IL CLONE DI GOETHE di Federico Vercellone
IL CLONE DI GOETHE FEDE E CULTURA DI FRONTE ALLA NATURA IL CLONE DI GOETHE Federico Vercellone CON più che giustificato timore si torna a discutere di clonazione. E, indubbiamente, l'eternità concepita come una sorta di trasloco del patrimonio genetico sotto le fattezze di un altro individuo identico al precedente - così come viene promessa dai Raeliani - può ben indurre a invocare la morte come il più lieto e (paradossalmente) rassicurante tra gli ospiti. Tuttavia una volta detto che parrebbe meglio continuare a sentirci mortali così come avevamo sempre pensato, è forse anche il caso, proprio per evitare che il senso d'angoscia ci soverchi, di chiederci perché. Si sta procedendo forse «contro natura»? Ciò può non suonare del tutto falso, poiché la natura di suo non parrebbe procedere così; e tuttavia è ben strana l'idea che si vada contro natura creando dei nuovi organismi. Viene piuttosto il sospetto che si vada contro una certa idea di natura, che ci è famigliare, e che legittimamente vogliamo tenerci stretta. L'idea(non ovviamente la pratica) di qualcosa di simile alla clonazione non è del resto un inedito nella nostra cultura. Goethe aveva per esempio ritenuto, a seguito di lunghe osservazioni (molte delle quali condotte durante il suo viaggio in Italia), che gli esseri della natura derivassero da un unico modello. Gli organismi derivati sembravano cioè dar seguito sia pur sotto forme variegate - all'unico conio originario: per cui Goethe poteva affermare per esempio che, una volta trovata la pianta primitiva, «si potranno inventare piante all'infinito». Con ciò egli non nutriva alcun sospetto di andar contro natura. Anzi. Così facendo, Goethe era convinto semplicemente di «riattivare» il modello antico della natura: un modello che ne esalta l'unità a scapito della duplicità che in essa comunque sussiste, e che eminentemente viene testimoniata dalla generazione sessuata. Eppure questa visione non è, a ben vedere, pienamente e forse neppure in parte la nostra. Mi sembra infatti che a noi sia molto più vicina e congeniale l'idea di un'origine duplice quale viene prospettata dal Prologo del Vangelo di Giovanni. Qui l'incontro-scontro drammatico dei contrari, il conflitto della luce con le tenebre, dà luogo al variegato e sorprendente essere del mondo. E così, in fondo, la pensiamo ancora noi. La combinazione degli opposti, dell'uomo e della donna, dà luogo a un terzo che non è derivabile analiticamente dall'opposizione originaria, ma la trascende e genera il nuovo, che diviene così un valore. E' per questo in fondo che la nascita rappresenta una fonte di gioia e di rinnovamento delle nostre vite. Tutto ciò, oltre che essere ampiamente legittimo, è a mio avviso (perché no?) anche bello. Però attenzione: anche questo è cultura, e non natura. Siamo cioè ancora nell'ambito di quella modernità di cui è scaturigine (anche, e in maniera eminente) il cristianesimo, dal confronto con il quale non solo la cultura religiosa ma anche quella laica non può prescindere senza rischiare di fraintendere se stessa e i propri obiettivi propositivi o polemici.
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