 109,9 105,0 98.4 100,4 96,4 DEBITO/P1L 1 GIUDIZI DI BRUXELLES VIA LIBERA r ^ Approvato il programma di L ,^ stabilità dell'Italia per il periodo "^ 2002-2006 GLI OBIETTIVI ^i' "Il raggiungimento degli obiettivi g di bilancio per il 2004 ed oltre i dipende fortemente dalla sostituzione de le principali misure una tantum del 2003 con misure di carattere più permanente insieme con correzioni che assicurino una riduzione del deficit strutturale di almeno lo 0,5oZo annuo" L'INVITO SULLE PENSIONI |f ^ L'Ecofin "incoraggia l'Italia ad adottare ulteriori misure ifc*1;-:-. per promuovere la previdenza integrativa privata e per affrontare la questione critica del sistema previdenziale pubblico, ovvero il lungo periodo di transizione verso il nuovo sistema contributivo" LA PRESSIONE FISCALE ' Tr-^ Viene chiesto di "chiarire la sua 'Jà strategia di bilancio, particoì mm larmente alla luce dell'obiettivo di ridurre la pressione fiscale" IL DEBITO PUBBLICO r «Appunti anche per la riduzione ^ del debito pubblico, "consiINT derevolmente rallentato" dal 2001, mentre la discesa sotto il 1007o del Pil sia ora prevista per il 2005, ovvero "con due anni di ritardo rispetto all'impegno preso dall'Italia nel 1998" SM Daniel Gros, direttore del Ceps di Bruxelles

Persone citate: Daniel Gros, Gros, Solbes