Quelle «Vecchie» troppo vere

Quelle «Vecchie» troppo vere Quelle «Vecchie» troppo vere CINEMA teatro: la casistica del rapporto tra i due si anicchisce continuamente. Una volta molte commedie diventavano film. Più di recente la tendenza si è rovesciata, e molti film vengono adattati al palcoscenico. In entrambi i casi sembra logico che debba esservi una congenialità di partenza - un testo teatrale ricco di spunti spettacolari («Romeo e Giulietta»), o un film limitato a pochi ambienti e dove si privilegia il dialogo («Una giornata particolare» di Ettore Scola). Vecchie (vacanze al mare) di Daniele Segre, attualmente al Piccolo Eliseo di Roma, era un film e adesso è un testo teatrale; ma doveva essere un film che più teatrale non si può. Almeno, la pièce, che dura meno di 80' filati, si svolge tutta in un unico luogo sinteticissimamente evocato, una stanza bianca e vuota, con solo un tavolo lungo e due sedie, tra due sole interpreti - le stesse del film - che non si cambiano mai le camicie da notte in cui ciabattano. Due amiche, classe rispettivamente 1937 e '39, stanno trascoiretìdo un modesto periodo di ferie in una località marina non specificata, ma i loro orari e le loro inclinazioni non coincidono - una tende ad alzarsi tardi, non sopporta il sole e vorrebbe andare in spiaggia solo al crepuscolo, l'altra invece la mattina è attiva, ma rilutta a uscire da sola, e quindi prepara caffè, aspetta e brontola. L'uscita continuamente rinviata diventa dunque pretesto per una chiacchierata in cui ciascuna un po' si racconta un po' si lamenta un po' espone la propria più o meno rassegnata filosofia. Saltando di palo in frasca, parlano di tutto, anche dei lontani ricordi della guerra vista da bambine (una ebbe modo di assistere ad atrocità come le esecuzioni pubbliche dei partigiani perpetrate dai tedeschi); anche della rispettiva vita erotica (una si vanta di essersi scafata molto presto e di avere avuto molte esperienze, quindi prende in giro l'altra che ha perso la veiginità tardi e non ha mai acquisito una vera disinvoltura in questo campo); anche delle proprie condizioni fisiche (una non si rassegna alla inevitabile decadenza, e viene rimproverata per le sue fisune a proposito di vestiario). Spesso bisticciano, anzi, a cogliere soltanto qualche momento della loro conversazione, si potrebbe pensare che non si sopportano affatto; in realtà, naturalmente, nessuna delle due saprebbe fare a meno dell'altra. Tutto qui, non c'è inizio e non c'è conclusione. Segre, che ha diretto film e spettacolo oltre a scriverli, riproduce in maniera molto convincente e non senza un affettuoso umorismo il modo di ragionare e di esprimersi di due persone così; e dal canto loro Barbara Valmorin e Maria Grazia Grassini rendono i rispettivi personaggi con una tale aderenza, da indurre a parlare di incarnazione piuttosto che ctirecitazione. Benché la sceno[rafia di Antonio Panzuto sia stilizzate, e e luci di Paolo Ferrari operino dei giochi sottili, l'impressione dello spettatore è dunque di origliare, non di assistere: di cogliere di straforo una fette di vite e di comportamento autentica fino a destare imbarazzo. Sensazione, com'è ovvio, rientrante tra le tante che il teatro può aspirare a suscitare. Si replica fino al 26. &TEATROIÌ al cinema al palcoscenico Masoiìno d'Amico il bel testo di Segre rende in modo autentico le liti di due anziane amiche

Persone citate: Antonio Panzuto, Barbara Valmorin, Daniele Segre, Ettore Scola, Maria Grazia Grassini, Paolo Ferrari, Segre

Luoghi citati: Roma