L'anno dei rifiuti immorali di Michele Tito

L'anno dei rifiuti immorali COMINCIA "L'ERA SELVAGGIA» IN GIAPPONE L'anno dei rifiuti immorali Per la prima volta i sindacalisti chiedono "più presente e meno futuro" - Il sistema di anzianità aziendale entra in crisi per l'alto numero di laureati e diplomati che esigono maggiori salari - Lo Stato ha messo in bilancio fondi per le pensioni; molti protestano: "Devono pensare i figli alla nostra vecchiaia" - Si costruisce l'avvenire, traumaticamente, "senza il consenso di tutti" (Dal nostro inviato speciale) Tokio, giugno. Questo è l'anno dei « rifiuti immorali ». Nelle trattative di primavera per l'aumento dei salari i padroni parlavano dei grandi progetti per il futuro, chiedevano il consenso ai piani per il Duemila: ci sono contratti da rispettare, impegni per il 2040. Dei gruppi costituiti intorno alle sei banche principali, quello che fa capo alla Banca DaiIchi e quello che risale alla banca Sanwa, hanno idee precise, « obblighi assoluti », per il 2100. Propongono la « economia delle generazioni »; dopo « l'alba fantastica del terzo millennio », si vivrà di straordinarie, vertiginose conquiste e. di padre in figlio, i pronipoti di coloro che adesso lavorano nelle aziende lavoreranno nelle stesse aziende, « sempre più felici ». Il grande balzo Per la prima volta i sindacalisti hanno rifiutato di parlare del futuro: ciò che prima era il « balzo nel Duemila » ora è il « sogno del Duemila ». Tutto è in discussione e inaspettato intorno a loro, il futuro non è più la crescita veloce ma ordinata e organizzata come una volta, perciò chiedono adesso « più presente e meno futuro ». I grandi del padronato si domandano come terranno fede agli impegni per il terzo millennio e il professor Shinohara, che aveva previsto dieci anni fa, in tutti i dettagli, la crisi di adesso, avverte: « O conquistate subito tutti i mercati dell'Asia o rinunciate all'economia per le generazioni ». E' in crisi il sistema dell'anzianità. Si entra in una azienda per tutta la vita ed è tutto fissato in anticipo: salari, prestigio, responsabilità dipendono dall'età. In questo modo non conviene agli operai e ai dirigenti più anziani, e perciò più esperti, lasciare un'azienda per un'altra e si mantiene il patriottismo di azienda, il prestigio di ognuno è legato allo sviluppo della ditta cui appartiene. Per crescere più veloci hanno premiato l'istruzione e il titolo di studio, per qualsiasi mansione svolta, vale per il salario insieme all'anzianità. E' una economia che ha bisogno di avere molti giovani al lavoro perché costano meno e ha bisogno che siano istruiti perché si pensa alla produzione del futuro e perché le scuole « formano il carattere», «fanno pensare nel modo giusto», abituano, attraverso un duro sistema di selezione, al sacrificio e alla competizione. Ma quest'anno « piove l'assurdo »: non ci sono più giovani con il titolo di scuola media inferiore sul mercato. Le leggi sulla natalità varate venti anni or sono danno adesso i primi risultati: per un sistema produt¬ tivo vorace esistono in Giappone la metà dei ventenni che c'erano negli Anni Cinquanta. E vanno quasi tutti a scuola: sono quasi due milioni, l'89 per cento frequentano le università o i collegi superiori. Da quest'anno il Giappone è il Paese in cui si hanno più laureati che diplomati. Per la macchina produttiva significa gente che comincia la carriera a livelli salariali più alti perché già ultraventenne e perché munita dei massimi titoli di studio. Piccola industria E' l'anno in cui si apre il conflitto fra le generazioni e in cui le piccole e le medie aziende, il 94 per cento delle imprese, hanno il destino che il professor Okhaiva aveva indicato nel '60, quando il primo ministro Ikeda annunciò i trionfi della crescita del Giappone e indicò tra l'entusiasmo generale i traguardi dei decenni futuri: « Raddoppierà il reddito entro il '70, triplicherà entro il '75, sarà sempre più grande, all'infinito ». Il professor Okhawa attaccò Ikeda: « Il Giappone non è una sola fabbrica, è molte cose. Molti saranno costretti a morire o a pretendere che tutto cambi ». Sono adesso le piccole e medie aziende che oppongono i « rifiuti immorali ». Vivono perché danno salari più bassi e hanno gli operai 1 più giovani e meno istruiti: i diplomi e le lauree per tutti portano a salari di base più alti, le intere leve che giungono ai vertici delle scuole superiori privano i piccoli padroni della mano d'opera di cui hanno bisogno, e le donne, metà delle quali finiscono l'intero ciclo di studi, non sono più disponibili per i lavori che facevano la fortuna dei piccoli imprenditori, fornitori alle grandi compagnie di merce a basso costo, protagonisti di un ininterrotto miracolo produttivo. Devono tutto rifare: ammodernare gli impianti, rinunciare al sistema del « doppio salario », devono investire. Ma sono già in crisi: in dieci anni, via via che si diradava la mano d'opera giovane e aumentavano gli studenti, la differenza tra i salari delle grandi aziende e quelli delle piccole fabbriche è passata da uno a sette a uno a due. E' l'anno della « guerra vera » fra le generazioni. Gli anziani delle piccole e medie imprese vedono le loro « famiglie produttive » in pericolo, e le tradizioni, il lavoro in gruppo, il « rapporto fraterno» fra operaio e padrone, la sicurezza che viene dal trovarsi tutti insieme, membri di un clan del villaggio originario in una stessa fabbrica, un modo di vita che fa continuare in città le abitudini della campagna, minacciato dai giovani « tutti sapienti ». Si irrigidiscono nella dife- sa del sistema, rifiutano spesso il « consenso » che sempre il padrone chiede per le grandi scelte che deve fare: non gli permettono di ingrandirsi, non accettano la integrazione diretta nelle grandi compagnie. I giovani tutti « molto istruiti » sono un pericolo per il sistema dei privilegi agli anziani: si riduce la distanza tra loro e i nuovi venuti, e quando i nuovi venuti sono tutti « sapienti » il prestigio dell'anziano decade: « Noi moriamo, ce ne andiamo, diventiamo minoranza: i sapienti non ci rispetteranno più ». In questo modo i problemi economici, le vittorie della crescita si incrociano ai drammi umani, creano la tragedia della « malinconia giapponese», e il presente prevale sul futuro. Ora il grande problema è per il Giappone costruire il futuro senza il « consenso » di tutti. Debole scudo Un'economia che cresce diventando « più pura », che assorbe nei servizi quasi la metà della mano d'opera, forma eserciti di « uomini delle critiche »: è l'anno in cui, fatti i calcoli, hanno scoperto che nei servizi la produttività è inferiore di metà alla media nazionale; e hanno visto che il sistema amministrativo, « lo scudo che protegge la fortuna del Giappone », è il meno efficiente del mondo: assorbe il 30 per cento del totale della forza lavoro. Fanno una scoperta dietro l'altra via via che si chinano sul presente e ogni scoperta è materia di scandalo, cresce la distanza fra coloro che pensano e decidono e gli altri: i primi « corrono verso il Duemila », gli altri vogliono vivere il presente e fanno da freno. Vinti dai dubbi, fanno ciò che nessuno avrebbe mai previsto: questo è l'anno che sarà ricordato perché lo Stato ha messo in bilancio fondi per le pensioni e l'assistenza malattia, ciò che tutti chiedevano da lustri; ma Z'Azahi pubblica ogni giorno lettere di anziani operai che rifiutano il progetto per la pensione: « Stanno crescendo figli diversi da noi, devono provvedere essi alla nostra vecchiaia, se no la famiglia si disperde e il rispetto finisce ». Solo il 6 per cento dei dipendenti delle aziende private che cessano il lavoro a 55 anni hanno una pensione assicurata: si calcola che il 25 per cento almeno di coloro che trarranno benefici dalle leggi di quest'anno rimpiangono il vecchio sistema che creava un obbligo assoluto per i figli. Hanno indagato e hanno scoperto che per più della metà dei lavoratori anziani la cosa che conta più di tutte è la famiglia, e per quasi tutti la famiglia, è fatta « di obblighi per i figli ». Temono che, non essendo vincolati all'obbligo di assistere i genitori, i figli si comportino « come estranei, senza pietà e senza devozione ». E' un altro « rifiuto immorale », un altro segno del conflitto fra generazioni; è anche un effetto della distan- za tra coloro che pensano al futuro e coloro che guardano al presente: le nuove leggi sulle pensioni e l'assistenza malattia portano un aiuto immediato solo a pochi, avranno efficacia per masse più vaste tra dieci, venti e trent'anni: « A chi serviranno? ai "sapienti" che vengono adesso e già guadagnano molto? ». Così Tanaka è stato inchiodato in Parlamento: « La politica non è più materia di osmosi, è fatta adesso di confronti e scontri ». E' l'anno del più alto numero di suicidi tra studenti. Non vengono date le cifre, è un mistero « voluto dalla solidarietà ». Il sistema della selezione a tutti i livelli, che fissa graduatorie tra scuole medie e università e ha portato al trionfo della « meritocrazia », è in crisi perché insostenibile. Lo difendono alcuni perché garantisce a tutti l'accesso, per merito, alle università più prestigiose, ove si è prenotati per dirigere uomini ed aziende appena iscritti, per il solo fatto d'essere stati accettati. Distaccati e orgogliosi i professori della Tokio University dicono: « E' il solo fondamento sicuro della democrazia in Giappone »; ed è il mezzo del rinnovamento della classe dirigente: il merito riconosciuto dalle scuole che contano permette il prevalere nel comando dei dirigenti al posto dei proprietari, induce spesso famiglie che non hanno eredi riconosciuti « meritevoli » ad « adottare », cioè ad affidar loro le fortune della famiglia, ai meritevoli venuti dal niente. Ma il professor Ronald Dorè, inviato dall'Ocsed a studiare le contraddizioni del Giappone, è insorto duro e accusatore: ai grandi dell'industria, delle università e dello Stato riuniti sotto la presidenza del « saggio » Yoichi Maeda, ha detto che la durezza della selezione da cui dipende il destino di ogni vita di giovane è « immorale ». La selezione per merito, esasperata, porta ad una gara tra professori e istituti, una gara al prestigio, e per vincerla si ricorre ad ogni espediente, si sottopongono gli allievi a prove insostenibili, si organizzano esami in cui le reali capacità non possono affermarsi, si fa in modo che cresca e si affermi l'abitudine alle astuzie sottili, « al cinismo assoluto ». I dati del professor Dorè erano paurosi: insieme ai danni per gli uomini erano denunciati i danni per l'economia e l'incapacità di mobilitare le masse per i grandi progetti del futuro. Mentre erano dati, cifre, accurate analisi da cui risultava che le grandi prospettive economiche del Giappone esigono che le cose cambino alla base. I grandi del Giappone ascoltarono attentamente la denuncia del sistema in cui credono, nessuno parlò quando si aprì la discussione. Maeda, che presiedeva, domandò: « Siete d'accordo, avete obiezioni? ». Risposero ringraziando per « la luce portata alle loro menti », ma poi, sui giornali economici, il giorno dopo, c'erano commenti che dicevano: « L'Occidente teme che non ce la faremo. Ci chiede di cambiare. Non possiamo, perché sarebbe cambiare tutto». Così progettano per il terzo millennio, devono crescere per forza, più elementi di crisi emergono più ambizioni devono avere per il futuro; ed hanno un modo di proiettare l'economia del futuro che è un modo di aver bisogno di grandi spazi. Michele Tito Tokio. Volti giovani del Giappone in una scuola di danza per aspiranti attrici cinematografiche (Foto Team)

Persone citate: Dorè, Ikeda, Maeda, Ronald Dorè, Shinohara, Tanaka, Yoichi Maeda