Assassinato il profeta degli Indios senza terra

Assassinato il profeta degli Indios senza terra Assassinato il profeta degli Indios senza terra In Mato Grosso li aveva convinti a tentare, armati solo dei loro diritti, di rioccupare parte dello spazio che era stato rubato dai latifondisti Prima l'hanno picchiato poi l'hanno finito con un colpo di pistola personaggio NON aveva mai tradito, non aveva mai ballato con i bianchi. Quelli che hanno provato, hanno mangiato il loro cibo, bevuto la loro acquavite, ballato la loro musica, poi hanno cercato invano di pentirsi e si sono uccisi. Marcos Veron, come gli eroi di Omero, era un uomo senza età, 76 anni, forse; e aveva voglia di continuare a vivere e combattere per la sua terra e la sua gente. Invece lo hanno ucciso alcuni guardiani, sgherri dei fazendeiros che hanno rubato la ricchezza e l'anima degli indios. Lo hanno picchiato a sangue poi lo hanno finito con un colpo di pistola, con burocratica, soddisfatta indifferenza. Veron era venuto in Italia, tre anni fa, invitato da «Survival» una delle organizzazioni che cercano di salvare dall'eutanasia popoli antichi e fragili (sono rimasti in pochi, è una causa che non è più di moda) e lo aveva annunciato, profeticamente: «Se mi porteranno via dalla mia terra mi faranno morire perchè è la mia vita e la mia anima». Aveva incontrato e commosso studenti delle scuole e autorità. A Napoli gli avevano regalato un cesto di terra e gli era parsa una buona profezia: un giorno sarebbe tornato con i suoi Kaiowà a Marcos Veron IFOTO JOAO RIPrWSURVIVALI pregare e a danzare nei luoghi dei padri. È il terzo leader indio ammazzato negli ultimi quindici giorni in Brasile. Nello stato del Mato Grosso del Sud, quasi al confine col Paraguay, sono notizie banali, nessuno certo si emoziona. Tutti vogliono qualcosa dagli indios: i latifondisti e le multinazionali la terra, le sette pentecostali l'anima, i rivoluzionari le braccia. Ma quando muoiono non lasciano rimorsi. Veron era un «cacique», un capo religioso, conosceva i se¬ greti per guarire dai morsi dei serpenti, per mettere di buon umore il sole e stuzzicare la pioggia. Parlava con il Grande Padre ma da tempo le sue domande restavano senza risposta. Perchè i suoi Kaiowà, una delle famiglie degli indiani Guarani, vivevano da alcuni mesi come pezzenti, gettati ai lati di un'autostrada? La gente sfrecciava, senza degnarli di uno sguardo come se fossero animali molesti, noiosi come un rimorso. Perchè non potevano morire, come impone la Una marcia di protesta di indiani Guarani (FOTO JOAO RIPPER/SURVIVAIl religione, nella terra senza dolore, «la terra senza diavolo» come dicono loro, che può essere soltanto quella in cui si è nati? Marcos Veron li aveva convinti a tentare, a mani nude, armati solo dei loro diritti, di rioccupare parte dello spazio rubato. Una bestemmia pericolosa nel Brasile dove i latifondisti conoscono una sola legge, la loro. Lui, il cacique degli ultimi, dei dimenticati, era diventato famoso ma non era stato sufficiente: i vigilantes delle fazende e l'esercito che li spalleggiava li avevano cacciati via senza pietà. La tragedia dei Kaiowà, in fondo, è già scritta nel loro nome: sono «gli uomini della foresta alta» e quando i portoghesi sciamarono fino a qui in cerca di oro e di schiavi arrancarono davvero tra alberi maestosi come cattedrali. Adesso quegli alberi dove i Kaiowà cacciavano e parlavano con i loro dei (neppure lo zelo metico- Tre anni fa era in Italia Disse: «Se mi porteranno via dalla mia terra mi faranno morire». Aveva incontrato e commosso studenti e autorità loso dei gesuiti nel Cinquecento è riuscito a cancellarli dal loro cuore!) sono stati uccisi. E al loro posto dilagono immense distese di soia e di pascoli. I killer vegetali sono proprio i funzionari del «Funai», l'ente statale che dovrebbe difendere il diritto alla terra degli indigeni. Dopo gli alberi hanno cominciato a «uccidere» gli uomini, rubando la loro terra. Due secoli fa i Guarani occupavano il venticinque per cento dell'immenso Mato Grosso, oggi il loro territorio è raggrin¬ zito all'uno per cento. Le comunità vivono assediate in lager sempre più piccoli, aridi e sterili, circondati dai campi e dai pascoli sontuosi dei fazenderos. Quando si rivolgono ai tribunali per aver giustizia i giudici danno ragione alle sciroppose formule degli avvocati dei latifondisti, oppure le pratiche spariscono nei tortuosi meandri degli archivi. In Brasile, per fortuna, gli indios ribelli non li bombardano più con gli aerei, non avvelenano più la loro acqua. È successo anche questo. Per zittire le proteste internazionali, in Amazzonia, alcune riserve sono state definite e tutelate, nel 1996 un Piano nazionale per i diritti umani sembrava aver scolpito nella pietra le loro libertà. Ma nel Mato Grosso del Sud i latifondisti usano una legge, quella della forza, che è più efficace ancora delle pallottole. Colonizzatori e allevatori possono, infatti, mettere in discussione impunemente i confini delle terre indiane e così la lenta avanzata si è fatta frenetica. Nelle riserve di Dourados e di Amambai non puoi coltivare e cacciare, gli uomini devono cercare un lavoro nelle fabbriche dove si trasforma la canna da zucchero, a centinaia di chilometri; una fatica che sfianca per poche decine di dollari al mese. È stato allora che la gente di Veron ha cominciato a uccidersi, per protesta, per gridare comunque che la vita gli era già stata rubata. I Kaiowà sono diventati il popolo dei bambini suicidi: Luciane, la più giovane, aveva nove anni quando l'hanno trovata impiccata a un albero. Dal 1985 al 1999,319 indiani su trentamila si sono tolti la vita, la percentuale più alta del mondo. Gli assassini di Marcos, i giannizzeri dei signori della terra, li hanno arrestati. Oggi nel Brasile del presidente Lula si odono grida e programmi nuovi. Forse, un giorno, arresteranno anche i loro padroni.

Persone citate: Foto Joao, Marcos Veron, Veron

Luoghi citati: Brasile, Italia, Lula, Napoli, Paraguay