L'«AUCTORITAS» CHE MANCA di Barbara Spinelli

L'«AUCTORITAS» CHE MANCA DALLA PR1WIA PAGINA L'«AUCTORITAS» CHE MANCA Barbara Spinelli ancora non possiede una sua politica estera ed è dunque assente nei luoghi dove si decidono la pace e la guerra; ma che dovrà pure un giorno conquistarsela se vorrà meditare su avversità e minacce, e darsi i mezzi per far loro fronte con efficacia e durevolezza. Non tutto le nazioni europee hanno iscritto nelle proprie costituzioni un imperativo così forte come quello contenuto nel nostro articolo Il E chi voglia capirne la genesi potrà utilmente rileggere i testi e i discorsi di Luigi Einaudi, che volle con tanta fermezza quell'articolo e che fu Presidente della Repubblica fra il '48 e il '55. Fu Einaudi infatti a denunciare, per primo, l'intoccabile totem della sovranità nazionale assoluta: un idolo venefico, cosi lo definì sin dalla fine della prima guerra mondiale. Un «idolo immondo», escogitato «da una mento giuridica formale». Se il sovrano ha tutti i poteri, se non riconosco alcuna autorità al di sopra di esso, la sua tendenza naturale sarà quella di voler bastare completamente a so stesso, di voler accaparrare sempre più territori per meglio vivere in autarchia, di voler colonizzare o conquistare alle proprie idee l'intero mondo. E' un pericolo che Einaudi non vedeva insorgere solo a destra, ma anche a sinistra: l'idea della rivoluzione mondiale comunista e dell'Internazionale era figlia, assieme all'idea nazi-fascista, della slessa venerazione tributata alla sovranità senza limiti degli Stati. Il Buongoverno, per il primo Presidente della Repubblica, era anche questo: la sapienza dei propri lìmiti, da parte di chi esercita il potere nazionale. La disponibilità ad accettare gli obblighi che sono imposti da autorità superiori allo Stato nazione. Tutto questo è scritto nell'articolo 11 della Costituzione, che non si limita dunque a ripudiare la guerra come sostengono molti uomini di sinistra. L'articolo 11 è una scommessa sul superamento dello Stato nazione e della sua esclusiva, assoluta autorità: una scommessa rivoluzionaria, nata dagli orrori delle guerre europee e dalla resistenza bollica opposta al nazionalismo imperialo nazista. E' la risposta che il potere temporale dà alle esigenze poste oggi da Giovanni Paolo II: la guerra è da respingerò, sì, ma l'uso della forza può anche esser necessario e opportuno, sempre che la forza non sia emanazione di un'autorità nazionale con pretese d'autosufficienza ma dì un'autorità superiore alle nazioni, cui ì sìngoli Slati decidono liberamente dì vincolarsi. Non è la prima volta che il presidonle Ciampi ripercorro il cammino tracciato da Einaudi. Lo fa sulle questioni europeo come in politica interna, quando auspica un rafforzamento delle istituzioni neutrali della Repubblica e un freno allo slrapoLoro delle maggioranze numeriche. Lo fa rivolgendosi allo destro ma anche allo sinistro d'opposizione, ricordando ad ambedue i freni che l'Italia ha voluto imporre a se stessa fin dagli inizi della Repubblica. Non è del lutto veritiero dunque quel che è stalo detto nelle ultime settimane. Il Papa di Roma non è l'unico a incarnare oggi Vauctoritas, l'autorità, in grado di dire la verità delle leggi di guerra e di pace. Quest'autorità superiore ai vecchi Stati è in parte già esistente - noll'Onu, nella Nato, nell'Osco - anche se mai corno oggi queste istituzioni sono bisognose di riforme radicali. Quanto all'Europa, ì'auctoritas che la rappresenti è ancora da edificare, partendo da quello che già è stato messo in comune: la moneta, la circolazione delle merci, le frontiere. Manca la comune spada e manca la comune politica estera, perché il vecchio continente possa dire e fare quel che pensa nel mondo senza passare il suo tempo a denunciare le colpe del neo-nazionalismo americano. Non basta lamentare, con animo sfiduciato, che Giovanni Paolo II è ormai l'unico a parlare con autorevolezza in nome del mondo e dei diritti della persona, contro le sovranità assoluto degli Stati: compresa la sovranità assoluta cui tendono le amministrazioni Usa. Un potere temporale che si rispetti deve poter immaginare un'autorità non confessionale, un'autorità politica laica, che deliberi sul¬ l'opportunità delle guerre e sulla necessità della pace. Che abbia un vero piano per il Medio Oriento, una politica per la Russia. Che mediti sull'Africa e sull'Asia in trasformazione. La questione della sovranità è probabilmente quella che più divide, oggi, i governanti europei dagli Stati Uniti. Ma è anche quella che divide gli europei dalla potenza russa, più contraria ancora dell'America a qualsiasi ingerenza dolio istituzioni internazionali: proprio in questi giorni, il Cremlino ha espulso dalla Ceconia i rappresentanti dell'Organizzazione per la sicurezza o la cooperazione in Europa (Osco), giudicando intollerabile la sua ingerenza in materia di diritti dell'uomo e di diritto bollico. E' una questiono che non sarà facile risolvere nello Nazioni Unite, porche l'Onu è ancora molto simile alla Società delle nazioni che Einaudi criticava già nel 1918: non un'entità sovrannazionale, ma un'insieme di Stati sovrani, che non tollerano lo limitazioni fissato da altri paesi associati. Un'istituzione in cui l'Unione degli europei non è presente in quanto tale, por far valere le proprie esigenze e la propria esperienza di ricostruzioni postbelliche (l'Europa ha più esperienza dell'America, in nation-building). E' il motivo per cui gli europei non hanno altra scolta, oggi, so non quella di creare un'istanza decisionale comune, e di dare a quest'ultima i'auctoritas sulle scelte di pace e di guerra. Altrimenti potrà credere anche giustamente che la guerra in Iraq sia un pericolo eccessivo corso dalle società democratiche, soprattutto se si considera che la fermezza bellica verso Baghdad non è stata in grado di dissuadere altri tiranni come quelli che regnano in Corea del Nord. Ma essere nel giusto non ci aiuterà, se non sapremo inventare le istituzioni comuni che diano vera sostanza all'articolo 11 della nostra Costituzione. Ci aiuterà, al massimo, a pronunciare professioni di fede pacifista e a riconoscerci nel Papa come un'unica autorità superiore. Ma anche in questo Einaudi insegna: senza un'autorità politica, che vincoli il potere illusorio degli Stati, «tutte le nostre professioni di fede saranno tanto più clamorose quanto più mendaci».

Persone citate: Ciampi, Einaudi, Giovanni Paolo Ii, Luigi Einaudi