Terrorismo, Pegna libero per un cavillo
Terrorismo, Pegna libero per un cavillo LA PROCURA PUÒ FARE RjCORSO O EMETTERE UN NUOVO ATTO Terrorismo, Pegna libero per un cavillo L'ex di Prima Linea, scarcerato per un vizio di forma nell'ordinanza di custodia cautelare, resterà in libertà vigilata a Sulmona I pm: il quadro indiziario per eversione e banda armata rimane valido Guido Ruotolo ROMA Scarcerato per un cavillo tecnico, un vizio di forma. Almeno è questa l'interpretazione data leggendo il breve dispositivo del Tribunale del Riesame. Michele Pegna, l'ex di Prima linea sospettato dalla Procura di Roma di far parte delle Brigate Rosse, arrestato a Napoli il 17 dicembre scorso, sarà adesso trasferito alla casa lavoro di Sulmona, che non potrà lasciare per un anno, così come ha deciso il Tribunale di Sorveglianza di Bari. La scarcerazione, secondo la procura e la Digos di Roma, non scalfisce l'impianto indiziario nei confronti di Pegna, che resta indagato per associazione sovversiva e banda annata. Il procuratore di Roma, Salvatore Vecchione, e il coordinatore del pool antiterrorismo della procura. Franco lenta, hanno dichiarato di voler aspettare il deposito della motivazione della decisione del Riesame.per.valutare se impugnare in Cassazione il provvedimento di scarcerazione, f'.I-giudici del Tribunale della libertà si sono richiamati all'articolo 309 del Codice di procedura penale, che stabilisce che la misura coercitiva «perde efficacia» se l'autorità giudiziaria che procede non ha trasmesso tutti gli atti al Tribunale del Riesame nei termini previsti. La Procura potrebbe contestare la decisione della scarcerazione appellandosi a una vecchia sentenza del '95 delle sezioni unite della Cassazione, che aveva stabilito che il Riesame «può procedere al giudizio solo con piena cognizione degli atti» e, dunque, che è «legittimo» il rinvio della decisione in attesa dell'acquisizione degli atti mancanti. Insomma, il Riesame doveva sospendere il giudizio in attesa della trasmissione della documentazione e non scarcerare Pegna. Questioni formali, che sono anche di sostanza secondo la difesa del presunto brigatista, e che oggettivamente incrinano l'impianto accusatorio. Un altro colpo, insomma, almeno d'immagine, nei confronti della magistratura e delle forze di polizia che da quell'ormai lontano 20 maggio del 1999, quando fu assassinato a Roma il professore Massimo D'Antona, stanno cercando di neutralizzare il gruppo di terroristi delle Brigate Rosse che è di nuovo entrato in azione il 19 marzo scorso a Bologna, uccidendo il giuslavorista Marco Biagi. U nome di Michele Pegna era spuntato facendo un lavoro dì archivio, di ricerca in quell'area del vecchio terrorismo degli anni '80 che mancava all'appello. Lui, un passato di militanza in Prima linea, in Guerriglia metropolitana di Giovanni Senzani (una scissione intema alle Br), aveva scontato 17 anni di carcere. Ma appena uscito in libertà, aveva fatto perdere le sue tracce. E come Pegna, ve ne sono altri che mancano all'appello: per esempio Desdemona Lioce e Mario Galesi, sospettati di aver fatto parte, nei primi anni '90, di quei Nuclei comunisti combattenti di cui le Br che hanno assassinato D'Antona e Biagi hanno rivendicato la continuità. - Irreperibili e, dunque, fortemente indiziati di essere parte attiva del nuovo terrorismo. A loro, l'onere di dimostrare l'innocenza. Michele Pegna tré giorni prima di essere arrestato aveva fatto sapere di volersi consegnare perché, avendo saputo di essere ricercato, voleva dimostrare la sua innocenza. E' pura coincidenza che il suo tutore bolognese, sua città d'adozione e d'azione almeno in tempi passati, avesse un figlio che andava a scuola con il figlio di Marco Biagi? Pura coincidenza che nel supercarcere di Trani aveva un rapporto con quegli irriducibili nelle cui celle furono trovati appunti di quella che poi sarebbe stata la rivendicazione dell'omicidio D'Antona e che fanno ipotizzare all'accusa di essere un contributo preventivo allp stesso documento che poi rivendicò l'assassinio del consulente dell'allora ministro del Lavoro Sassolino? Michele Pegna si è difeso, in queste settimane, negando ogni sospetto. Non viveva in clandestinità, aveva una vita «normale» a Napoli e dintorni, aveva deciso di venir meno agli obblighi della libertà vigilata e non è mai stato a Bologna, dopo la sua scarcerazione. La corrispondenza epistolare dei giorni precedenti la sua scarcerazione con una inesistente Cristina Boni in realtà nascondeva .una YelìSone sen&fitéBtalVcon ' una insegnante che prestava servizio ih'quel carcere. Ma dal giorno del suo arresto, altre novità, altri indizi, hanno portato acqua al mulino dei sospetti dell'accusa: le dichiarazioni di Cristina Boni alias Maria Lobascio, e quelle di un imprenditore arrestato per due tentativi di sequestri di persona, Lorenzo Musso. Maria Lobascio ha affermato, come aveva ricordato il gip Covatta nel motivare, il 31 dicembre, la richiesta di scarcerazione' di Pegna, che l'ex di Prima1 linea era certo cheTomicidioTyAnfdna foiT se opera delle Br e che il volantino di rivendicazione non sarebbe stato ritrovato, in sede di perquisizione, perché erano in grado di «far circolare documenti segreti anche nel supercarcere di Trani». Musso offre uno scenario suggestivo: un esponente dell'indipendentismo corso, Jean Michele Rossi (ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia francese) gli avrebbe rivela- ^fejchenelxft^rzoe,! ^ del 2000 alcuni brigàtistiaOTébbe"ro partecipato a^un vertice in Corsica impegnandosi a consegnare armi ai corsi. Secondo Musso, Rossi gli mostrò le fotografie di alcuni Br. Uno di questi è certamente Michele Pegna. Gli inquirenti sospettano che un altro Br potrebbe essere Alessio Casimirri, latitante dall'SS, condannato anche per il sequestro Moro. Pegna, naturalmente, sostiene di non essere mai stato in Corsica. Michele Pegna, l'ex di Prima linea sospettato dalla Procura di Roma di far parte delle Brigate Rosse, scarcerato ieri
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