Per Proietti trionfo comico da regista di Masolino D'amico

Per Proietti trionfo comico da regista «NON TI CONOSCO PIÙ» Per Proietti trionfo comico da regista Masolino d'Amico ROMA Forse colpita da uno strano male psichico, improvvisamente una moglie non riconosce più il marito, anzi, peggio: crede di riconoscere il marito nel luminare convocato in fretta per esaminare il caso. Ritenendo opportuno assecondarla, per un po' dunque il medico si finge marito, mentre il marito tenta di giustificare la propria presenza spacciandosi per ospite, sia pure alquanto importuno. Alla lunga però davanti alle richieste di tenerezza della donna, il dottore perde un po' della sua impassibilità... Molti avranno già riconosciuto il punto di partenza di «Non ti conosco più» (1932), una delle commedie di maggior successo di Aldo De Benedetti, ripresa anche in epoca non cosi remota da Renato Rascel e filmata due volte, una all'epoca dei telefoni bianchi, da Nunzio Malasomma con Vittorio De Sica, un'altra da Sergio Corbucci con Monica Vitti, Johnny Dorelli e Gigi Proietti, ora regista dell'edizione che ha debuttato al Quirino. C'erano infatti parecchi modi di affrontare un testo cosi lontano, nella sua ostentata leggerezza. Uno, probabilmente suicida, potrebb'essere di trattarlo con serietà di fondo, alla stregua di un lavoro realistico, magari drammatico, sottolineandone la componente pirandelliana. Oppure si potrebbe prenderne risolutamente le distanze, come oggi si fa talvolta con De Benedetti (Luciano Mondolfo propose in questa chiave «L'alba, il giorno e la notte»), dandone una lettura stralunata, paradossale, grottesca. Proietti ha scelto la strada più semplice e più difficile, quella di badare a fame funzionare i meccanismi comici, senza nulla sottolineare. Per ottenere questo occorre una squadra in cui tutti rispettmo i tempi, nella certezza che ciascuno, a turno, avrà il proprio momento di gloria. Si parte col piede giusto, perché la scenografia di Ezio Frigerio, una parodia di lussuosa wlla di regime, crea subito il clima adatto, con la sua giocosa stravaganza anni trenta, in dichiarato cartone; e i costumi di Franca Squarciapino sono brillanti badando bene a non risultare eccessivi. Ma poi quello che conta davvero è il gioco degli attori, e questi sono tutti da encomiare, con una nota particolare per Vittorio Viviani come il luminare coinvolto nell'avventura. Viviani è ben scelto anche fisicamente, perché mentre i due coniugi, Sandra Col odel e Edoardo Siravo, sono alti e imponenti, due «belli», lui è piccolo e nervoso, ma, tutto compreso della propria dignità (il tormentone sul soprabito che non riesce a farsi appendere come vorrebbe), arriva per ultimo a registrare l'incongruità del proprio lento arrendersi alla passioncella che gli nasce dentro. Questo è reso sfruttando le occasioni con perfetto controllo; c'è da dire per equità che le sue sono le più gustose, che il personaggio di Siravo, marito prima disperato poi un po' sornione, è più scontato. Anche qui comunque l'interprete è in palla, e io stesso vale per la Collodel, valchiria che gioca spiritosamente con la propria stazza atteggiandosi a frivola bambolina d'epoca. Tra le macchiette di contomo, calorosa accoglienza a Gisella Sofie come una zia in visita, provvista di nipote che parla solo inglese (Valentina Piserchia); Natale RusbC è un cameriere in bilico tra goffaggine e pomposità. Un meritato applauso si porta via, infine, la giovane Ilaria Cramerotti nel cammeo di una piccantissima dattilografa che arriva come dea ex machina a scioghere l'intrigo. Due tempi di 50', ottimo umore generale alla prima, che come qui si usa è cominciata con 45' di ritardo, repliche fino al 2 febbraio.

Luoghi citati: Roma