La CIA nei meandri del BOTTEGONE

La CIA nei meandri del BOTTEGONE sabato rini-MMAin-nni IBM ^^ J--L'^v-^^ Il PUMTO Di V8STA DI WASHINGTON DOPO LA MORTE DI BERLINGUER E IL «SORPASSO» SULLA DC La CIA nei meandri del BOTTEGONE documento Maurizio Molinari, Paolo Mastrolilli WASHINGTON ALLE elezioni legislative del giugno 1983 il Pei arriva a soli tre punti percentuali di distanza dalla De ed alle europee del giugno seguente, sulla scia della morte di Enrico Berlinguer, realizza addirittura un «sorpasso» dello 0,3.1 comunisti italiani sembrano a Washington forti come non lo sono mai stati dall'aprile del 1948 e così viene realizzato dalla Cia uno studio sul dopo-Berlinguer, affidato agli analisti dell'Eura (Office of European Analysis) e redatto il 15 febbraio 1985 con il titolo «The Italian Communist Party». Il documento di cui «La Stampa» è entrata in possesso è per molti aspetti sorprendente. Invece di presentare il maggior partito comunista dell'Occidente come una minaccia, com'era stato fino a quel momento il classico punto di vista americano, spiega che gli Stati Uniti ritenevano che il Pei fosse oramai «cooptato nel sistema italiano» e quindi in grado di arrivare al governo del paese attraverso le elezioni anche se il sistema politico era tale che ciò sarebbe potuto avvenire solo dentro una coalizione. Gli serviva dunque un alleato e Washington temeva che la De di Giulio Andreotti fosse pronta a prestarsi ad un'operazione «alla quale gli Stati Uniti non potrebbero essere indifferenti perché, sebbene il Pei non sia il bamboccio dell'Unione Sovietica, una volta al governo tenterebbe di far adottare all'Italia una politica neutrahsta». Il linguaggio, come si vede, resta da Guerra Fredda (ci vorranno ancora due anni, fino al 1987, per considerare la possibilità che il Pei diventi un partito utilizzabile per un governo); ma nel febbraio 1985 Mikhail Gorbaciov è appena arrivato al Cremlino, perestrojka e glasnost sono termini sconosciuti, gli americani armano i mujaheddin afghani contro l'Armata Rossa ed il presidente Ronald Reagan ha da poco inviato i marines a Grenada per evitare una svolta filo-castrista. La Cia vuole capire da dove viene la consistenza elettorale del Pei ed è pronta ad ammetterne forza, successi e cambiamenti, anche se non ancora la possibilità di una entrata nella stanza dei bottoni. Le «origini della forza dei comunisti» è la parte centrale del documento. Prima vengono illustrate le ragioni storiche: «Le credenziali di patrioti acquisite partecipando alla resistenza antifascista ed alla stesura della Costituzione» e l'essere riusciti «a sfruttare la guida dell'opposizione diventando il portavoce dello scontento e della lotta alla corruzione». Poi quelle politiche, ovvero il frutto dell'opera di Berlinguer. Primo: «Il partito è un network di gruppi giovanili, femminili e sindacali che fanno arrivare i messaggi della leadership alla base consentendo a chi guida l'opposizione di conoscere i sentimenti popolari molto meglio di chi governa». Secondo: «Nonostante il coinvolgimento di comunisti in singoli episodi di illeciti, il partito ha lavorato sodo riuscendo a darsi un'immagine pubblica di lotta alle corruzione ed al terrorismo». Terzo: «Hanno rafforzato la loro reputazione di patrioti italiani prendendo pubblicamente le distanze dall'Urss, condannando gli abusi sovietici sui diritti umani, l'invasione della Cecoslovacchia ed il colpo di mano militare in Polonia». L'analisi dei punti deboli è altrettanto dettagUata: ((Alcuni dei loro elet- «I comunisti possono quasi reclamare il titolo di maggiore partito, ma è aumentata la differenza ideologica che li separa dai potenziali alleati» li successore di Berlinguer Alessandro Natta Da un rapporto segreto delI'SS un giudizio inedito dei servizi Usa sul Pei come partito aspirante al governo «Non è più il bamboccio dell'Urss, ma se governasse tenterebbe di portare l'Italia a una politica neutralista» Enrico Berlinguer, ta commozione per la sua morte portò il Pei al «sorpasso» sulla Democrazia Cristiana tori non hanno gradito la scelta del partito di sostenere governi centristi e partiti borghesi, di appoggiare l'adozione di misure di austerità che hanno colpito i lavoratori e di criticare i sovietici» e ciò ha portato «alla nascita di molteplici fazioni dentro il Pei, oggi ve ne sono cinque». Lo scontro fra comunisti ortodossi e moderati «ha però paradossalmente avuto come conseguenza il levarsi di più voci in favore di una maggiore democrazia interna» a dispetto del vigente centralismo democratico. Sono proprio i moderati che, secondo il redattore dello studio, «stanno prevalendo» anche se «questo in realtà indebolisce il vantaggio organizzativo che il partito ha finora goduto rispetto ai rivali politici». La conclusione è che «oltre a trarre vantaggio dal sistema politico italiano, i comunisti per molti versi ne sono stati cooptati». Il Pei insomma stava diventando un partito come gli altri. Si poneva così concretamente, per la prima volta dopo il 1948, l'ipotesi di un ingresso dei comunisti al governo: «I leader del dopo-guerra da tempo si sono resi conto che avrebbero dovuto formare una coalizione con altri partiti per governare il paese in maniera efficiente». A provare la strada del monocolore avevano rinunciato a seguito dell'effetto-Cile: «Ogni desiderio di creare in Italia un sistema a partito unico era svanito dopo la caduta del governo Mende in Giulio Andreotti Cile nel 1973, i leader comunisti studiarono quell'episodio da vicino ed arrivarono alla conclusione che non c'era speranza di sopravvivenza per un governo comunista in un paese occidentale a meno che non fosse sostenuto da una schiacciante maggioranza della popolazione, ipotesi non realistica in Italia». L'unica strada percorribile per Alessandro Natta, il successore di Berlinguer, era dunque quella di «entrare in una grande coalizione nella quale si sarebbero dovute fare reciproche concessioni». «Trentotto anni dopo l'espulsione del Pei dalla coalizione di Alcide De Gasperi, i comunisti sono arrivati al crocevia della riconquista del potere, possono quasi reclamare il tito¬ lo di maggiore partito nazionale ma al tempo stesso la differenza ideologica che li separa dai potenziali alleati è aumentata - si legge nella prima pagina dello studio della Cia - e questo per loro diventa un ostacolo in un paese dove la cultura politica enfatizza il compromesso e non il confronto». Gli indizi raccolti suggerivano tuttavia che un avvicinamento era in corso, ed era con la De. «Fonti affidabili ci hanno informato che circa un anno fa un certo numero di leader de - incluso il ministro degli Esteri Giulio Andreotti erano interessati a questo tipo di accordo e che colloqui esplorativi avvennero fra Pei e la sinistra De, apparentemente i leader De avevano in mente una riedizione della solidarietà nazionale sperimentata con i governi dal 1976 al 1979». L'arrivo di Alessandro Natta alla guida del Pei aveva in un primo momento congelato il tentativo, perché «è un leader più concentrato sul rapporto con i socialisti», ma «dopo nove mesi di confronto con la De i comunisti hanno iniziato ad ammorbidire le posizioni». I timori sono concentrati sulla De di Andreotti perché la Cia esclude che il Psi guidato da Bettino Craxi possa accettare un accordo di governo con il Pei in quanto «la sua ostilità per l'ideologia comunista ha radici antiche». Per affermare l'affidabilità di Craxi il documento ricorda episodi del suo passato: «Ricorda spesso come nel 1948 i comunisti usarono il patto di unità nazionale a spese dei socia listi e del padre, che non venne eletto in quell'occasione»; «è stato personalmente colpito dal trattamento riservato da Mosca ad alcuni suoi amici con vedute moderate sull'Ungheria e la Polonia negli Anni Cinquanta maturando un'opinione negativa sull' Urss a seguito dell'invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968». A conferma del «graduale abbandono della tradizionale ideologia marxista» il documento cita tre esempi di scelte craxiane: la moderazione salariale, l'approccio agli euromissili ed alla modernizzazione della Nato. Alle spalle di Craxi c'era però una fronda filo-comunista che destava preoccupazione: «Se alle amministrative di questa primavera i socialisti dovessero scendere sotto il 15 per cento, a giovarsene sarebbe chi come Rino Formica e Gianni De Michelis preferisce una più stretta collaborazione con i comunisti». «Alcuni leader della De, compreso il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, hanno avuto colloqui esplorativi coi comunisti»