«Quella poca neve attaccata al viso li ha annegati»

«Quella poca neve attaccata al viso li ha annegati» UN MEDICO SPIEGA CHE COSA SUCCEDE A CHI VIENE TRAVOLTO «Quella poca neve attaccata al viso li ha annegati» «La slavina è come il mare, si deve mantenere la calma e riemergere nuotando» l'esperto Marco Neirotti MORIRE sotto una valanga. Si è parlato, in questo caso, dell'eventualità di una fine provocata da «annegamento» per via di una neve particolarmente polverosa, leggera, che finisce per essere inalata, sciogliersi nel corpo e diventare acqua nelle vie respitatorie. «Fermo restando che asfissia o annegamento è una distinzione puramente accademica, perché questo avvenga deve esserci davvero una neve finissima», spiega il professor Enrico Visetti, già primario di Anestesia e rianimazione a Torino, ora impegnato nel pronto intervento in elicottero in Valle d'Aosta. Professor Visetti, che .succede alla persona prigioniera sotto la neve? «Le situazioni variano e da questa variazione dipende il tempo a disposizione dei soccorritori. Se per esempio la massa non preme direttamente sul volto, se è rimasta una sorta di camera, una piccola cavità e lì filtra aria, allora i tempi si allungano e si può arrivare in tempo». Ma lo sciatore, l'escursionista è comunque immobile al freddo. «Infatti, proprio là dove c'è possibilità di respirare ma si fatica a individuare il punto in cui il paziente è sepolto può svilupparsi una crescente ipotermia». E le altre cause? «Naturalmente c'è quella traumatica. Poi, là dove assolutamente l'aria non filtra, e il soggetto è completamente schiacciato dalla neve, ecco l'asfissia, che lascia pochi minuti di tempo. Quando la pressione è meno forte, ma la neve, come dicevamo, è davvero sottilissima, polvere minuscola, farina, allora finisce per essere respirata, nelle vie respiratorie si scalda e si scioglie. Da qui l'annegamento. L'una e l'altra di queste eventualità, è ovvio, sono comunque letali se la persona è svenuta». Se ci si ritrova «sepolti», ma coscienti? «Intanto bisogna vedere in che posizione ci si trova, con quale libertà di movimento, con quale capacità di non cadere in preda al panico. Prendendo in con- siderazione il caso di una persona che non ha fratture, riesce in qualche modo ha compiere gesti e mantiene la calma, allora si deve individuare in quale direzione cercare di riemergere "nuotando"». Qualcuno suggerisce che per capire se si è rivolti verso il fondo o verso il cielo è sufficiente lasciar colare della saliva dalla bocca e scavare nella direzione opposta a quella che la saliva ha preso. «Bella immagine, teoricamente utile. Ma c'è lo spazio perché la saliva coli? E' difficile, non si è in una piccola caverna, in una cuccia, si è coperti completamente di neve. Per capire la direzione, sempreché lo strato non sia terribilmente spesso, ci aiutano la luce, uno spira glio, la posizione stessa del corpo». Scavare, «nuotare» come si dice, comporta uno sforzo fisico, se l'aria è poca questo è un pericolo. «Se l'aria è poca è un pericolo maggiore non provarci. L'unica cosa è provarci senza panico, senza gesti scomposti, con un ritmo regolare, sicuro ma pacato, cercando di non respirare con affanno, disordinatamente. Tutta questa bella teoria - è evidente - è valida per chi mastica di montagna, per chi di fronte all'imprevisto continua a restare lucido e misurato». «Per sapere in quale direzione si deve risalire occorre sputare saliva e poi muoversi verso la parte opposta Poi può aiutarci la luce, uno spiraglio o la posizione del corpo» «Bisogna trovare l'aria, cercare mentre si cade di chiudersi a uovo per formare una piccola caverna E cercare di ritornare subito a respirare» I soccorritori della montagna sono subito riusciti a individuare il gruppo dei quattro a^TT-T-r-——vt.

Persone citate: Enrico Visetti, Marco Neirotti, Professor Visetti

Luoghi citati: Torino, Valle D'aosta