Nanda Pivano la vita è emozione di Fiorella MinervinoFernanda Pivano

Nanda Pivano la vita è emozione IN UN NUOVO LIBRO GLI INCONTRI DI UN'ESISTENZA STRAORDINARIA, DA HEMINGWAY Al BEAT A DE ANDRÉ Nanda Pivano la vita è emozione «E Marlene mi rivelò il suo segreto: dieci ore al giorno di sonno e cinque di amore, non sempre col marito» Fiorella Minervino SANTA MARGHERITA DI pomeriggio, come smette di scrivere e il telefono le concede tregua, corre alla finestra a osservare il mare. Scruta con ansia il cieli di Liguria dall'aria azzurrina e trasparente, dopo aver squarciato barriere di nembi, d'acqua, buio; le pare una veduta a mezza via tra sogno e verità, come possono esserlo i luoghi della fanciullezza felice. Vuol rivivere le emozioni che affiorano a ogni istante scuotendola, travolgendola, sconvolgendola sino alle lacrime. Non per caso Fernanda Pivano, la famosa americanista, traduttrice, scrittrice, critica appassionata, mito dei giovani, ha intitolato il nuovo libro, in uscita da Fandango, Un po'di emozioni. Sopra una copertina blu come il mare, o gli occhi conturbanti di Kerouac, campeggia la foto di iNanda», sullo sfondo di New York. È il diario di emozioni vissute nell'arco di un'esistenza straordinaria di una grande, timida donna che si è sforzata di indagare da vicino, di scrutare «sul campo» le scoperte che andava facendo, i personaggi che rintracciava in America, per poi svelarli in Italia. È nata a Genova 85 anni fa da famiglia assai benestante e intemazionale; nel libro precisa che ha conosciuto presto le emozioni, «hanno cominciato a guidarmi bambina quando fissavo il misterioso, magico, ipnotico movimento del mare». Il prezioso volumetto, costellato di foto d'una giovane dalla disarmante bellezza, ora abbracciata a Gregory Corso, ora accanto a Jack Kerouac, fino alla dolce, sensibile Nanda di oggi col medesimo sguardo giovane, innocente, un poco impertinente. Quali emozioni? Quelle scaturite, anzi affluite d'incanto, dopo aver girato nel 2001 il film Farwell to Beai, per la regia di Luca Facchinelli, ritornando in America a cercare le tombe degli amici scomparsi o a trovare nelle loro case quelli più giovani. Allorché il film venne proiettato a Torino e la sala andò in fuoco, il produttore Procacci le domandò di scrivere le emozioni rivissute nel film. Ma che cosa è mai un'emozione per Nanda? «Una reazione psichica e interiore a qualche gesto o ricordo, o a qualche sentimento, a persone a luoghi, paesaggi, a eventi, accompagnati sempre dalla mia inadeguatezza rispetto a ciò che mi accadeva» spiega la Pivano, umile, dubbiosa. In realtà la gamma è vastissima, profonda, toccante tanto da offrire l'illusione di vivere le situazioni all' origine d'ogni emozione. Quale la più intensa? A fine novembre del 1948, una ragazza prende un treno da Torino, scende a Venezia, sale su un trenino per le Dolomiti e, nera di fuligine, raggiunge l'Hotel Concordia, aperto solo per un celebre scrittore. La giovane si affaccia tremando al ristorante. Il magnifico uomo, al centro di una tavolata di 20 persone, si alza, attraversa la sala, abbraccia la ragazza, nera di fuligine e già in procinto di svenire dall'emozione, e le dice: «Teli me about the Nazi», raccontami dei nazisti. Nanda capisce che Ernest Hemingway sapeva tutto. Lei aveva tradotto Addio alle armi nel '44 e per questo era stata arrestata. Hemingway è rimasto il suo eroe, «lo scrittore che ha cambiato il modo di scrivere». Che emozione, nei giorni successivi, stargli seduta vicino all'Hotel Concordia, ogni mattina dalle 5 alle 11, mentre lui scriveva, le spiegava il suo metodo, strappava pagine che a lei parevano magnifiche e la chiamava «my Giovanna d'Arco». Un giorno le chiese di sposarlo, lei rifiutò con pena e dolore, non voleva far soffrire la modesta moglie del momento, da vera vittoriana anarchi- ca, o meglio libertaria, come si audefinisce. «Ancora oggi mi sembra impossibile - riflette-, fbrse tutto accadeva perché capivo la lingua franca che parlava composta di quattro: francese, inglese, spagnolo, italiano». Nanda si è spinta sulla tomba di Hemingway a Ketchum, Idaho, dove una astra fredda e esageratamente grande pareva aver cancellato quell'umanità, gli sconvolgenti ricordi; d'improvviso comparve un coyote, passò e ripassò per giorni al crepuscolo, forse a rammentare «My sweet dear coyote» caro allo scrittore. Nel 1956 un' altra emozione, professionale: l'arrivo in aereo per la )rima volta a New York, dove da ore a aspettavano gli amici intellettuali Josephson, sventolando il New Yorker con una lunga recensione di Edmund Wilson a ima sua prefazione. Sbigottita dall'immensità degli spazi, proprio il «sogno in dimensione» di Sherwood Andresen, daigrattacieli nella luce rosata del crepuscolo, quelli di Wolfe e Kerouac, allibita per l'onore della recensione, entrò in un bar insohtamente sicura del suo inglese, domandando una Coca-Cola. La cameriera al banco la raggelò: «Darling, what language do you speak?» cara, ma che lingua parli? -, un'indimenticabile lezione di umiltà. Poi un'emozione di luogo: irripetibile nell'Isola di Etai, alle Fiji, un atollo corallifero candido, stupefacente fin per una viaggiatrice come lei che amò l'India, Cuba, Ceylon, il Tibet, il Giappone, i luoghi più remoti quando pochi vi si avventuravano. Emozione unica leggere alla luce della luna sul corallo bianco la Tempesta di Shakespeare, come in un sogno di Prospero. Parecchi i personaggi, Kerouac, Henry Miller, Ginsberg, Gre¬ gory Corso, Ferlinghetti, Barry Gifford, Orlowsky, Lowell, Erica Jong, poi il magico incontro con il «poeta» Fabrizio de André, genovese pure lui, libertario pacifista ammaliato da Kerouac. Seguono i più giovani, il re di New York, Jay Mclnemey, Brett Ellis, e le generazioni ultime. Poi l'emozione della Biblioteca e Fondazione a lei intitolata da Luciano Benetton e l'intelligenza di Procacci, il miglior editore e produttore, due principi delle favole. Fra tanti personaggi, qual è quello che più l'ha stupita e emozionata per la sua fisicità, lei prutie e vittoriana, pur tra poeti alcolizzati o scrittori ricolmi di droga, inneggianti alla libertà sessuale? Una stupenda Marlene Dietrich, in aereo da Cuba a Parigi nel '56. L'intera prima classe era divenuta una cabina per la celebre attrice che fu una delle amanti di più lunga data di Hemingway. D'improvviso uscì dalla gabbia dorata per scendere in seconda classe. Stupenda, occhi incredibili, pelle candida, si diresse verso la giovane signora seduta e chiese: «Lei è Nanda?». Hemingway le aveva comunicalo che era a bordo. Colpita da tanta meraviglia, la Pivano domandò: «Come fa a essere cosi bella?». Risposta: «Dormo 10 ore al giorno e faccio l'amore almeno 5». «Non credo che mio marito ce la farebbe, ribattè la vittoriana Nanda. Marlene precisò: «Mica sempre con il marito». Fernanda Pivano nel 1948 a Cortina con Ernest Hemingway, «lo scrittore che ha cambiato il modo di scrivere»