«Volevo andare a Torino per uccidere il pm» di Massimo Numa

«Volevo andare a Torino per uccidere il pm» IL MANIACO: SONO INNOCENTE, MA HO MOLTE QUESTIONI DA REGOLARE «Volevo andare a Torino per uccidere il pm» ppLe prime dichiarazioni: avevo un solo obiettivo, saldare alcuni conti ancora aperti Massimo Numa Lodovico Poletto LOQUACE, rispetto al passato. E chiaro: «Quello lo voglio vedere morto». «Quello» è il pm Roberto Sparagna. Minghella non si trattiene più, parla a ruota liberà. Di fronte ha i poliziotti che l'hanno arrestato il 7 marzo 2001, il capo della squadra omicidi di Torino, Marco Basile, e l'ispettore Mimmo Montanti. Un blitz a Biella, tanto per sapere come sta, se c'è qualcosa ancora da sapere, in questa storia. «Il mio obiettivo era tornare a Torino e saldare i conti con un po' di gente. E Sparagna era il primo della lista. Agli altri avrei pensato dopo...». Gli altri chi? Testimoni, ex amici, qualche ex. Gente che ha tradito, che lo abbandonato. Proprio come l'ultima compagna Maristella che, di lui, non vuole più saperne. Lo aveva difeso fino all'ultimo, poi ha cambiato idea e addio. Il serial killer è tranquillo, dopo l'arresto. Sa che sta per tornare in cella, nello stesso carcere di Biella. «Ma non vi illudete, io non ho più niente da perdere, ci riproverò sempre, sino a quando avrò vita». I poliziotti cercano di farlo ragionare: «Hai solo una possibilità, racconta tutto al processo». Risponde: «Siete matti, io non ho fatto nulla, mai ucciso nessuno, sono innocente. Mi avete incastrato così, ogni donna morta a Torino l'ha uccisa Minghella». Va bene, ma le prove...«Quali prove. Il Dna non è il mio, io lavoravo sempre, ma nessuno ha tenuto conto di quello che dicevo. Sparagna poi. Mi ha perseguitato già dal primo giorno. E al processo non vengo, che serve? E' già tutto deciso». E la fuga. Tutto da solo? «Sì, tutto da solo. Ho deciso all'improvviso, mi sono ritrovato nel bagno, ho visto la finestra e via, sono saltato in un attimo. Qui in cella, non mi terrete per molto. Non vi illudete». Maurizio ha una grande autostima di sé. Si sente invicibile. «Sono più forte di tutti, vedrete». Una promessa. Non vuole che il suo machismo venga mai messo in discussione, da nessuno. I periti hanno accertato che la molla omicida scatta, quasi sempre, quando la vittima lo respinge, lo deride per le sue improvvise crisi di impotenza. «Allora sento un gran male in testa, come un bruciore - ha detto agli psichiatri - e devo fermarmi. E' un colpo di martel-^ lo, quasi. Poi riprendo a fare' l'amore e a volte va tutto bene». A volte, invece è l'inizio della solita sessione di botte e sevizie, chiuse dalla morte. Gli hanno messo a disposizione l'avvocato d'ufficio ma Minghella lo congeda subito. Come ha fatto con il legale che avrebbe dovuto difenderlo in Assise, Gianmario Ramondini. «Mi concesse dieci minuti di colloquio e mi spiegò che non aveva nessuna mtenzione di difendersi. Tanto aveva gli ergastoli di Genova e quella di Torino era solo una truffa ai suoi danni. Gentile ma fermo, mi disse che non ci saremmo più rivisti e di lasciar perdere». Ramondini, invece, in aula c'è andato lo stesso e ha costruito l'abbozzo di una linea difensiva, forse l'unica possibile, cioè dimostrare l'infermità mentale. Totale o parziale, non importa. Ma è un tentativo che si scontra con i risultati delle perizie, tutte concordi: Minghella è sì una personalità disturbata ma è in grado di intendere e di volere. E quindi può essere processato per i delitti e le rapine di Torino. .«Non sono un assassino - ha ribadito ancora ieri - sono un perseguitato dal mio passato. Anche a Genova non ho ucciso nessuno. Ho confessato solo perchè la polizia mi aveva torturato, poi ho sempre respinto tutte le accuse. Era troppo facile, per Sparagna e la polizia, risolvere tutti i casi insoluti di Torino attribuendoli a me». «Ho deciso all'improvviso ho visto quella finestra e sono saltato, in un attimo Non dovete illudervi In cella non mi terrete per molto tempo ancora» Gli inquirenti insieme con Maurizio Minghella durante un sopralluogo per uno degli omicidi