IL TRIONFO DELLE PASSIONI di Barbara Spinelli
IL TRIONFO DELLE PASSIONI Barbara Spinelli non con la freddezza di chi ogni giorno si misura con la propria mortalità, e con la necessità dei compromessi. Per questo non sembra del tutto appropriato parlare di regime. Berlusconi ha conquistato con slogan semplificatori il potere, e adesso lo esercita con una sicurezza che non ammette repliche, che non sopporta critiche, che non tollera contrappesi funzionanti. Ma non tollera contrappesi perché il suo stesso potere pur essendo gravoso è privo di gravità, è energicamente esibito ma fumoso se non impotente. E' passato più di un anno dalla vittoria della Casa delle Libertà, e ancora la maggioranza numerica continua a suscitare apprensioni, allarmi, dinieghi categorici. Quando una parte della magistratura o quando Cofferati la giudicano inaffidabile, è perché il governo non ha la forza che pretende di possedere. Qnnipresente, il governo Berlusco¬ ni finge cieche certezze ma è tutt'altro che potente: le sue leggi non si trasformano in leggi di tutti gli italiani, le sue offerte di dialogo non diventano un vincolo per le opposizioni, le stesse sue minacce non sono prese sul serio. Riformare un sistema così ambiguo (prepotente, ma senza potenza autentica) non è cosa semplice. Proprio perché dotate dì un'autorità equivoca, e contestata, le maggioranze numeriche non possono esser solo frenate: occorre che esse acquisiscano la dose congrua di autorità e peso, prima di suscitare i propri contrappesì. Né è sufficiente esaltare la superiorità della passione partecipativa sulla ragione dei politici, come tendono a fare i movimenti di protesta. Inconsapevolmente, essi percorrono un sentiero che già è stato imboccato più volte, sul finire della Prima Repubblica e prima, e che ha prodotto la singolare stabilità instabile che stiamo vivendo. Contrapporre alla peritura e inaffidabile mag¬ gioranza numerica la forza imperitura e moralmente superiore della società civile e delle sue avanguardie, giudiziarie o imprenditoriali o movimentiste che siano: l'esperimento è già stato tentato, nella prima metà degli Anni Novanta, e Berlusconi fu proprio questo. Fu il trionfo della passione e della società civile sul ceto politico classico e sui ragionamenti dei vecchi partiti, e la trasformazione dì un'elite di fatto in maggioranza politica numerica. A ciò sì aggiunga la speciale passione italiana per ì governi deboli: un malvezzo, anche questo, di cui già ebbero a patire De Gasperi, Craxi, perfino Prodi. La soluzione, probabilmente, è quella additata da Arturo Parisi in una serie di recenti interviste. La passione è essenziale per la democrazia - cosi egli dice - ma è la ragione a dover in fin dei conti governare gli impulsi. E la ragione esige che i poteri siano non solo frenati, ma che siano sufficientemente credibili e resistenti affinché abbia senso il controbilanciarli. Ben venga dunque la riforma delle istituzioni negoziata tra maggioranza e opposizione, perché solo un premier dotato di poteri consìstenti su¬ sciterà i contrappesi e le garanzie dell'opposizione di cui la democrazia ha bisogno: «Riteniamo che si debba immaginare un sistema in cui poteri forti riequilibrano poteri forti. Un sistema istituzionale forte in una ^ocietà forte». Parisi è il primo che ragiona attorno alle fragilità della democrazia prescindendo dall'attuale presidente del Consiglio. Berlusconi ha fatto irruzione nella politica perché il potere centrale era debole, e perché anche ì contrappesi di conseguenza lo erano. In un sistema di poteri robusti, nessun uomo con un conflitto d'interessi così vistoso si sarebbe potuto permettere di scalare i vertici dello Stato. E' l'impotenza delle istituzioni che ha creato Berlusconi, e non è rendendole ancora più impotenti e deboli che si può costruire un futuro soddisfacente. «Noi non pensiamo al governo Berlusconi, ma al governo del paese e al governo della repubblica, cioè al sistema delle istituzioni nella sua interezza. Questo è un governo debole e prepotente, noi lavoriamo per governi forti ma delimitati dalla legge». Se la democrazia si riassumesse tutta nelle maggioranze numeriche, da tempo sarebbe probabilmente fallita come invenzione della politica. Essa esiste e funziona solo se una molteplicità dì istituzioni egualmente autorevoli si riequilibrano, si rispettano nella loro autonomia, sì frenano a vicenda. Se il peso d'ogni potere è misurato dal contropotere che gli viene affiancato, e che modera la parte avversa pur assorbendo parte delle sue idee e delle sue passioni. La democrazia esìste se non sì apre l'incolmabile fossato che a suo tempo denunciò Luigi Einaudi, fra maggioranza dei numeri e maggioranza dei migliori o delle élite (Maior et senior pars, ossia della tolleranza e dell'adesionepolitica, 1945). Einaudi stesso, che fu tra gli estensori della nostra Costituzione, era convinto che la democrazia fosse ben più dì una faccenda di numeri. Solo a una condizione essa può proteggersi dalla tentazione demagogica, ed evitare le colpe di omissione di cui parlano Abbado e Caselli: solo quando la società tutta intera «riconosce, accanto al principio del contare le teste, che è il fondamento del governo democratico, sostituito al principio di spaccarle, fondamento del governo tirannico, un altro principio: quello àìpesarle». IL TRIONFO DELLE PASSIONI
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