Schubert, un genio tra fango e cielo

Schubert, un genio tra fango e cielo UN LIBRO AL GIORNO Schubert, un genio tra fango e cielo Sandro Cappelletto AVEVA due anime, «una lo spingeva verso il cielo e l'altra sguazzava nel fango». Liberare le sue vicende biografiche da immagini idealizzate e consapevolmente false, dair« ostinato permanere di ottusi luoghi comuni»: è il primo obiettivo, apertamente dichiarato, di questa nuova biografia dedicata a Franz Schubert. Notizia dopo notizia, citando persone, documenti, incontri, testimonianze indiscutibili, il racconto di Sablich raggiunge il proprio scopo. Il compositore morto nel 1828 a trentun anni è stato un giovane uomo vorace di piaceri, ha vissuto amori omosessuali che hanno nome, cognome e soprannomi, naturalmente musicali, come «Cherubino» o «Re degli Elfi»; volentieri frequentava festini, dove gli invitati più attesi erano «giovani pavoni» travestiti, frequentava gli ambienti della prostituzione maschile viennese, morì di una malattia venerea. Si intuiva già tutto, eppure con questa cruda evidenza nessuno aveva ancora raccolto e ordinato le fonti disponibili. Ma la coinvolgente narrazione della vita - attenta ovviamente anche alla formazione intellettuale e musicale, al contesto familiare e pubblico serve a Sablich per rovesciare l'immagine più convenzionale del compositore. Lo Schubert buon compagnone che crea «melodie immortali», sdolcinato perfino. No: la cifra prevalente della sua creatività è tragica. Non gli appartengono più né l'equilibrio classico, né l'utopismo rivoluzionario: né Mozart, né Beethoven. Nel Lied, nelle grandi forme della musica da camera e sinfonica, nei numerosi titoli teatrali, tutti accompagnati da fallimentari riscontri produttivi, persiste l'idea di una musica che non racconta, «non rappresenta, ma evoca». Il tempo del suo procedere è sensibile soprattutto al sismografo degli stati d'animo: si dilata come in una pianura distesa, in un orizzonte vastissimo dove l'invenzione della melodia e gli scarti del ritmo incidono sentieri, deviazioni, miraggi. Prende corpo, pagina dopo pagina, l'idea di un musicista visionario, più «ossessivo» che dialettico: «C'è qualcosa di disarmante e ingenuo nel modo di "accadere" delle sue Sonate», qualcosa di non logico, di non prevedibile, scrive Alfred Brendel, un grande interprete sebubertiano. Sablich, con molta passione, delinea il ritratto di un genio inattuale, che crea nel sostanziale disinteresse della Vienna del tempo, che deve sopportare perfino il liquidatorio giudizio di Goethe, del quale il compositore musica una sessantina di liriche: «Trasforma delle canzoni da lavandaia in tragedie». Lo scrittore aveva ben capito, e le ragioni del suo fastidio sono le stesse della nostra predilezione. Sergio Sablich L'altro Schubert Edt 173 pagine, 15 euro

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