I kamikaze in coppia, la nuova «arma letale» di Fiamma Nirenstein

I kamikaze in coppia, la nuova «arma letale» GLI PSICOLOGI AVEVANO DETTAGLiATAMENTE DISEGNATO IL PROFILO PELLATTENTATORE SUICIDA SINGOLO I kamikaze in coppia, la nuova «arma letale» Cade la figura tradizionale dell'uomo-bomba che cerca solitario il martirio analisi Fiamma Nirenstein GERUSALEMME UNA coppia gemella nella morte, un duetto per esplosivo e pezzi d'acciaio, Borak Halfa e Samer al-Nouri, di Nablus: non è la prima volta che accade, ma fa particolarmente impressione lo sdoppiamento del terrorista suicida, una figura che nella sua efferata tragicità si immagina solitaria, determinata da sue motivazioni molto specifiche e personali (anche gli psicologi come il professor Merari, specializzato in terrorismo, nel passato hanno visto così questo repellente protagonista della nostra epoca). Di più, nella misera zona di Tel Aviv dello scoppio di domenica. Neve Shaanan, ventre molle in cui è più facile scivolare anche gonfi di un carico di venti chili a testa, il 17 luglio un altro duetto saltò per aria uccidendo cinque persone e ferendone 32. Se andiamo ancora indietro con la memoria un'altra coppia, stavolta mal riuscita, ruppe il patto di morte il 22 aprile dello scorso anno, quando la ventenne Sarin Ahmad tornò a casa u ! ietlemme da Rishon Le Tzion lasciando in un giardinetto il suo zaino carico di esplosivo e chiodi, mentre il suo compagno di 16 anni invece, Issa Badir, decise di andare fino in fondo e uccise tre poverini che giocavano in un giardino. Questa coppia, che ha la ventura che la sua storia possa essere raccontata, ha avuto un brevissimo preavviso per la sua azione, una preparazione quasi nulla, una spinta psicologica violenta e una sorveglianza pressante fino al compimento dell'azione. La coppia è per il terrore un prezioso dono, un buon investimento: con poco sforzo ottiene risultati maggiori, sostituisce discretamente con due esplosioni l'ambito attentato catastrofico che i terroristi palestinesi da tempo perseguono senza riuscire ad arrivare in fondo (vedi l'attacco abortito al deposito di benzina di Glilot o i vari tentativi di far esplodere le torri Azrieli, mastodontici grattacieli di Tel Aviv), è mediologicamente interessante perché fa parte di una squadra organizzata, e dà quindi l'idea di potenza e vitalità dell'organizzazione. La psiche del terrorista conta per una scarsissima par- te, e semmai solo nel momento dell'assenso, consegnato nella mani di un'organizzazione insistente e pressante che comanda e promette fama, onore, denaro per la famiglia, memoria etema e Paradiso: è il caso di Sarin Ahmad, che sulla scia di un lutto e di un amore disse di sì a un destino di cui non aveva affatto immaginato la realtà, e che una volta in campo l'ha terrorizzata e respinta. Altri non hanno il tempo e il modo di dire di no una volta arruolati. I Tanzim, nella parte dei Martiri di Al Aqsa che hanno rivendicato l'azione sono ormai gli autori certificati dell'attentato, secondo tutti gli esperti: essi sono figli dell'organizzazione di Arafat, che pure ha condannato (senza però minacciare azioni o sanzioni di sorta) l'attentato: il cronista di Al Jazeera che ha ricevuto e trasmesso la rivendicazione è ora trattenuto dall'Autorità palestinese perché sospettato di coprire l'autore della dichiarazione, da lui trasmessa in tv. L'attacco viene dopo settimane in cui l'esercito aveva contenuto la maggior parte degli attentati progettati: ogni giomo seguitavano a esserci circa trenta allarmi dietro i quali la polizia e l'esercito avevano dovuto correre, con relativo successo. L'ondata di arresti è corsa parallela al tentativo degli egiziani di mettere a segno un gran colpo agli occhi degli americani che vogliono quiete nell'area, cercando di ottenere fra tutte le organizzazioni palestinesi invitate al Cairo da Mubarak un accordo per cessare dagli attacchi terroristici. Ma la gara alla retorica del no ha prevalso: Hamas e la Jihad hanno più volte dichiarato che il convegno era inteso solo a discutere tra fazioni palestinesi in pace e che non era affatto nelle loro intenzioni smetterla con gli attentati ai civili. Domenica scorsa, dopo un sofferto silenzio, Faruk Kaddumi, capo dell'Ufficio politico dell' Gip, ha dichiarato al settimanale Kul el-Arab: «Noi non siamo affatto diversi da Hamas, che è un movimento nazionale. Strategicamente non c'è differenza fra di noi». Ovvero: poiché tuttora il consenso della gente, sia pure con eccezioni e polemiche, si basa sull'epica del terrore, chi vuole contare non se ne discosta. Così, dato che la Jihad Islamica aveva preso la leadership con il sanguinoso attacco a Hebron del 15 novembre, si è poi aperta una sotterranea gara fra gruppi, sotto la quale scorre un fiume dì doppia eccitazione: le elezioni israeliane, e il consueto tifo del terrore per una leadership dura (come accadde ai tempi di Peres e Netanyahu); e il brivido della guerra irachena in arrivo, cui i gruppi estremi vogliono arrivare in sintonia con i Raiss. Arafat che fa in tutto questo? Se non è attivo, è almeno indifferente. Non fa nulla per fermare il terrore, neppure quando i killer escono dalle sue fila e Netanyahu dunque sostiene che l'idea delle «riforme» è più lontana da lui della Luna, e che quindi è inutile che i suoi uomini partano per Londra, I palestinesi hanno subito 1800 arresti da settembre, diversi capi sono stati uccisi, e mentre una parte della popolazione è decisamente stanca, la leadership, invece, di tutte le fazioni sente che il terrorismo è percepito come un mezzo legittimo dalla maggioranza, e resta allineata. Ci si può aspettare, finche Sharon ha le mani relativamente legate dagli Usa, che molti terroristi singoli o in coppia partano in questi giorni in missione. Non è la prima volta ma accade sempre più spesso. In aprile una ragazza di 20 anni aveva abbandonato all'ultimo il compagno della missione Con due esplosioni contemporanee si ottengono risultati più devastanti, e si dà l'impressione di una maggior potenza dell'organizzazione I due kamikaze autori dell'attentato di domenica a Tel Aviv Si chiamavano Sameral-Nouri (a sinistra) e Boraq Halfa Entrambi provenivano da Nablus

Luoghi citati: Cairo, Gerusalemme, Hamas, Londra, Tel Aviv, Usa