Servizi sociali, società industriali in Occidente e nei Paesi comunisti

Servizi sociali, società industriali in Occidente e nei Paesi comunisti Convegno del Ceses a Santa Margherita Ligure Servizi sociali, società industriali in Occidente e nei Paesi comunisti Serrato dibattito e polemiche tra economisti occidentali e dell'Est - Gli interventi di Hodoly (Polonia), Tremi, Garvy e De Witt (Stati Uniti), Marczewsky e Kende (Francia) - Alcuni esempi che sottolineano l'impossibilità d'un confronto omogeneo tra le esperienze nei due blocchi (Dal nostro inviato speciale) S. Margherita, 26 giugno. Tradizionale punto d'incontro e scontro ideologico fra economisti dell'Est e dell'Ovest, il nono seminario internazionale del Ceses (Centro studi e ricerche su problemi economico-sociali) si è aperto ieri a Santa Margherita sul tema: « Servizi sociali e società industriale ». Vi partecipano oltre sessanta rappresentanti di quattordici Paesi. « Non confronto a fini propagandistici — ha detto il segretario generale dell'organizzazione, Renato Mieli, all'apertura del convegno — ma analisi scientifica della questione per comprendere meglio le nostre società ». Le divergenze si sono manifestate quando Andrzej Hodoly, dell'Istituto per il commercio interno di Varsavia, ha cercato di individuare una definizione comune dei servizi collettivi nelle due aree. Hodoly ha esaminato l'origine del problema nei Paesi occidentali: si tratta di bisogni che derivano dalla vita comune, dall'urbanizzazione, dall'aumento dei prezzi. Alcune di queste necessità — | secondo l'oratore — sono già state soddisfattte grazie alla pressione dei sindacati sulle industrie e sull'esempio dei Paesi socialisti. Ma sempre nei Paesi occidentali lo Stato assume in gestione soltanto settori poco redditizi. Hodoly ha infine presentato uno schema dei servizi sociali all'Est e all'Ovest: analoghi nei due blocchi, con eccezioni come le scuole per i lavoratori, ma diversi per la struttura dei finanziamenti. Vladimir Tremi, della Duke University (Usa), ha ribattuto che, nei cinquant'anni di storia dell'Urss, i tipi di servizi sono rimasti inalterati dai primordi ad oggi. Jean Marczewsky, dell'Università di Parigi, ha negato che nei paesi capitalisti vengano nazionalizzati solo servizi poco redditizi: « La Renault — ha domandato al collega polacco — è forse passiva? ». Inoltre, ha rifiutato l'etichetta di « pura economia di mercato », a suo avviso non corrispondente alla realtà. Più polemico, George Garvy, della Federai Reserve Bank di New York, ha rifiutato ogni generalizzazione: « Parliamo di servizi sociali in Grecia o in Canada, in Portogallo o negli Usa? ». Quanto poi alle scuole per lavoratori ha detto: « Perché lavoratori? Noi abbiamo scuole per la gente, per i cittadini ». Meno contestata anche se definita « provocatoria », la relazione di Nicholas De Witt, della Indiana University (Usa), sulla dimensione dei servizi sociali all'Est e all'Ovest: De Witt ha rilevato come sia difficile valutare nelle due aree questi beni, condizionati da sistemi politici con tutte le loro imperfezioni. Un metodo potrebbe essere l'analisi costi-benefici; ma la comparazione internazionale rimane difficile. Le cifre sulle quali si basano le statistiche possono essere « manipolate a piacere », includendo od escludendo alcuni dati. Per il settore dell'educazione, ad esempio, nei Paesi dell'Est si considerano soltanto le spese pubbliche, e non quelle private, benché minime. All'Ovest si escludono dalle statistiche tutte le attività par apedagogiche, dall'apprendistato alle scuole materne. Bisognerebbe consi¬ derare più i fattori microeconomici che non gli indicatori macro-economici. Altro esempio, il settore della sanità. Nel '70 la spesa in Urss ammontò al 3,1 per cento del prodotto nazionale lordo; in Usa fu del 7,4 per cento. Questo perché i prezzi relativi dei servizi sanitari nelle due economie sono molto diversi. Quanto al « beneficio » per la comunità, secondo Pierre Kende del Credoc di Parigi, sì tratta di parola vaga: alcuni servizi possono avere effetti negativi sulla collettività. Esempi, gli investimenti in case popolari che possono deturpare l'ambiente; un'educazione troppo estesa, che può causare una « sovraproduzione » di laureati e conseguente disoccupazione; le spese nel settore dell'igiene, che hanno avuto effetti di sovrapopolazione nel Terzo Mondo. .. . ,. Mario Varca