Nerone suona sotto l'autostrada di Maurizio Assalto

Nerone suona sotto l'autostrada A ROMA IN MOSTRA ALCUNI AFFRESCHI DELLA STRAORDINARIA VILLA POMPEIANA DI MOREGINE DA POCO RISCOPERTA Nerone suona sotto l'autostrada L'imperatore raffigurato come il giovane dio Apollo Maurizio Assalto ROMA CORONA d'alloro fermata da uno smeraldo, sguardo ispirato rivolto verso l'alto, le braccia nude impegnate con la lira, la mano sinistra a soireggerla, la destra che stringe il plettro: si troverebbe a malpartito, il leggiadro suonatore, con il rombo delle auto che oggi sfrecciano a pochi metri dal luogo dei suoi ristori. Ma sono staiti proprio i lavori per l'autostrada, la Napoli-Salerno, a far riaffiorare nel 1959 in località Moregine, sulla destra del Samo, dov'era il,suburbio meridionale dell'antica Pompei, le tracce di un grande edificio adomo di uno straordinario ciclo di affreschi. Una delle scoperte più sensazionah del dopoguerra. Le pareti decorate - nove in tutto, per un totale di 150 metri quadrati di pittura - sono state staccate soltanto negli scavi del 1999-2000 e adesso, dopo accurati restauri, sono pronte per essere mostrate per la prima volta in pubblico al Museo Archeologico di Napoli, in una rassegna che dal 20 marzo proporrà gli idtimi ritrovamenti nel comprensorio vesuviano sepolto dalla lava nel 79 d.C. Un succoso assaggio è però possibile fin d'ora a Roma, dove il nuovo Parco della Musica ha inaugurato lo spazio ((Auditorium Arte» con una mostra («Pompei. Le stanze dipinte») che fino al 23 febbraio espone due dei pannelli provenienti da Moregine, fra i quali quello con il giovane citaredo. Ma chi si nascondeva dietro questa trasparente raffigurazione del dio Apollo? Come interpretare l'intero ciclo? A chi e a che cosa era destinato l'edificio, che fin dalle indagini del '59 risultò qualche cosa di unico nell'area pompeiana? Con i mezzi limitati dell'epoca, in un contesto reso precario dalla presenza di un potente flusso di acqua sotterraneo, gli scavi condotti affrettatamente ma con eroica tenacia, imnezzo alle mille tensioni e polemiche che accompagnano semprevqueste vicende in Italia;4 portarono allora all'esplorazione. paMàl^ dalla àtnlttura, con il recupero di un ingente deposito di tavolette cerate: l'archivio dei Sulpicii, la ricca famigha di negotiato- res che a un certo punto divenne proprietaria dell'edificio. Dopo sei mesi tutto finì nuovamente sottoterra. Erano gli anni del boom, c'erano le priorità della ricostruzione post-beUica, i disoccupati da far lavorare: l'autostrada non poteva attendere. Quarant'anni dopo furono ancora le esigenze della Napoli-Salerno, lo sbancamento per la terza corsia, a far riemergere la villa. E, con essa, il problema: che fame? Si scelse di recuperare quanto era possibile e poi rinterrare. Senza peraltro chiudere del tutto le porte all'eventualità di ulteriori interventi, prima o poi (i tempi degli archeologi, si sa, non sono quelli della cronaca): dalla presenza dell'acqua sotterranea, sostiene il Soprintendente di Pompei Pietro Giovanni Guzzo nel catalogo Electa della mostra romana, «derivano solamente sicuri danni alle strutture antiche. Mentre la loro risepoltura annulla gli effetti corrosivi dellp acque naturali». L'archeologo che ha diretto gli ultimi scavi per cento della Società Autostrade Meridionali, Antonio De Simone, conferma: «Non era possibile agire altrimenti. A metà dell'SOO i Borbone avevano incanalato le acque del Samo: tutto quello che sfuggi a quell'intervento continua a scorrere sottoterra. Comunque abbiamo fatto dei saggi di scavo oltre la carreggiata dell'autostrada, trovando un terreno vergine: vuol dire che l'intero edificio è stato esplorato. Non c'è nient'altro da trovare». Oltre alle pareti dipinte, sono stati recuperati i menni di rivestimento, i legni delle finestre, degli stipiti, delle porte scorrevoli. E si è definita la struttura dell'edificio (circa m 30 x 20-30), organizzato intomo a un cortile porticato (peristilio) su cui si aprivano in serie numerosi triclini (le sale da banchetto, dove gli antichi pranzava¬ no sdraiati, a tre a tre, sui letti di pietra). Non fosse per le dimensioni, per la ricchezza e la raffinatezza del decorato, si potrebbe pensare a ima delle tante deversorìae tabemae, locande-ristoranti, infinitamente più umili, sparse lungo il Samo. Ma qui siamo in presenza di qualche cosa d'altro. . Un tentativo di «rileggere» l'edificio di Moregme è condotto da Marisa Mastroroberto, nel catalogo della mostra. Punto di partenza, e figure degli affreschi. E in particolare l'Apollo citaredo, proveniente dal triclinio A (uno dei tre le cui pareti sono state interamente recuperate). Chi si identifica con il dio delle belle forme, apportatore di una nuova età dell'oro, è Nerone, fin dall'inizio del Suo principato (diciassettenne, nel 54 d.C.). I ritratti antichi del forsennato imperatore sono in gran parte perduti, per gli effetti della damnatio memoriae, tuttavia il confronto con la sua raffigurazione nelle monete del 64-65 rivela una notevole analogia con l'impostazione del citaredo di Moregine. Da Tacito, da Svetonio, da Dione Cassio sappiamo delprinceps demagogo (a ogni epoca i suoi...) e della sua mania vieppiù totalizzante per la musica e il canto, fino in punto di morte («Qualis artifex pereo!»). Proprio a Napoli, fra l'altro, pare fosse avvenuto il suo esordio artistico e forse (anche) in questa occasione Nerone banchettò e riposò nel deversorium pompeiano costmito apposta per lui. Le altre pareti del triclinio A parlano lo stesso linguaggio allegorico, in un nodo di implicazioni che da Apollo-Nerone rimanda a Orfeo, il mitico cantore, e quindi a Calliope-Euridice-Agrippina (la prima, musa della poesia lirica, madre di Orfeo; la seconda, sua sposa; la terza, madre di Nerone, che a lei era legato in un ambiguo rapporto morboso, e che, dopo averla fatta uccidere, nel 59, comincia a recuperame la memoria, come Orfeo disceso nell'Ade per cercare di riprendersi Euridice) e a Talia-Poppea (la seconda moglie dell'imperatore identificata con la musa della commedia). Dalle pareti del triclinio B proviene invece l'altro pannello esposto a Roma, che ha al centro l'immagine di un Dioscuro. Un indizio importante. I Dioscuri si collegavano alle leggende ataviche della famiglia dfegli Enobarbi, a cui apparteneva il padre naturale di Nerone (poi adottato dall'imperatore Claudio): la loro presenza è una testimonianza di quella violenta reazione anti giulio-claudia, contestuale al recupero delle proprie radici, a cui il princeps si abbandonò a partire dal 62, dopo essersi emancipato anche dalla tutela di Seneca. Dopo la fine di Nerone, nel giugno 68, i successori dovettero affrontare i buchi di bilancio causati dalla sua dissennata politica di spese. Sembra una storia d'oggi. Fu in particolare Vespasiano a farsi carico dei tagli. Toccò pure al sontuoso deversorium di Moregine: privatizzato e venduto ai Sulpicii, che vi. aggiunsero un edificio termale, divenne un hotel di lusso per i fortunati che potevano permetterselo. Anche questa sembra una storia dei nostri giorni. L'affresco pompeiano con il giovane Apòllo sotto le cui sembianze si celerebbe Nerone