La guerra del cacao della Francia può diventare un altro Vietnam di Domenico Quirico

La guerra del cacao della Francia può diventare un altro Vietnam IL MINISTRO DE VILLEPIN INCONTRA IN COSTA D'AVORIO IL PRESIDENTE GBAGBO La guerra del cacao della Francia può diventare un altro Vietnam Domenico Quirico La guerra del cacao è cominciata, come tutti i Vietnam della storia, in modo banale, sonnolento, con diluizione omeopatica: in Costa d'Avorio, ex colonia della Francia finora abbonata più alle brochure delle agenzie turistiche che ai dossier dell'Armée, un ammutinamento di pretoriani contro un contestato presidente scatena una guerra tascabile, intrisa di loschi interessi e di beghe di clan. Parigi manda centocinquanta uomini, naturalmente «per assicurare la sicurezza dei connazionali in pericolo»; poi altri mille per difenderli, poi altri ancora per assicurare il cessate il fuoco. Adesso è arrivata a duemilacinquecento, sono già scoppiate le prime scaramucce e i ribelli minacciano di scatenare l'inferno contro «i colonialisti». Mentre il presidente, con furbesco tempismo, approfitta della presenza francese per scatenare controffensive. A Parigi credevano di risolvere tutto con una manciata di mastini del mitico «Regiment Etranger de parachutistes» della Legione: nessun rischio di choc e polemiche per eventuali morti, li pagano apposta per farsi uccidere con provvidenziale anonimità pour la Repoublique! Ora vedono sfilare, inorriditi, il rischio di insabbiarsi in un costoso guazzabuglio. In Costa d'Avorio è accorso ieri il ministro degli Esteri de Villepin per cercare di africanizzare il disastro e ha parlato di «crisi aperta». A ragione: i manifestanti, inferociti, lo hanno accolto a sputi e insulti, e ha dovuto intervenire il presidente per assicurare che non era venuto per imporre la volontà francese. Anche perchè, nella fretta, la Francia ha dimenticato di dare un supporto giuridico al suo «intervento umanitario»: nello zaino dei para infatti c'è solo un vecchio trattato di cooperazione militare di quasi mezzo secolo fa che non autorizza a sparare contro nessuno. In realtà Parigi si è gettata nella più complessa operazione militare in Africa dall'epoca del Ruanda (un precedente davvero iettatorio) per motivi molto concreti. Interessi economici per esempio: cacao e caffè, certo, una rendita lucidata dal sudore di bambini schiavi rastrellati nella immensa Africa dei disperati. Ma anche, si sussurra, petrolio, gas naturale, oro, diamanti e altri minerali, alchemicamente misteriosi, che servirebbero per l'industria areonautica. E' lo scenario per cui ci si è scannati con fervore nelle vicine Liberia e Sierra Leone, le nuove guerre africane in cui il controllo delle materie prime ha preso il posto del vecchio mercato delle pulci delle ideologie. A Abidjan c'è la Banca africana per lo sviluppo, il braccio finanziario della Unione africana di cui si minaccia il trasferimento a Tunisi. Mentre ha fatto la comparsa, per sostituirla, una misteriosa «Banca islamica per lo sviluppo» che non sembra spaventata dal rischio. Ma non è tutto: la Costa d'Avorio è un simbolo fin dall'epoca del vecchio satrapo Houphhouet-Boigny, un dinosauro del potere che ha costruito pietra su pietra, marmo su marmo, nel mezzo della foresta la sua ossessione di una replica di San Pietro che ne custodisse le ossa. Questo paese era uno spot: provava che dove sventolava il tricolore francese c'è una Africa diversa, tranquilla, obbediente, da cartolina. Soprattutto stabile. Laurent Gbagbo, il presidente che i ribelli vogliono cacciare, era uno dei rari leader passati attraverso la pericolosa stramberia di una elezione democratica. L'arrivo della Legione è stata una festa per lui, che si è visto rosicchiare dai ribelli mezzo paese. Ha arruolato mercenari in mezzo mondo, russi e sudafricani soprattutto, francesi della squadra del mitico Bob Denard come il celebre «comandante Marquez»; irrobustito gli arsenali con elicotteri comprati ai «duty free» dell'est europeo. Ed è passato al contrattacco, senza badar troppo ai dettagli: i .civili che la sua aviazione ha ixnmazzato omologandoli frettolosamente ai ribelli. I suoi rivali sono un enigma. Difficile decifrare i connotati ideologici di Tuo Fozié, trentottene mandingo di professione putchista, che guida le bande dei «rivoluzionari». Sono i guerrieri di un esercito nuovo e pericoloso che impazza nell'Africa occidentale: lanzichenecchi al servizio di boss in uniforme che li affittano alle cause in cui possono ottenere ricchezlza e potere. Anche tra i ribelli non mancano i mercenari: liberiani soprattutto, dietro cui si intravede il ghigno di Charles Taylor. E' un signore dellla guerra liberiano ex amico di Gheddafi, indefesso manipolatore di tutti i torbidi della zona, diventato presidente della Liberia. Insomma un collega di successo. I duemilacinquecento legionari spediti da oltremare senza un trattato che ne giustificasse l'invio rischiano di diventare un problema per Parigi: il conflitto si allarga coinvolgendo un intreccio di interessi il presidente ivoriano Gbagbo e, alle spalle, il ministro degli Esteri francese

Persone citate: Bob Denard, Boigny, Charles Taylor, De Villepin, Gbagbo, Gheddafi, Laurent Gbagbo, Marquez